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Il Padoan Pensiero e la Tassa sui BoT

Creato il 11 marzo 2014 da Ilbocconianoliberale @ilbocclib

Pier Carlo Padoan è il nuovo Ministro dell’Economia e delle Finanze: professore di economia alla Sapienza di Roma; vice segretario generale e capo economista dell’Ocse; presidente dell’Istat in pectore. Si è puntato quindi nuovamente su un tecnico, facendo leva sulle relazioni nella comunità internazionale che dovrebbero essere utili per dare garanzie all’Europa. Non male, fin quando andiamo a ricordare il suo periodo di consulenza alla presidenza del consiglio tra 1998 e il 2001 per Massimo D’Alema e Giuliano Amato, che ci fa capire quindi quale è il pensiero economico del neo-ministro: si salvi chi può!

Se da un lato il neo ministro ha detto che ci sarà l’impegno a diminuire il cuneo fiscale (come dicono tutti del resto), dall’altro lato si prospetta, come abbiamo potuto ascoltare in questi primi giorni del nuovo governo, un aumento dell’imposizione sui consumi e sui patrimoni poiché, a detta di Padoan, “sono tasse che non penalizzano molto la produttività del paese e hanno effetti più limitati sulla crescita economica, rispetto a quelle sul lavoro”, e quindi più facilmente imponibili. Questo vorrà dire, quindi, che non ci sarà un alleggerimento del prelievo fiscale sugli immobili, anzi ci sarà un probabile ulteriore aumento in virtù della Tasi e della Tari a partire dal prossimo giugno. E poi nuove accise sulla benzina e ancora rialzi dell’Iva. Infine un aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie, oggi colpite al 20% e destinate a salire fino al 30% affinché sia più vicina alla media europea. Che sia allora l’inizio per arrivare ad una maxi patrimoniale, proprio come voleva Amato?

BOT

Tra le idee, che riguardano la tassazione sulle rendite finanziarie, vi è quella di un possibile innalzamento dell’imposizione sui BoT, che ad oggi godono di una tassazione privilegiata rispetto alle altre rendite, con un’aliquota del 12,5%. Un’idea caldeggiata da diversi esponenti del PD, ma che risulta inefficace. È interessante ragionarci su. Aumentando la tassazione sui titoli di Stato diminuisce la domanda e quindi il prezzo dei titoli stessi. Di conseguenza, essendo il prezzo dei titoli di Stato inversamente proporzionale al loro rendimento, crolla il prezzo e aumenta il rendimento. Cioè, per poter continuare a piazzare le proprie obbligazioni, lo Stato dovrà ricompensare gli investitori offrendo loro un rendimento lordo più alto, in modo che il rendimento netto per gli investitori sia uguale. È una cosiddetta partita di giro. Risultato: l’effetto netto sul bilancio è pressappoco nullo.
Consiglio di dare un’occhiata al link ”http://noisefromamerika.org/articolo/illusioni-tassazione-sostitutiva-bot-3“, in cui sono spiegate approfonditamente le dinamiche, sia nel caso in cui tale tassazione si dovesse applicare su titoli di nuova emissione (il caso appena trattato) che di vecchia.

Questa dovrebbe essere una delle manovre da attuare per raggiungere i dieci miliardi utili per ridurre il cuneo fiscale. Dalla quale però, come abbiamo detto, si potrebbe guadagnare ben poco, solamente circa 400 milioni, secondo alcune analisi. Tassare le rendite finanziarie non ha mai portato a grandi risutati: basti pensare alla Tobin Tax, l’imposta sulle transazioni finanziarie, introdotta lo scorso anno e che ha portato nelle casse dello Stato meno di 200 milioni.
Meglio concentrarsi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici e sul taglio di una spesa pubblica più che mai improduttiva.

Andrea Garofalo


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