La prima volta che il mio occhio cadde sopra le righe fu nell’estate del 1986, a Bagnara Calabra. Ci bucavamo, allora, un po’ tutti: il mio compagno di viaggio era il piccolo Tuc, il suo nome era Gianni in realtà, come me, ma io preferivo chiamarlo Tuc. Portavamo pantaloncini corti e capelli lunghi, e non facevamo nulla in particolare: Tuc amava le bionde, io bucarmi. Sugli scogli quell’estate credo di aver consumato più aghi di quanti ne possano avere tutti i ricci del Mediterraneo. Faceva un caldo boia, quell’estate del 1986. Con questo non voglio scusarmi di fronte alla Commissione, Sua Eccellenza: è solo che non si riusciva nemmeno a respirare, figurarsi ad evitare di far cadere l’occhio sopra le righe. Sa com’è, ci si buca, si guardano i pescatori mentre tirano su pescispada grossi come squali balena (quelli striati, mezzi a pois, inoffensivi) e poi gridano in calabrese qualcosa di incomprensibile. Tuc pianse quando venne a sapere che mi era caduto l’occhio sopra le righe. Disse: “Ma come hai potuto lasciarglielo fare? Proprio tu, amico mio!”.
Sì, insomma, eravamo un po’ tutti dispiaciuti dalla situazione che si era venuta a creare. In breve tempo lo venne a sapere tutto il nostro gruppo, e io per la vergogna andavo a bucarmi di nascosto, sugli scogli dove solitamente andavamo a pisciare io e Tuc prima di addormentarci strafatti. Il fatto è che da allora non riesco proprio più ad evitarlo, Sua Eccellenza: non appena ne ha l’occasione, il mio occhio cade sopra le righe. Punto, è un fatto, inutile negarlo: e sapesse quante volte l’ho raccolto, tremante, rimesso al suo post e lui: pluff! Nuovamente sopra le righe. Ah non crediate di poterlo fermare con quelle pillole che mi date, Sua Eccellenza. Il mio occhio cadrà sempre sopra le righe, e io in fondo non me ne vergognò più: anzi, lo ammiro. Sembra un insetto, e non ha paura del sole.