IL METODO
A cura di Joan Leo
Come ricorderai, caro Frankie, nella scorsa stagione avevamo parlato della famosa “Piramide di Cambridge” che rappresentò il vestito tattico con cui il calcio entrò in Italia.
Poi il tempo trascorse e da quello schema e dall’esperienza sul campo nacque e si organizzò quello che possiamo considerare il primo vero schema tattico compiutamente definito.
Il “Metodo”, infatti, si ispira sensibilmente alla Piramide e in Italia resterà – con alcuni aggiustamenti approntati da Vittorio Pozzo – alla base del calcio sino alla seconda guerra mondiale, portando in dote le grandi vittorie della Nazionale degli anni’30; così come sempre nello stesso periodo fu il sistema di gioco più utilizzato in Europa e le sue due più grandi interpreti furono, appunto l’Italia, e il Wunderteam di Hugo Meisl, la grande Austria.
Ma come era strutturato il Metodo?
Davanti al portiere vi era la linea composta dai due terzini centrali, uno, il “terzino di posizione” a presidio dell’area svincolato da compiti di marcatura, l’altro, il “terzino volante” con lo specifico compito di marcare il centravanti avversario. Sulla linea di centrocampo i due mediani laterali si allargavano sulle fasce con il duplice compito di controllare le ali avversarie e di sostenere colui che con questo schema diventava il vero perno di tutto il gioco: il mediano centrale che proprio per l’importanza che riveste passerà alla storia come “centromediano metodista”.
Ma cosa faceva il centromediano? Aveva in buona sostanza compiti sia di difesa che di impostazione del gioco, dirigeva ed aiutava la difesa in fase di non possesso, ma era anche colui che capovolgeva il gioco, lanciando il pallone agli attaccanti.
Era l’uomo-simbolo della squadra, l’uomo che più di tutti veniva esaltato da questo schema e quindi molto spesso colui che grazie alla proprie doti personali poteva fare la differenza in campo. L’attacco, infine, veniva modificato rispetto alla Piramide: due dei cinque attaccanti (“inside forward”) venivano arretrati leggermente trasformandosi nelle mezzeali destra e sinistra, lasciando davanti le due ali con il compito prevalente di crossare dal fondo per il centravanti.
Però come ben sai tutto si modifica, tutto si evolve e ovviamente il calcio non fa eccezione.
Devi sapere che ancora nella prima metà degli anni’20 la regola del fuorigioco prevedeva che per considerare in gioco un calciatore occorreva che tra sé e la linea di porta vi fossero almeno 3 avversari.
In Inghilterra, dove di tattica se ne masticava parecchia, i difensori del Notts County spesso si spostavano di posizione per sistemarsi uno dietro all’altro, mettendo così in fuorigioco il centravanti avversario.
Lo stratagemma piacque molto in particolare al difensore del Newcastle United, William McCracken che non solo li imitò ma teorizzò addirittura la mossa come variante tattica, diventando il “re del fuorigioco”. Semplicemente appena prima che partisse il lancio per il centravanti avversario i due terzini dovevano convergere al centro e uno dei due – il terzino volante, colui che doveva marcare il centravanti – si andava a mettere davanti al suo compagno.
Così facendo, il centravanti finiva sempre in fuorigioco e il buon McCracken – assieme al suo compagno Hudspeth – diventò una leggenda. L’uso di questo stratagemma venne esasperato e ciò portò ad un progressivo arretramento del centravanti che nel tentativo di eludere il fuorigioco subì una trasformazione diventando una sorta di rifinitore per le ali e soprattutto per le due mezzali che si inserivano da dietro.
Peccato soltanto che di tutto ciò ne risentì parecchio lo svolgimento della gara, che finì per essere spessissimo interrotto.
Il risultato? Non si segnava più, la noia diventava protagonista delle partite e il pubblico si allontanava dagli stadi. La fine del calcio? Ovviamente no, perchè l’International Board aveva pronto l’antidoto e nel 1925, modificando la regola del fuorigioco, permette un nuovo salto evolutivo al gioco del pallone.
Ed è di questo che parleremo la prossima volta….to be continued…a Sabato prossimo…