Essere se stessi
In occasione della giornata internazionale contro la violenza di genere, il 25 novembre di quest’anno, a Frosinone, uno dei relatori, uno psichiatra, spiegava che gli uomini spesso sono violenti con le donne perché per loro l’altro sesso è come una lingua straniera: servirebbe una maggiore “alfabetizzazione”, per portare l’uomo a comprendere la donna, le sue ragioni, i suoi sentimenti, ed evitare così l’esplosione di rabbia incontrollata, che nasce anche dalla mancanza di comprensione.
Io vorrei estendere il concetto anche a persone viste come diverse, accantonate dalla ribalta sociale perché solitarie, schive, apparentemente incomprensibili.
Sono passati 5 anni da quando il mio amico Vittorino si è gettato dal 6° piano di un edificio, nei pressi del Colosseo, a Roma.
Ebbene, lui probabilmente era visto come un diverso, come un elemento di disturbo per questa nostra società: troppo sensibile per reggere l’urto del quotidiano, dopo un innamoramento dall’esito infelice, era sprofondato in una depressione che ne aveva mutato per sempre il carattere.
Sentiva il peso della società. Per lui vivere l’altro era un problema, e lui stesso non veniva più accettato per questo. Ricordo lunghe chiacchierate, a criticare questo o quel difetto di una società indifferente, cattiva, egoista, chiusa a riccio nei propri obiettivi, dimentica di un senso di solidarietà che non sia pura salvezza della propria coscienza.
Voglio ricordare Vittorino con questo blog, probabilmente perché lui più di ogni altro ha condiviso con me una critica serrata del vivere associato, delle relazioni umane. Tra le mie poesie e le riflessioni su Marx, tra le osservazioni sugli ospiti del Maurizio Costanzo Show e le teorie di Cesare Lombroso, amava passare momenti in cui poteva dar sfogo all’insoddisfazione per le ipocrisie, i difetti della gente.
Lo so, vivere così non è bello; bisogna farsi forza e affrontare la propria vita, costruendo alternative e non solo demolendo a parole ciò che non si accetta.
Il peso della società è ciò che la società non ti permette di essere; un sistema sociale ammette solo alcune opzioni di vita, rifiuta membri che si discostino troppo dai modi e dagli scopi, li emargina, li isola, li punisce o fa in modo che la sanzione sia auto-inflitta.
Non c’era spazio per Vittorino ? Era recuperabile come persona ? E’ stato fatto abbastanza per permettere ad un ragazzo di 33 anni di collocarsi in un ruolo definito nel suo universo sociale ?
Domande che non troveranno risposta facile.
Il rammarico ultimo per me è la sofferenza non compresa pienamente, la lontananza da lui negli ultimi mesi di vita.
Amico fraterno, posso solo ricordare l’animo buono, il sorriso, la bravura come musicista.
Cercherò di non dimenticare la lezione di vita nell’essergli stato amico: sforzarsi di comprendere le ragioni di chi non accetta le regole del vivere associato, di chi propone altri modelli, alternative ad un sistema sociale che, lontano dall’essere pienamente umano, lotta con l’individuo per appropriarsi del suo animo, corrompendolo, inducendolo ad adeguarsi sempre e comunque, al punto che di lui non rimane più niente di spontaneo, di profondamente ‘suo’, se non nei momenti in cui si rifugia negli affetti più cari e in sé stesso.
Mi manchi, amico mio: oggi più di ieri.
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