Il padre della sposa

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Fra i miei sogni c’è questo: mia figlia si sposa con una sontuosa cerimonia. Poi c’è un grande ricevimento a casa, poi mia figlia parte in viaggio di nozze con la macchina che si tira dietro una sfilza di barattoli e sfoggia sul lunotto posteriore la scritta OGGI SPOSI, poi tutti gli invitati se ne vanno, mia moglie e io rimaniamo soli nel soggiorno pieno di bottiglie vuote, piatti sporchi e fiori appassiti. Ci scambiamo un’occhiata. Si è conclusa una fase della nostra vita, da quando abbiamo portato a casa dalla clinica la neonata che oggi si è sposata e ci ha lasciati. Così, acceso lo stereo, mi avvicino a mia moglie che mi guarda con gli occhi lucidi, la prendo fra le braccia e la guido in una romantica danza fra i piatti sporchi, le bottiglie vuote e i fiori appassiti. La malinconia della fine è mitigata dalla speranza di un nuovo inizio.

D’accordo, è ricalcato sul film Il padre della sposa (mi piace quello vecchio con Spencer Tracy e Katharine Hebpurn, i remake non mi sembrano all’altezza). Ho un debole per il dolceamaro. Fra i miei ricordi ci sono molte fini: la fine del giorno di Natale, la fine di una giornata di giochi con i piccoli amici, la fine di un matrimonio all’uscita di un tribunale, la fine di una persona cara all’uscita di un ospedale. A volte mi piace ricatturare quella struggente malinconia, quel triste senso di vuoto accompagnato dalla gioiosa speranza di un nuovo inizio.   

Dragor