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Il mito del “finanziamento monetario” della spesa pubblica

Creato il 13 dicembre 2012 da Keynesblog @keynesblog

terzi_andreaNell’ambito del dibattito aperto con l’intervento di Emiliano Brancaccio e la risposta di Warren Mosler riguardo l’MMT, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Andrea Terzi (docente di economia monetaria all’Università Cattolica di Milano)

In diverse occasioni, economisti di orientamento “keynesiano” hanno invocato il finanziamento monetario della spesa pubblica come motore della domanda aggregata. E puntualmente economisti di orientamento “monetarista” ne hanno obiettato gli effetti inflazionistici. Mi pare siano utili tre precisazioni.
1. L’economia keynesiana pone la domanda aggregata al centro del processo di crescita: il PIL dell’economia si stabilizza a quel livello che le imprese giudicano più redditizio in relazione alla domanda complessiva. Più le imprese fanno fatturato, più cresce il Pil. A loro volta, le aziende vendono in risposta ai consumi e investimenti interni, alle esportazioni e alla domanda del settore pubblico.
Ma attenzione: siccome le imposte riducono reddito e ricchezza del settore privato, è la spesa pubblica al netto delle imposte che contribuisce alla domanda complessiva. In altre parole, ciò che conta è quel che comunemente si chiama disavanzo pubblico e che io preferisco chiamare spesa netta del settore pubblico.

2. Il contributo della spesa netta del settore pubblico alla domanda complessiva dipende da molti fattori. Ad esempio, il motivo più importante per il quale lo stimolo fiscale di Obama nel 2009 non ha avuto effetti più tempestivi sull’occupazione è che essendo le famiglie americane ultra-indebitate, la gran parte dell’aumento del reddito veniva risparmiato per pagare gli interessi sul debito. In casi come questo, è necessario un disavanzo maggiore per produrre i risultati desiderati in termini di maggiore occupazione. Ma l’amministrazione Obama appena insediata non si rese conto delle dimensioni della crisi e reagì troppo timidamente.

3. In ogni caso, l’effetto della spesa netta del settore pubblico sulla domanda complessiva non dipende affatto da chi è l’acquirente dei titoli pubblici (che siano le banche, le famiglie, le imprese, o la banca centrale). Questo punto era ben chiaro a Keynes. In seguito, però, riportando in auge la teoria quantitativa della moneta, Friedman teorizzò che il disavanzo pubblico crea domanda solo nel caso in cui i titoli siano acquistati dalla banca centrale. È questo il cosiddetto finanziamento monetario. Per Friedman, collocare i titoli presso il settore privato sottrae risorse finanziarie al credito: si dà con una mano per sottrarre con l’altra.

Ma non è affatto così. In realtà, quando le banche acquistano titoli con denaro contante (riserve) non accade nient’altro che una sostituzione di una passività pubblica (i titoli del Tesoro) con un’altra passività pubblica (le riserve della banca centrale). Ciò non ha alcun impatto sulla capacità delle banche a fare prestiti, né ha ripercussioni sui tassi d’interesse. Per una banca, avere tra le proprie attività dei titoli del tesoro oppure un credito con la banca centrale non fa alcuna differenza rispetto alla sua attività creditizia.

Si tratta di un aspetto tecnico che ha tuttavia conseguenze importanti per il dibattito sugli effetti della politica fiscale. Un riscontro inequivocabile dell’irrilevanza della creazione di moneta da parte delle banche centrali è quanto è accaduto con il “Quantitative Easing”: stimolo nullo o trascurabile, nessuna inflazione.

L’irrilevanza della creazione di riserve bancarie da parte della banca centrale è suffragato da alcuni lavori della Federal Reserve e della Banca dei Regolamenti Internazionali [Ad esempio: Claudio Borio and Piti Disyatat, Unconventional monetary policies: an appraisal, BIS Working Papers, No 292, 2009 e Antoine Martin, James McAndrews, David Skeie, A Note on Bank Lending in Times of Large Bank Reserves - Staff Report no. 497, Federal Reserve Bank of New York, 2011], ed è un aspetto centrale della teoria della moneta come monopolio pubblico sviluppata da Warren Mosler [Warren Mosler, Soft currency economics II, Kindle edition].

E l’Europa?
Imporre agli stati membri il pareggio di bilancio deprime drammaticamente la domanda aggregata. Sottrarre alla BCE la possibilità di gestire il mercato secondario dei titoli pubblici (come invece può fare ogni altra banca centrale di uno stato sovrano) espone i titoli di stato al rischio di default. Draghi, a partire da settembre, ha annunciato che la BCE acquisterà i titoli dei paesi in difficoltà a certe condizioni. Pur non essendo in grado di garantire a tutti i paesi un rendimento allineato al tasso ufficiale (come accade invece anche in Giappone, ancorché il debito pubblico sia ben più alto di quello greco), la decisione ha di fatto introdotto la garanzia della BCE contro l’insolvenza. La questione dunque non è più, nemmeno per l’Europa, quella del finanziamento monetario del disavanzo, ma piuttosto quella di un allentamento della morsa fiscale.


Filed under: Economia, Teoria economica Tagged: Andrea Terzi, bce, Federal Reserve, John Maynard Keynes, Mario Draghi, Milton Friedman, MMT, moneta, Quantitative Easing, Warran Moster

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