Magazine Lavoro
C’è stato un tempo in cui (molto prima della professoressa Fornero) Vittorio Foa anticipò tanti parlando di un nuovo mercato del lavoro. Ha lasciato scritto «Mi sono reso conto che il ciclo inclusione-esclusione non funzionava più e che bisognava pensare a una nuova modalità di lavoro e a una nuova idea dell’eguaglianza». E aveva ipotizzato un futuro con due possibili alternative «Lasciare che le cose vadano come vanno e prepararsi a due mercati del lavoro, uno con tutti i diritti salvi ma sempre più ristretto e con orari rigidi, accanto a un mercato del lavoro flessibile, in cui un piccolo grado di libertà operaia si lega al massimo di libertà padronale. Oppure un unico mercato del lavoro in cui tutti lavorino poco alle produzioni di massa e tutti siano liberi di svolgere altri lavori non alienati a titolo individuale o collettivo». Una prospettiva liberatrice assegnata al lavoro che potrebbe tornare di attualità e che non sembra proprio scaturire dai progetti governativi.
È capitato di discutere di tali problemi alla inaugurazione di un circolo di «Sinistra e Libertà» nel quartiere Prati di Roma intitolato (per scelta della giovane coordinatrice Michela Bevere) proprio a Vittorio Foa. Un atto di coraggio quel «titolo» perché Foa è stato sempre un personaggio scomodo per la sinistra, per gli stessi comunisti che non apprezzavano molto la sua autonomia di giudizio, per lo stesso sindacato che è stata una ragione della sua vita. Nel dibattito (c’erano la figlia Anna e la vedova Sesa Tatò nonché Guglielmo Ragozzino) sono emersi i tratti principali del pensiero di Foa. E, tra questi, quelli relativi alle sue riflessioni sul lavoro.
Certo non si limitava a denunciare le inadempienze di padroni e governi. Negli anni 60 quando girava per l’Italia come segretario confederale osservava (intervista a Rassegna sindacale del 18 novembre 1962): «Si sa che la linea è giusta, ma insufficiente è l’impegno nel realizzarla. Vi sono limiti soggettivi, di capacità e di direzione, limiti paternalistici, difetti di capacità nell’instaurare un rapporto democratico profondo fra lavoratori e sindacato. Ancora le rivendicazioni scendono troppo dall’alto e risulta che il sindacato rimane come esterno ai lavoratori». È costante l’appello al coraggio della proposta, soprattutto quando incombe la crisi: «Per uscirne non basta aspettare migliori condizioni congiunturali e neppure fare qualche correzione. Oggi si tratta di compiere un salto di qualità profondo… ».
Con un costante appello all’unità. Come quando dichiara durante una manifestazione in piazza San Giovanni: «Oggi ho ricevuto molto da questa piazza perché ho ricevuto da ognuno di voi una grande lezione: la lezione dell’unità. L’unità non vuol dire pensare tutti nello stesso modo. L’unità che vale è proprio quella che parte dalle differenze».
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