È qualche tempo che vengo a sapere – per vie traverse perché la gente così non ha mai il coraggio di esprimere apertamente le proprie “opinioni”- che c’è più di qualcuno che ritiene che la mia condizione sia una condizione “privilegiata”.
qui una diapositiva di quando anche la Monroe lavorava da casa…
E non intento solo la condizione di “disoccupata”, ma quel vario limbo in cui, dopo la disoccupazione nera, cerchiamo di trascinarci noi “poveracci a piede libero”, quell’inferno simildantesco costituito di vari gironi e gradi di occupazione in cui ci ritroviamo senza la minima capacità di uscirne dignitosamente: occupazione a fasi alterne, disoccupazione a fasi cicliche, freelanciato, libero professionismo, partitaivismo etc.
Ognuno di noi ne ha provata più di qualcuna, di queste soluzioni: dipende da ognuno di noi, e da nutrite dosi di botte di culo, che funzionino più o meno bene. In funzione delle nostre necessità, obiettivi, carattere, etc.
Io ad esempio non ho fatto mistero della mia soddisfazione nel trovarmi in questa condizione (parlo dell’essere riuscita a ”riciclarmi” come freelance) che, tolti i crucci in merito al vile denaro, molto più si confà al mio carattere della triste vita da ufficio, ad esempio. Che se non fosse che si fa la fame, stroncati da tasse e balzelli, sarebbe proprio il paradiso per me!
E tuttavia forse è proprio questo il mio errore: il non aver fatto mistero dei miei pensieri “soddisfatti” e del mio positivismo: che la gente poi si sente in dovere di “invidiarmi”, e di sparlarmi alle spalle, come sempre, di trovarmi difetti e rinfacciarmi cose, come se la mia “felicità” o soddisfazione fosse un affronto alla loro condizione di disagio.
Perché sono dei disagiati, capite: vivono con l’obbligo di alzarsi ogni mattina per andare in un ufficio pieno di gente che odiano, a fare un lavoro che odiano, timbrano il cartellino e hanno orari fissi (così come fissi sono lo stipendio e i contributi che per loro vengono versati dalle rispettive aziende… ma questi sono solo dettagli: la cosa veramente importante è il loro disagio, la pena con cui vivono questa “galera”), e non possono, proprio non possono farla finita e – dio ci scampi – LICENZIARSI, nemmeno quando la situazione per loro si fa insostenibile. No. Loro non sono mica “fortunati” come noi: loro devono stringere i denti, sopportare e andare avanti, mentre noi facciamo “la bella vita”.
E se gli dici “vieni anche tu a fare il disoccupato con me: l’acqua e calda e siamo in buona compagnia” ti guardano con disprezzo perché tu non puoi capire la loro “condizione”. TU.
Tu non puoi capire.
questa una diapositiva della mia reazione quando sento certe boiate
Ecco, io sono giunta alla conclusione che sia questo il Grande Male di questi tempi moderni: l’incomunicabilità fra “noi” e “loro”, l’incapacità di immedesimarci. O per lo meno, noi il “loro” lo abbiamo vissuto.. ma forse un po’ ce lo siamo dimenticato? Non so, io lo ricordo bene e se si trattasse di poter fare una scelta… no, indietro non tornerei, se solo potessi permettermelo. Ma loro? Loro si permettono di giudicare la nostra felicità e il nostro benessere pur non essendo mai stati dalla nostra parte: lo fanno dall’alto delle loro posizioni “sicure”, dei loro stipendi fissi e contributi versati, delle malattie e ferie pagate, dell’orario fisso e stabilito, dei giorni di festa comandata e delle job description nitide e pulite.
E capite che questo mi fa incazzare.
Salvo che poi ci penso un po’ su e capisco che si.. forse se fossi al loro posto (e non avessi vissuto ormai tre anni da questa parte della barricata) un po’ mi invidierei anche io. Un po’ tanto in effetti.
Cosa c’è infatti da NON invidiare a una che:
- Non punta la sveglia da circa 1 anno e mezzo: tanto non ha nulla di così urgente da fare, treni da prendere o cartellini da timbrare, e comunque a farmi alzare ci pensa il gatto
- Non toglie il pigiama per andare a lavoro (cioè, capitemi: questo è forse il privilegio più grosso, soprattutto nelle fredde mattinate invernali)
- Non deve trascorrere il suo tempo in ambienti malsani, poco illuminati, mal frequentati, troppo freddi d’inverno (o forse troppo caldi) e troppo condizionati d’estate (o forse troppo soffocanti): a noi “casalinghe freelance” ci basta aprire la finestra per respirare bene e uscire a fare due passi per “staccare la spina”, e senza dover rendere conto a nessuno
- Non deve render conto a nessuno, né tantomeno rientrare in certe logiche “da ufficio” ormai tristemente note.. e assassine
- Vive le sue giornate “alla giornata” appunto, con contratti e collaborazioni varie che saltano di 3 mesi in 3 mesi… senza sicurezze, senza fissità, con la libertà di un uccel di bosco… ah, il privilegio di poter scegliere! Ah, la certezza che non ci sia alcuna certezza nel domani… che bella cosa, eh?
- Ha un sacco di tempo libero, e per forza che riesce a fare tutte quelle cose che fa: non ha un czz altro da fare!
- Se trova un lavoro è anche strapagato, per poi non avere gli “obblighi” che ha la gente “normale”… eh si, perchè di certo l’azienda non gli chiederà di fare 1000+1 cose, nessuna delle quali previste dal contratto di collaborazione (QUALE contratto di collaborazione???), o di lavorare senza orari e senza certezze (tanto lavori da casa, puoi ottimizzare no? che ti costa accendere il pc alle 9 di sera per quella modifica urgente che non possiamo chiedere a chi qui è assunto e alle 18 s’è fatto cascare la penna e si è diretto verso casa dopo una luunga giornata di lavoro?) e in cambio lo ricoprirà di denaro pur di non dovergli pagare i contributi (che notoriamente invece alla “gente normale” vengono stornati dal compenso netto previsto dal CCNL di categoria, giusto?)
- Fa parte della felice “famiglia fiscale” dei contribuenti autonomi: ovvero si versa a proprie spese tramite tasse da strozzinaggio i contributi per una pensione che non vedrà mai… fra le altre cose, perchè non trova un’azienda che voglia versarle quei contributi o “metterla in regola” nemmeno quando la legge lo richiede, a volte. Oh, gioia gaudio e tripudio, soprattutto a novembre quando deve versare L’ACCONTO sulle suddette tasse, su importi “stimati” di introiti che probabilmente l’anno successivo non vedrà mai…
E visto che siamo in periodo, aggiungerei:
- Non deve chinare il capo e sottostare a quella tortura medievale che sono LE CENE AZIENDALI DI NATALE: tutte sorrisi falsi e team building di circostanza, fatte i location tristi e mangiare schifido… ok, non mi spingo oltre.
E quindi, tutto considerato, gente mia continuate pure ad invidiarmi… invidiatemi fino a scoppiare. Io intanto so che per vivere come me ci vuole del gran coraggio, del coraggio come voi non ne avete e non ne avrete mai, perciò… a me fate pena, perché non sapete cosa “vi perdete”.
Ok, adesso vado a giocare un po’ con la mia bigiolina amorosa, e poi chissà.. la giornata è piena di promesse.
Oh oh oh… e vi auguro un Buon Natale!
Soprattutto a quelli che “devono” lavorare per gente come me, che nei giorni di festa ama andare al centro commerciale così, per rompere le palle a chi ci lavora :D
(Sto scherzando, ma non troppo)
ps. vedete la mia profonda abitudine al NON AVERE una busta paga mi ha spinta a “Dimenticare” casualmente uno dei tanti privilegi di cui gente come noi non gode… una busta paga regolare, appunto (noi che ci divertiamo un sacco ad attendere i comodi dei committenti e quando “hanno voglia” di pagarci), e la famigerata, famigeraterrima, tanto lumata e ahimè volatilizzata TREDICESIMA (e magari anche quattordicesima) in busta paga!
Si, quella con cui la gente normale ci paga le bollette di novembre e compra i regali di Natale, quella con cui va a farsi il viaggetto di Capodanno o la settimanina bianca. QUELLA.
E per non parlare degli 80 euri…….. no, di quelli non parliamo che mi viene il sangue cattivo, e io invece lo voglio buono, buonissimo, che più buono non si può.. che magari a Babbo Natale viene voglia di farmi almeno 1 regalo….