Nell’anno sportivo 2010-2011 ricoprivo, nella squadra in cui militava, inizialmente il ruolo di preparatore fisico e, in un secondo momento, quello di mental team coach.
AK, come viene chiamato, arrivava con un pedigree di altissimo livello, anche se era reduce da un anno travagliato, complice una operazione dopo la rottura del legamento crociato anteriore.
Alle visite mediche presentava solo una fisiologica ipotonia muscolare ma, dal punto di vista della funzionalità, fu ritenuto ampiamente sano ed idoneo dall’autorevolissimo staff sanitario della società. Quindi, il lavoro individualizzato a livello fisico prevedeva dei lavori integrativi in quel senso: quadricipite, quadricipite e ancora quadricipite.
Sin dalla prima partita di campionato il rendimento di Antanas era al di sotto delle peggiori aspettative.
Le critiche lo sovrastavano; pubblico, stampa e addetti ai lavori non lesinavano commenti e nuove etichette poco gratificanti nei suoi confronti.
La squadra “zoppicava” con lui e improvvisamente allenatore e società decisero di utilizzare tutte le risorse a disposizione, affidandomi un programma di mental team coaching.
Le cose per lui non cambiarono repentinamente. Il percorso cominciava a dare i primi feedback sia nell’armonia del collettivo che sulla chiarezza degli obiettivi individuali e di squadra, ma le prestazioni di Antanas continuavano a deludere, le sue quotazioni erano in continuo ribasso ed il “taglio” era ormai imminente.
Un giorno, durante una seduta di pesi, da un suo dialogo informale individuai un “click”, un punto da cui partire nel suo percorso individuale.
Raccontò che un bravissimo terapista di Dallas in Texas, sua città di adozione, gli disse che per un “full recover”, un recupero completo dal suo infortunio, ci volevano 2 anni.
L’autorevolezza della fonte - il terapista - gli aveva creato un programma, una credenza, una convinzione profonda!
Da qui la strategia vincente: “formattare” quel programma è stato il punto di partenza a cui poi sono seguite un mix di tecniche di coaching, racconti, metafore a supporto della sua “nuova storia”.
Inizialmente abbiamo semplicemente spostato il suo punto di vista: dalla dolorosa vite presente nel ginocchio alla crescita veloce del muscolo intorno, si è dato un significato più allargato a “full recover”. Gli ho citato innumerevoli casi di atleti del suo livello che hanno conseguito obiettivi entusiasmanti con tempistiche straordinarie dopo interventi chirurgici simili ed abbiamo iniziato un percorso di visualizzazione.
La partita decisiva per lui, quella che ne avrebbe determinato il taglio in caso di ennesima prova sottotono, si giocava a Casalpusterlengo.
Come da programma, dopo la seduta di tiro della domenica mattina, al ritorno in albergo c’era la seduta di coaching per la squadra. Anziché procedere come al solito, cioè farne due - una in italiano e una in inglese per gli stranieri, decisi per una sola sezione in plenaria nella sua lingua adottiva, l’inglese.
Iniziai raccontando una storia sportiva e scelsi uno sport a lui familiare, il baseball.
La storia parla di un ragazzino che, camminando per strada, si autolancia una pallina, tenta di colpirla con la mazza e manca il colpo. Sorprendentemente dice: “Sono il giocatore più forte del mondo!”.
Ripete il gesto e, a parità di esito, incalza: “Sono il giocatore più forte del mondo!”.
Questa situazione si ripete diverse volte con il medesimo commento, fino a quando il piccolo, dopo l’ennesimo swing andato a vuoto, esclama: “CHE LANCIATORE!”.
Il mio sguardo, anche se non insistente, andava spesso nella sua direzione durante la narrazione.
L’incontro si chiuse e il programma prevedeva pranzo e ritiro in camera prima del trasferimento al campo di gioco.
Durante il riposo, riprendendo e ribaltando una metafora che lui usò durante uno dei tanti dialoghi del periodo delle critiche (“prendo un sacco di schiaffi”), gli inviai questo sms: “FERMA LA MANO CHE TI STA SCHIAFFEGGIANDO, RINGRAZIALA PERCHE’ HA INDIRIZZATO IL TUO SGUARDO VERSO UNA NUOVA DIREZIONE E INIZIA AD ANDARCI”.
Poi… non so cosa sia successo… in quella partita realizzò 29 punti e fu il miglior giocatore per valutazione della lega.
L’allenatore gli concesse la standing ovation dei sostenitori che avevano seguito la squadra in trasferta e dei suoi compagni, sostituendolo pochi secondi prima della fine della partita, e al suo ritorno in panchina il mio commento fu: “CHE LANCIATORE!”.
Nella seduta di coaching infrasettimanale successiva gli lanciai e regalai una pallina da baseball prima di iniziare, senza dire niente…
“Kava” iniziò a scalare nelle voci statistiche, diventò secondo nelle percentuali da 2 punti in brevissimo tempo e quest’anno gioca a Riga, in Lettonia, ma non è tutto.
Ringraziandovi per l’attenzione chiudo, infatti, facendo un “copia e incolla” della risposta che mi ha mandato quando gli ho chiesto l’autorizzazione di raccontarvi la sua storia:
Oh yeah you don’t even have to ask for my permission about that. You can also tell them that because of your coaching and me keep practicing the it I got invited to the lithuanian national team for the olympics ;-) ;-)
Trad: Oh certo! Non mi devi nemmeno chiedere il permesso! Puoi dire loro anche che è stato grazie alle nostre sessioni di coaching e alla applicazione, che la Nazionale Lituana mi ha chiamato per partecipare alle Olimpiadi ;-)