Domani il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia sarà ospite dell’inaugurazione dell’anno accademico della Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta), Ateneo non statale d’ispirazione cattolica di Roma. Rubbia, professore al Cern di Ginevra e membro della Pontificia Accademia delle Scienze, terrà l’intervento “Responsabilità e doveri della scienza nella società moderna”. Prima della cerimonia lo scienziato incontrerà i giornalisti in una conferenza stampa-dibattito. Lo apprendiamo dalla locandina promozionale della Lumsa.
Su l’Agenzia Sir troviamo le parole usate del rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre, per presentare l’evento: «I saperi scientifici non possono assolutamente essere ignorati da una Università che vuol essere luogo di convergenza dei vari rami delle conoscenze umane. Ed in effetti in più ambiti di sapere coltivati nel nostro Ateneo il confronto con le conquiste della scienza e della tecnologia è quotidianamente presente. C’è poi la grande ed affascinante provocazione intellettuale che oggi, ancora più che ieri, nasce dal confronto tra fede e scienza in un luogo di studio qual è la Lumsa, istituzione universitaria di ispirazione cattolica». Dopo il saluto del card. Attilio Nicora, presidente CdA Lumsa, la relazione del rettore sull’attività d’Ateneo nell’anno accademico 2009-2010. A seguire l’intervento di Rubbia e la prolusione della sociologa Consuelo Corradi “Un vuoto d’uomini. Lo sguardo della modernità sulla bellezza”.
In varie occasioni il fisico Rubbia ha offeto riflessioni interessanti sul contibuto che il suo impegno scientifico ha impresso nella sua visione esistenziale. Ad esempio: «La più grande forma di libertà è quella di potersi domandare da dove veniamo e dove andiamo. Non esiste forma di vita umana che non si sia posta questa domanda. E non c’è forma di società umana che non abbia cercato in qualche modo di darvi risposta. Il mancare a questo appuntamento è una perdita, una disumanizzazione, un meccanismo interno di autopunizione. Quello che impressiona di più, della domanda, è la sua universalità. È comune a tutti. […] Credo che tutto ciò faccia parte di un nostro bagaglio etico, e penso che quello che conta sia il rispetto del nostro umanesimo, del nostro essere uomini. E poiché tutti noi pensiamo che il nostro essere uomini sia qualcosa che ci mette al di sopra di tutti gli altri esseri viventi sulla terra, per forza dobbiamo anche pensare che siamo stati fatti ad immagine di qualcosa ancora più importante di noi. È difficile non crederci, quasi impossibile. È addirittura inevitabile. Talmente inevitabile che penso sia scritto dentro di noi. […] La natura è costruita in maniera tale che non c’è dubbio che sia costruita così per un caso. Più uno studia i fenomeni della natura, più si convince profondamente di ciò. Esistono delle leggi naturali di una profondità e di una bellezza incredibili. Non si può pensare che tutto ciò si riduca ad un accumulo di molecole. Lo scienziato in particolare, riconosce fondamentalmente l’esistenza di una legge che trascende, qualcosa che è al di fuori e che è immanente al meccanismo naturale. Riconosce che questo “qualcosa” ne è la causa, che tira le fila del sistema. È un “qualcosa” che ci sfugge. Più ci guardi dentro, più capisci che non ha a che fare col caso». (C. Rubbia in E. Ferri, “La tentazione di credere“, Rizzoli, Milano, 1987, pag. 205)