Quanto costa oggi, un bullone? Eh, si questo è il problema, esordisce Maria Rosaria De Medici nel programma quotidiano Fuori Tg del Tg3. Il governo, nella legge di stabilità ha stanziato 1.6 miliardi nel rush finale per l’accordo sulla produttività. I sindacati hanno trovato una posizione comune sul documento che dovrebbe fissare un nuovo equilibrio sul sistema contrattuale, spostando il baricentro sui contratti aziendali, permettere una maggiore flessibilità di orario, consentire alle categorie di tenere conto, nei rinnovi, della situazione economica. Niente a che vedere coi problemi posti dalla mancanza di produttività di sistema. In Italia fare un oggetto costa molto. Negli anni ottanta si lavorava anche di sabato, gli operai compravano le case e andavano in ferie, il sogno finisce ai giorni nostri quando la crisi fa chiudere molte fabbriche con la scusa della mancanza di produttività. Perché è quella che manca al Paese, non la voglia di lavorare degli occupati almeno quelli rimasti. Le aziende in crisi stanno deindustrializzando il territorio e oggi vedere operai che protestano o si uccidono diventa norma. I senza lavoro sono almeno un milione e la mancanza di lavoro blocca il sistema. A dir la verità l’Italia soffre da anni di una scarsa crescita, già da prima della tempesta finanziaria che si è abbattuta sull’Europa.
Interrompendo la produzione si perde in competitività. Dunque un cane che si morde la coda: la crescente incertezza dei lavoratori nella possibilità di conservare il posto di lavoro spingono i lavoratori a ridurre i consumi più significativi (se non si ha certezza dei redditi futuri non si comprano casa, auto, ecc.), da cui il calo della domanda aggregata, da cui, disincentivo delle imprese dall’investire in formazione dei lavoratori, con conseguente – ancora – calo della produttività. Stiamo perdendo potenziale di investimento da troppo tempo. Il livello di emergenza si è alzato e bisogna intervenire sui consumi facendo leva per riattivare la produttività del sistema-Paese con maggiori investimenti pubblici in istruzione; maggiori incentivi in impresa per la stabilizzazione del lavoro e per la formazione dei dipendenti. “Facile”, no?L’export funziona ancora dimostrando che le nostre imprese mantengono la competitività all’estero è il mercato interno ad essere fermo. Non è la disoccupazione la vera preoccupazione ma, l’aumento della povertà. Se non si risolvono i problemi strutturali che hanno lasciato sole le piccole e medie industrie, oberandole di tasse, non riusciremo a rilanciare l’economia. Le piccole e medie imprese hanno difficoltà a sostenere i costi elevati insiti nella ricerca e sviluppo. Il nostro capitale umano non è raccordato alle retribuzioni.
Si cerca in mille diverse cause la ragione della scarsa crescita e della scarsa produttività. Se mai l’Italia avrà la capacità, la volontà politica di fare investimenti di medio-lungo periodo in istruzione e ricerca, la risalita della produttività avverrà certamente, e la strada della crescita economica sarà ritrovata.
La ricetta è semplice basta mescolare gli ingredienti: investimenti e rilancio e diminuire tasse e imposte. Quindi non il costo del lavoro e simili come causa di scarsa produttività, ma carenza di quantità e qualità di capitale umano e ricerca.
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