Cristiano De Eccher (PdL)
Il 19 aprile 1945 si può dire che inizi il compimento della Guerra di Liberazione italiana, con l'ordine, arrivato dai vertici del CLN, dell'attacco generale. I partigiani scesero dalle montagne nei centri cittadini del nord del Paese, occuparono le fabbriche e le sedi dei giornali, mentre i nazifascisti battevano ovunque in ritirata. Il 21 aprile venne liberata Bologna, a Modena toccò il 22, Reggio Emilia e Genova il 24, Parma, Milano e Torino il 25 aprile.
Il 27 aprile Benito Mussolini venne catturato a Dongo, e impiccato il giorno seguente.
Il 29 aprile, finalmente, la resa dell'esercito tedesco: il CLN assunse tutti i poteri civili e militari. La guerra, sul suolo italiano, era terminata.
Infine il 2 maggio, a due settimane circa dall'inizio dell'attacco finale, la Resistenza italiana ebbe termine, almeno nei campi di battaglia: il generale britannico Alexander ordinò infatto la smobilitazione delle forze partigiane e la consegna delle armi.
A monito di quei momenti, con il Decreto Legislativo Luogotenenziale 185/1946, prima ancora della nascita della Repubblica, veniva individuato il 25 aprile, giorno della liberazione delle maggiori città del nord dell'Italia, come data dedicata al festeggiamento dell'Anniversario della Liberazione.
Da allora sono passati 66 anni, ma quest'anno, nel 2011, vi sarà un motivo in più per ricordare questa data ed i valori che ha rappresentato e rappresenta ancora.
Uno dei pilastri fondanti della Repubblica Italiana è il rifiuto dei valori del fascismo, l'imposizione della volontà della maggioranza, l'antidemocraticità, l'intolleranza. I padri costituenti, al momento della scrittura della Carta Costituzionale, inclusero un riferimento esplicito al ventennio mussoliniano, nella XII disposizione transitoria e finale.
È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.
Sulla base si questo principio è stata approvata la Legge 645/1952, la cosiddetta "Legge Scelba", pilastro della legislazione italiana in materia di antifascismo.
Proprio questo pilastro è oggi in pericolo, minato alle sue basi: il 29 marzo 2011 è stata infatti depositato al Senato l'Atto 2651, una proposta di legge costituzionale volta proprio all'abolizione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Senza di essa, naturalmente, la Legge Scelba si troverebbe senza alcun sostegno giuridico e anzi in aperto conflitto con altri articoli della Carta, e destinata quindi a sua volta ad una sua rapida abrogazione.
I firmatari della proposta sono stati quattro esponenti del PdL (Bevilacqua, De Eccher, Di Stefano e Totaro) ed uno di FLI (Digilio). Quest'ultimo ha poi ritirato il proprio supporto alla proposta di legge, mentre il senatore Bornacin (PdL) ha in seguito aggiunto il proprio sostegno aggiungendosi ai firmatari dell'atto.
Malgrado lo sdegno e l'opposizione che la presentazione dell'atto hanno suscitato in tutti gli schieramenti politici, PdL compreso, la proposta di legge non è stata ritirata, e giace in attesa dell'assegnazione alla I Commissione del Senato, pronta ad essere brandita come una clava politica all'occorrenza.
Le motivazioni formali che hanno provocato la presentazione della proposta di legge, reperibili nella relazione associata al progetto di legge, sono il risultato di un ragionamento basato su due fondamenta: la prima riguarda la "transitorietà" della disposizione, ormai in vigore da oltre sessant'anni e quindi con un carattere che di transitorio ha ormai ben poco; la seconda concerne invece il termine "disciolto", utilizzato in tal senso per stabilire che i padri costituenti si riferivano espressamente al partito fascista mussoliniano, quello attivo fino alla II Guerra Mondiale. Poiché, ragionano i promotori della legge, al giorno d'oggi esistono ben poche possibilità che appaia sulla scena politica un partito con le caratteristiche del PNF, la XII disposizione non ha più senso di restare in vigore.
Secondo i promotori dell'atto, la stessa interpretazione della disposizione offerta dalla Legge Scelba risulta quindi essere eccessivamente restrittiva, in quanto considera riconducibili al fascismo atti e ideologie non direttamente associabili al partito mussoliniano.
Per tentare di valutare in maniera oggettiva la proposta di legge, occorre affrontare la questione da tutte le angolazioni possibili.
La prima domanda, naturalmente, è cui prodest? A chi gioverebbe l'abolizione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, e con essa della legge Scelba? La risposta è evidente: a chi ha interesse a fondare gruppi e associazioni di stampo fascista, magari sotto altro nome. A tale proposito è emblematica la figura del primo firmatario della proposta di legge, il senatore Cristiano De Eccher.
Trentino di origine, De Eccher è stato responsabile del Triveneto dell'organizzazione di estrema destra di ispirazione nazionalsocialista Avanguardia Nazionale, fondata nel 1960 da Stefano Delle Chiaie e poi disciolta nel 1976. Amico di Franco Freda, organizzatore della strage di Piazza Fontana secondo la sentenza del 2004 ma improcessabile in quanto precedentemente assolto in via definitiva per il medesimo crimine, a stretto contatto con i servizi segreti - la notizia della perquisizione nella sua dimora raggiunse direttamente il numero due del SID, il generale Maletti - De Eccher, secondo le testimonianze non verificate dei pentiti Izzo e Calore depositate alla Procura di Milano, sarebbe stato nientemeno che il custode dei timer delle bombe di Piazza Fontana, il terribile attentato nel cuore di Milano del dicembre 1969 che costò la vita a diciassette persone.
Dopo Piazza Fontana De Eccher venne sospettato di coinvolgimento in altri attentati riconducibili al terrorismo nero nel 1971 e 1972, fino poi ad essere arrestato nel 1973, per un ennesimo tentato attentato, e ancora nel 1975 come organizzatore di attività eversive in seno ad Avanguardia Nazionale. Nel 1992, dinanzi al giudice Salvini, dirà: Sono già condannato per oltraggio a pubblico ufficiale e a due anni di reclusione per ricostituzione del disciolto partito fascista.
Ed ecco come l'Atto 2651 improvvisamente può essere visto come il coronamento delle cupe ambizioni di un uomo, o per meglio dire di un gruppo di uomini, di ottenere per vie legali ciò che non riuscirono ad avere con le bombe ed il sangue.
In seconda analisi, naturalmente, si può provare a capire se e quanto l'interpretazione della Costituzione offerta dai promotori della proposta in analisi sia plausibile e corretta.
Il primo ragionamento esposto da De Eccher e dagli altri firmatari non è di fatto consistente: essi pongono l'accento sul termine "transitoria" del capo di cui fa parte l'articolo, ma l'insieme delle disposizioni è definito nella Carta come "transitorie e finali". I padri costituenti erano quindi ben decisi a inserire a margine della Costituzione degli articoli senza particolari scadenze temporali accanto a quelli con valenza solo temporanea. In particolare, sono stati i padri costituenti stessi a specificare quali disposizioni fossero transitorie e quali fossero finali esplicitando all'interno di ciascun articolo la sua eventuale durata temporale. Il fatto che tale accorgimento non sia stato usato per la XII disposizione la rende automaticamente appartenente all'insieme delle finali, e non a quello delle transitorie. Lamentare la sua permanenza del tempo adducendo a motivazione il termine "transitorio" è dunque semplicemente non corretto.
I promotori dell'Atto 2651 sostengono poi che il divieto di ricostituzione fosse circostanziato al PNF mussoliniano. In realtà l'intera nostra Costituzione è permeata dei valori dell'antifascismo, ed è pertanto naturale far discendere da questo - come ha recepito la Legge Scelba - che siano i valori del fascismo quelli da vietare e combattere, e non la costruzione di un'entità politica ben limitata storicamente. Questa lettura permette anche di capire il perché questo articolo sia stato inserito tra le disposizioni e non all'interno della Carta vera e propria: di fatto costituisce un'eccezione ai principi descritti nella Costituzione, un'eccezione motivata dalla necessità di escludere tutte le forze estranee ed avversarie ai valori contenuti nella Carta stessa. La Costituzione è scontrata quindi con la necessità logica di violare le regole che rappresenta per impedire rappresentanza politica a chi osteggia e combatte quei medesimi valori, e ha risolto l'impasse in maniera sufficientemente elegante posizionando tale articolo non all'interno della Carta stessa, ma in una sua appendice, ovvero un elemento esterno dotato però del medesimo valore legale.
Una simile lettura, valoriale anziché letterale, appare quindi - oltre che più elegante dal punto di vista formale - sia maggiormente vicina al senso comune, sia avallata dal contenuto della Legge Scelba, legge non per nulla osteggiata dai promotori dell'Atto 2651.
La necessità di proteggere la struttura democratica della legge italiana da violazioni di stampo dittatoriale e autoritario è la base dell'obiezione che si può muovere ad un terzo tipo di critica, ovvero che la XII disposizione costituisca una violazione della libertà di pensiero e di espressione e come tale sia un grave errore compiuto dai costituenti.
Senza alcun dubbio il fascismo fu un movimento popolare con un vasto seguito, rappresentativo di un'idea politica e sociale e di un certo modello di società. Tuttavia tale modello risulta incompatibile con la sopravvivenza delle istituzioni di tipo democratico. Il rifiuto di ammettere il fascismo - inteso in senso lato, come persecuzione delle opposizioni, come autoritarismo, come accentramento dei poteri in pochissime mani, se non una soltanto - nella vita politica del Paese deve quindi essere visto come il rifiuto di ammettere ideologie distruttive per la convivenza civile e democratica del Paese; non quindi privazione della libertà di espressione, ma anticorpo indispensabile per la sopravvivenza dello Stato democratico quale noi lo conosciamo.
Quest'anno, il 25 aprile ha veramente un motivo in più di essere festeggiato.