Magazine Diario personale

Il nuovissimo, sintetico, rapidissimo galateo

Da Unarosaverde

Dovessi scrivere una nuova edizione del Galateo probabilmente nel primo e unico capitolo ci metterei solo la frase: “Fai quello che vuoi e quando vuoi, come fossi da solo a casa tua”.

Questo è quanto succede, ovunque. Non solo nelle famigerate taverne dei marinai o sui moli degli scaricatori di porto – magari poi si scoprirà che tali luoghi sono molto meno volgari e privi di poesia di quanto si pensi – ma in mille altri posti che fino a pochi anni fa ammettevano solo codici di comportamento  rigidi, oppressivi, soffocanti ma forse garanti di un certo rispetto degli altri.

Per esempio, due aneddoti brevi e recentissimi tratti dalla mia banale vita.

Sono sotto le coperte, con un raffreddore micidiale. Suonano al cancello. Lo conosco. Mi affaccio alla finestra, saluto, comunico che la persona che cerca non è in casa e mi scuso: ho la febbre e sono in pigiama, non lo faccio salire. Attacca bottone. Mi pare di essere un imbonitore ma converso, dal mio lassù, fino a che non si arriva al punto in cui a lui servono da me un paio di favori. Va bene, gli dico, vai a prenderle e poi lascia pure le carte nella cassetta della posta. Per lunedi sarà fatto tutto. Scusa ma adesso chiudo la finestra e torno a stare male in privato. Ringrazia e se ne va. Risuona dopo venti minuti. Non apro: sono sotto le coperte e stavolta non le mollo.  Telefona dopo altri dieci minuti: rispondo. Dice che poi, nel pomeriggio, un’altra persona mi infilerà nella cassetta queste carte: un attimo prima l’aveva portata a vedere dove abitassi e avevano anche suonato: perchè non avevo risposto? Va bene, gli ribadisco, portami le carte. E spero capisca che è lui  che ha bisogno di un favore non io che glielo devo per forza fare. La sera, delle carte, ancora nessuna ombra. Il giorno dopo mi telefona e mi invita ad uscire per un caffè, probabilmente perché il deposito  delle carte non gli pare sufficiente come garanzia. Conto fino a cento, ringrazio, rifiuto, starnutisco. Ribadisce che poi porterà le carte. Non le ho ancora viste e sono passati tre giorni.

Mi chiama il capo nel suo ufficio per programmare una certa attività del prossimo mese. Mi fa una domanda. Sto rispondendo da quindici secondi, forse, quando mi accorgo che non solo non mi sta guardando ma che si rivolge all’altro capo – una situazione complicata che non vi sto a spiegare – con un commento sulla sua nuova auto aziendale che si scorge dalla finestra. Fanno botta e risposta sui pro e contro del mezzo mentre me ne sto lì, con la frase appesa. Ho la tosse, gli scampoli del raffreddore di cui sopra, il mal di testa e una noia incredibile addosso da mancanza protratta di stimoli intellettuali ma la scena madre di quella che se ne va non è mai stata nelle mie corde. Conto fino a centomila e aspetto, tra il fumo di sigaretta e la finestra aperta.

Nè il primo nè il secondo caso hanno per protagoniste persone stupide, senza istruzione. Sia il primo sia il secondo caso sono piccoli esempi di una tendenza che noto molto spesso alla maleducazione inconscia, talmente inconsapevole da essere naturale e incurabile. Magari la maleducata la faccio pure io, con la mia tendenza alla chiacchiera libera e a certe osservazioni brutali. Magari i prossimi libri che venderò saranno proprio le mie cinque o sei copie inutili di Galatei famosi visto che non mi sono serviti.

E ancora – e poi basta e vado a prendere lo sciroppo così seda me e la tosse pure – ma alle elementari i bambini devono per forza per forza per forza dare del tu alle maestre? E’ così dannatamente, biecamente, reazionariamente obsoleto dare del lei a certe persone che sono le stesse dalle quali dovremmo imparare anche a comportarci? Noi non siamo più capaci di imporre a noi stessi, figuriamo agli altri, l’autocontrollo.

Tra un po’, secondo me, ricominceremo a spidocchiarci reciprocamente in pubblico, come facevamo qualche migliaio di anni fa, ma in giacca e cravatta.


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