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Il peccato dell’ateismo militante: per negare Dio, deve negare l’uomo

Creato il 11 gennaio 2012 da Uccronline

Il peccato dell’ateismo militante: per negare Dio, deve negare l’uomo
 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

Alcuni grandi poeti, da Verlaine a Pascoli a Pirandello, sono vissuti nell’epoca del positivismo scientista, che proponeva di sostituire Dio con l’uomo, la teologia con la scienza, l’immortalità dell’anima con l’onnipotenza della tecnologia e delle scienze esatte, le quali, secondo alcuni, porteranno l’uomo alla felicità e all’immortalità già su questa terra. Sono vissuti nell’epoca del Titanic che affonda, nonostante tutta la sua prosopopea, e della onnipotenza tecnologica che si rivela, se utilizzata male, mortale e distruttiva nella I° guerra mondiale. Eppure loro, non credenti, non hanno dovuto certo aspettare il fallimento del positivismo e l’affondamento dei Titanic, per intuirli, per prevederli, per comprendere che l’uomo non basta a se stesso, che nessuna ricetta di salvezza prodotta da qualche fervida mente terrestre esaurisce l’immensità del desiderio e i misteri della realtà, terrena e celeste. Sapevano molto bene che se Dio c’è, o se solo lo si ritiene possibile, ogni ricerca è aperta; ma se non c’è, la ricerca è già finita, lo scopo del viaggio dell’esistenza, già da principio, negato.

Poeti come Baudelaire, Montale, Verlaine, Pascoli, Huysmans, Ungaretti, sapevano infatti, in mezzo alle trincee, dinanzi alla morte, allo spleen, al male di vivere, alle illusioni politiche dei loro contemporanei intruppati con le loro camice rosse, o nere, o brune, che solo se Dio esiste, noi siamo veramente, durevolmente, significativamente; solo se Lui è, non vi è il nulla a precederci ed il nulla a non attenderci; solo se Lui è, i nostri pensieri, i nostri atti sono non soffi di vento, né gesti inconsulti nel vuoto, né istanti separati secondo il prima e il poi, ma costituiscono una identità, una storia, una vicenda unica e irripetibile, dotata di senso; solo se Lui è, se il nostro essere partecipa del suo Essere, allora ha senso amare, perseguire la verità, la giustizia, distinguere tra vero e falso, scegliere tra bene e male. Solo se Lui esiste ha senso che ogni cosa terrena ci dica: non basto, “più in là”, perché ogni oggetto terrestre si rivela povero, ogni amore umano incompleto, ogni giustizia mancante, ogni felicità incompiuta, ogni bene, per quanto immagine e presagio di un Bene più grande, corrotto, di contro al nostro desiderio infinito di Felicità. Se Lui non è, insomma, tutta la nostra esistenza cade nell’assurdo, e il suicidio diventa l’unico gesto possibile, una protesta contro il non senso, oppure l’ammissione che vivere o morire, amare o scomparire, uguali sono. “Vi è un solo problema filosofico – scriverà coerentemente l’ateo Camus- veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita vale la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”.

La grandezza dell’ “ateismo tragico”, che vero ateismo non è, sta in questo: che non si rassegna a negare Dio, per non dover negare anche l’uomo. Per coloro che indagano l’uomo, egli rimane un grande miracolo, un mistero che non è possibile ridurre, come fanno tutte le ideologie atee, a infinitamente meno di ciò che egli è. Perché negare Dio ha significato, da sempre, ridurre l’uomo ad un elemento della natura, equivalente ad un sasso o un albero; ridurlo via via a frutto del Caso, a un “esito inatteso”, a una “eccezionale fatalità”, a un aggregato di materia senz’anima, a un meccanismo geneticamente determinato, a un membro indistinto di una non meglio identificata Umanità, di una Razza o di una Classe sociale. E’ infatti una caratteristica tipica di tutti gli ateismi – da quello darwinista-materialista a quello marxista, da quello animalista a quello new age – quasi un risentimento, un rancore verso l’uomo, come singolo, unico e irripetibile, che reclama testardamente un senso più alto. Già il filosofo illuminista d’Holbac, uno dei più coerenti e influenti atei del secolo dei cosiddetti Lumi, sosteneva che l’uomo è un essere presuntuoso e superbo, che non comprende la sua contingenza, il fatto che può essere o non essere, dal momento che solo la materia è necessaria. L’uomo sarebbe opera della natura, infinita, eterna, immortale, e null’altro: “non può nemmeno nel pensiero uscirne. Inutilmente il suo spirito vuole lanciarsi al di là dei limiti del mondo visibile”. Gli faceva eco, nella sua “Lettera sui ciechi” (1749), prefigurando un argomento che sarebbe diventato centrale per gli evoluzionisti materialisti, l’ateo Diderot, descrivendo la genesi del cosmo da una serie di tentativi ed errori “fortunati” della natura, da una congerie di combinazioni e trasformazioni casuali alla fine delle quali l’uomo avrebbe benissimo potuto non comparire. Se allora è, è per caso, “quest’essere orgoglioso che si chiama uomo, [che] dissolto e disperso tra le molecole della materia, sarebbe rimasto, forse per sempre, nel numero dei possibili”. Sarà, questo della possibilità dell’uomo di essere o non essere, come un accidente o un incidente qualsiasi, un leit motiv di tutta la propaganda atea degli ultimi due secoli, sino alle definizioni di uomo come “un numero uscito alla roulette” del celebre scienziato J. Monod , come “figlio del caso” di Telmo Pievani, come “cancro del pianeta”, secondo l’ottica di tanti movimenti animalisti, o come “incidente congelato”, che c’è, ma avrebbe potuto anche non esistere, del celebre fisico, biologo e genetista evoluzionista Edoardo Boncinelli.

Ma se Dio non esiste, allora chi è quell’essere che canta, suona, dipinge, scolpisce, che da sempre si chiede il senso della sua vita, che immagina che la sua anima sia immortale, che si domanda cosa siano il bene e il male, che crea la filosofia per comprendere l’archè, l’origine di tutto, che ragiona e scrive, in ogni secolo, di valori, di verità da cercare, di bene da compiere, di meccanismi della natura da capire… che da sempre, unico tra tutti gli animali, costruisce tombe per i suoi cari, gettando così un ponte tra l’aldiqua e l’aldilà? Chi è, se non un pazzo che esalta ingiustamente il suo destino oltre le stelle, mentre dovrebbe sapere che finirà sotto terra, per sempre e null’altro? Chi è, se non un essere più stupido, più spregevole degli animali, che non cercano, non indagano, non sperano, ciò che, in verità, appunto, non esiste? Eppure non è difficile accorgersi, come scriveva Pascal, che “l’uomo supera infinitamente l’uomo”, che la natura umana, composta di anima e corpo, supera infinitamente quella delle altre creature: non solo osservando la vita morale degli uomini, la loro possibilità di dire “io”, di imporsi sulla loro stessa natura animale, ad esempio offrendo la propria vita per il prossimo, ma anche riconoscendo che l’uomo indaga e conosce, sempre più, la natura di ciò che gli è inferiore, comprende il moto delle stelle e scruta le leggi della cellula, viola gli spazi stellati e percorre i mari, ma rimane perfettamente incapace, oggi come ieri, di definire con una formula, di rinchiudere in una legge, di comprendere con le scienze – naturali, mediche, biologiche, fisiche – la coscienza, la libertà, l’intelligenza, il desiderio di infinito, la aspirazione a Dio.

Si comprende anche qui che l’ateismo è una “fede”: chi non crede in Dio, crede, di conseguenza, a una grande quantità di cose sull’uomo, sulla sua natura, sul non senso della sua vita. Di conseguenza, se è coerente, imposterà la sua vita su alcuni dogmi: uomo uguale animale, uomo uguale materia, vita terrena uguale unico orizzonte dell’uomo…bene e male, vero e falso non esistono, o meglio, si equivalgono e sono in balia del capriccio umano… Scriveva molto logicamente l’ateo Sartre: “L’esistenzialismo pensa che è molto scomodo che Dio non esista, poiché con Dio svanisce ogni possibilità di ritrovare dei valori in un cielo intelligibile; non può più esserci un bene a priori poiché non vi è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo; non sta scritto da nessuna parte che il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire e per questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente degli uomini” (J.P. Sartre, “L’esistenzialismo è un umanesimo”, Milano, 1963, p.46).  In verità, prima che negare Dio, l’ateismo nega l’uomo.

Da: Perché non possiamo essere atei (Piemme 2009)
 


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