Io rispetto l’indignazione degli elettori del centrosinistra per quello che sta succedendo in questi giorni. Capisco che non sia facile digerire un “governissimo” PD-PdL, oltretutto dopo una campagna elettorale passata a negarlo in ogni sua forma.
E aggiungo che, da liberaldemocratico in cerca di rappresentanza quale sono, ho poco titolo a parlare delle convinzioni e delle esigenze della base elettorale del PD (che ogni giorno vedo più lontano dalla mia sensibilità).
Però sono giorni che ci penso e devo buttare fuori qualche considerazione di puro pragmatismo sulle ragioni che stanno alla base della nascita di questo governo. Non parlerò della stima che nutro per la persona di Enrico Letta, né del programma (obiettivamente ancora troppo vago e cerchiobottista), ma di alcuni motivi per cui questa situazione non piace a nessuno, ma è anche l’unica che minimizza i danni. E anche del perché è una soluzione comunque legittima (e neanche tanto rara) del nostro ordinamento costituzionale.
Prima di tutto, mi pare sia sotto gli occhi di tutti che le elezioni hanno consegnato all’Italia un Parlamento tripolare-quasi quadripolare (se si considera il voto azzoppato a Monti), che non ha precedenti nella storia italiana. Il bipolarismo in Italia non c’è mai veramente stato (anche se negli ultimi vent’anni una sorta di alternanza destra-sinistra l’abbiamo avuta) e per buona parte del dopoguerra la DC ha rappresentato la colonna portante del sistema, intorno alla quale, piaccia o non piaccia, tutto il resto girava.
Ora abbiamo, nell’ordine:
- un partito di centrosinistra allo sbando, dilaniato dalle contraddizioni mai risolte fra le sue varie anime (liberali, socialiste, cattoliche) e da un inevitabile conflitto generazionale, emergenti in tutta la loro forza e nel momento peggiore;
- una forza populista volutamente anti-partitica che risponde alla rabbia del paese con gli ingredienti peggiori, cioè demagogia (banalizzazione dei problemi) e deresponsabilizzazione autoindulgente (l’emblematico “sono tutti ladri/evasori/puttanieri tranne me”;
- un partito di centrodestra che in 4 mesi è passato dall’essere alla canna del gas al determinare gli equilibri politici del paese, senza tuttavia mostrare il benché minimo merito in questa rinascita in quanto resta un covo di opportunisti senza spessore e senso dello Stato;
- un misturotto pseudo-centrista, presentatosi come possibile evoluzione liberale del Governo Monti e finito per diventare una brutta copia della DC, senza tuttavia averne neanche lontanamente né l’influenza né la sensibilità politica.
Ora, in questo quadro sconfortante c’è una sola certezza ed esigenza: un governo va comunque fatto. Chi vuole tornare al voto è un ingenuo o un irresponsabile: non sono poche settimane a ribaltare gli equilibri, e se si votasse a giugno non avremmo né un M5S al 40% né un PD vincente. E questo è vero a maggior ragione con l’attuale legge elettorale (che indovinate di cosa ha bisogno per essere cambiata? Di un governo). Tornare al voto significherebbe solo perdere altri mesi di estenuante campagna elettorale mentre centinaia di imprese falliscono (come ricorda quotidianamente il contatore del Sole 24 Ore) e il paese allo stremo non vede luci in fondo al tunnel, soprattutto considerando che non c’è ragione di pensare che gli esiti del voto possano essere molto diversi.
Ma oltre alla ragione “responsabile” ce n’è anche una più squisitamente opportunistica: infatti la cosa divertente è che le stesse persone che chiedono che si torni a votare perché disgustati dalla Grande Coalizione non si rendono conto, o fanno finta, che se si torna a votare fra un mese ci sono ottime probabilità che a vincere sia il PdL.
Quindi, per quanto possa sembrare illogico, i duri e puri sono così ottenebrati dall’odio inconsulto verso l’altra parte politica da non riuscire a fare un benché minimo ragionamento di costo-opportunità: oggi abbiamo un governo guidato da un membro del PD, con un parlamento a maggioranza PD (perlomeno alla Camera), alleato con il PdL (al quale ha dovuto ovviamente concedere alcuni ruoli nell’esecutivo). Se per evitare questa alleanza si volesse tornare a votare, probabilmente si avrebbe un governo guidato dal PdL (forse dallo stesso Berlusconi), con un parlamento a maggioranza PdL (e in questo caso sia alla Camera che al Senato) e con il PD a fare opposizione per 5 anni.
Una strategia sopraffina, davvero.
Più o meno la stessa mentalità che ha rifiutato di “contaminare” la propria purezza ideologica in ottica maggioritaria, rifiutando di conquistare elettori al di fuori del proprio target, per poi perdere le elezioni (anzi, non vincerle) e doversi alleare con i propri avversari per formare un governo.
Ancora, davvero una fine strategia politica. Che spiega tante cose della storia della sinistra italiana negli ultimi vent’anni.
CI sono poi altri due punti di carattere prettamente istituzionale, da esame del primo anno di Diritto Pubblico.
Il più grande errore di Bersani è stato di non far capire agli elettori (ma forse non c’era modo) una regola fondamentale della nostra democrazia, cioè che formare un Governo ed eleggere il Presidente della Repubblica sono due cose completamente diverse. L’elezione del PdR viene fatta a maggioranza qualificata proprio perché non si tratta di far vincere il “proprio” candidato. Non è una gara, come alle elezioni, in cui si cerca di eleggere il leader del partito alla guida dell’Esecutivo. Il Capo dello Stato è il rappresentante più alto delle istituzioni, la figura ultima del potere giudiziario (in quanto Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura) e il comandante formale delle forze armate. In quanto tale, è corretto che venga eletto con la più ampia condivisione possibile, perché deve rappresentare e tutelare tutto il paese e le sue istituzioni (quindi anche il Parlamento, dove ci sono posizioni politiche delle più diverse).
Quindi chi accusa Bersani di essere stato incoerente nel cercare prima un’intesa con il M5S per il Governo (i quali gli hanno gettato pesci in faccia in risposta) e poi una convergenza con il PdL per il Presidente della Repubblica non si rende conto che le due cose non sono assimilabili, e che nel primo caso si cerca un’intesa programmatica che nel secondo caso è completamente assente. Il M5S invece, non solo non ha mostrato il minimo interesse a supportare un governo (nonostante i quasi umilianti avvicinamenti del PD), ma non ha cercato una convergenza con nessuno neppure per il Presidente della Repubblica. I 5 Stelle hanno messo un nome sul tavolo (per nulla condiviso dal centrodestra) dicendo “o questo o niente”, dimostrando (ma non ce n’era bisogno) la propria completa ignoranza politica e istituzionale. Bersani ne è uscito schiacciato per demeriti tutti suoi, quali non avere comunicato a dovere questo concetto, ed essersi presentato alle trattative senza l’appoggio di tutto il suo partito e facendosi prendere poi dal panico dal crollo degli eventi, pasticciando con la ormai tardiva candidatura di Prodi.
C’è poi tutto un discorso sullo stato drammatico del PD, con una parte dei parlamentari che si fa comandare a bacchetta dai capetti di quelle specie di baby gang che chiamano correnti e un’altra parte che vota in base all’umore percepito dagli ultimi tweet (che una cosa è ascoltare la base, altra è esserne succubi), ma si amplierebbe troppo il discorso.
Infine, è incredibile come si possa sentire da ogni parte che questo governo è frutto di un “golpe”. Forse quello che dovrebbe essere ovvio non lo è, quindi ricordiamolo: siamo in un sistema parlamentare in cui alle elezioni i cittadini eleggono il Parlamento, il quale a sua volta propone un Esecutivo al Capo dello Stato in base alla maggioranza uscita dalle elezioni. È poi il Capo dello Stato che dà l’incarico al Governo dopo aver verificato che esista davvero una maggioranza, e a seguito del conferimento dell’incarico il Governo va nelle due Camere a chiedere la fiducia.
Dalle urne sono usciti 3 partiti ognuno con circa ¼ dei voti (più un restante quarto di Monti e altri) ed era evidente fin dal giorno dopo le elezioni che l’unica soluzione per non far finire in anticipo la legislatura sarebbe stata una coalizione post-elettorale. Il patetico (ma comprensibile) tentativo di Bersani verso i grillini non poteva che finire com’è finito perché un partito antisistema come il M5S non ha il minimo interesse a essere costruttivo, perché questo li costringerebbe a fare i conti con la realtà e a cedere a quei terribili, vergognosi compromessi che sono inevitabili in una democrazia che deve fare i conti con esigenze contrapposte.
La conclusione di questo impasse politico durato oltre due mesi è una soluzione imposta dalla pura aritmetica dei seggi, ed è del tutto legittima. Oltretutto le alleanze trasversali non sono certo una prerogativa italica: la Gran Bretagna non ha mai avuto la DC eppure è attualmente governata da un governo di coalizione perché i soli Conservatori non avevano la maggioranza. La Germania ha prosperato con grandi coalizioni per metà degli ultimi 20 anni. Negli Stati Uniti la maggioranza in Senato è dei Democratici e alla Camera dei Repubblicani (fenomeno comunissimo negli USA). La differenza è ovviamente che questi paesi sono politicamente più maturi e in grado di gestire con un minimo di raziocinio situazioni di mediazione obbligata come questa. In Italia non si è riusciti a governare decentemente con maggioranze bulgare (perlomeno nel caso del centrodestra), quindi anche a mio avviso le possibilità che questo esperimento funzioni restano ad oggi ancora scarse.
La nostra Repubblica funziona così, mi spiace. Non che avere una repubblica parlamentare sia obbligatorio, sia chiaro. Ci sono anzi tante altre forme istituzionali fra cui scegliere, e c’è chi lo auspica anche, basta però che non si dica che abbiamo “la Costituzione più bella del mondo” se poi la si esalta solo quando l’outcome è quello desiderato.
Attenzione poi che il mio discorso non porta alla tesi che una grande coalizione sia una soluzione efficiente, anzi. Io sono per un sistema maggioritario bipolare (come ho già spiegato ampiamente qui), quindi aborro queste soluzione posticce e paraculo. Ma questa è la soluzione di second best (o forse third o fourth best..), e dobbiamo tenercela per quel paio d’anni minimo che durerà (perché Napolitano non permetterà un vivacchiare come quello dell’ultimo Monti) per evitare di far crollare quel fantasma di tessuto economico che ci resta in Italia.
Quindi sì, oggi bisogna scegliere quello che può evitare di far colare a picco il paese, e questo comporta doversi turare il naso e trovare l’unico compromesso che questa legislatura nata male permetteva. Fra il dissenso coerente di Civati e la ragionevolezza sofferente di Scalfarotto, questa volta scelgo il secondo.