Il racconto “I sapori della vita” di Gina Pepe per WINE ON THE ROAD
Da Silviamaestrelli
Gina Pepe nata a Tricarico, è residente a Empoli. Diplomata presso l’I.T.C. Enrico Fermi di Empoli, è impiegata presso la Banca C.R. Firenze. Partecipa a vari laboratori di scrittura creativa presso l’associazione culturale Elan Frantoio di Fucecchio, diretta dalla scrittrice e regista Firenza Guidi e a vari concorsi letterari per racconti brevi. Per “Wine on the road”, concorso letterario 2011 di Villa Petriolo, scrive il racconto “I sapori della vita”. Racconto “I sapori della vita” di Gina Pepe. Era Ferragosto e sembrava che il sole fosse sceso a festeggiare insieme ai contadini, tanto scaldava e tanto feriva gli occhi con i suoi raggi. Ai lati della strada asfaltata ( se così la si può chiamare) la campagna lucana sembrava un deserto americano. Lo sguardo si perdeva in quell’immensa distesa di zolle arate dalla mano dell’uomo, bruciate da Apollo e dimenticate da Dio. Eugenio, in piedi accanto alla sua Land Rover rossa, fissava il “cratere” che aveva fermato il suo galoppo. “ Spaccheremo la macchina! Torniamo indietro!” gli gridava Lucia, sua moglie, agitandosi da dentro l’abitacolo. Nella mente di Eugenio cominciarono ad affiorare i ricordi dei racconti di suo padre. Cercò di immaginarsi la vecchia mula dello zio Peppe ,che probabilmente proprio in quello stesso punto chinava beffardamente la testa rifiutandosi di andare oltre, e i due fratelli che, forti dei loro venti anni e del buon vino che, come una linfa, nutriva i loro muscoli, cercavano di convincerla spingendola da dietro e spronandola con urli e fragorose risate. E fu allora che Eugenio risalì in macchina in preda ad un attacco di ilarità e piano, piano si rimise in cammino e riuscì a superare quell’ostacolo che poco prima era parso, ai suoi occhi milanesi, insormontabile. Ancora per un altro chilometro non incontrarono che rotoloni di paglia e spaventapasseri. Ascoltavano le voci di quel silenzio: il vento che accarezzava le loro mani rivolte verso il cielo, le campane delle mucche in lontananza, il canto degli uccelli in volo. Con il pensiero ancora perso nei racconti di mamma e papà, a Eugenio sembrava di sentire in lontananza il rumore delle falci che tagliavano il grano, gli sforzi dei contadini, il canto delle donne che davanti ai casolari riempivano i materassi per le signore del paese, e le risate delle bambine che giocavano con le nuove bambole ricavate dalle foglie di granturco. I cani che abbaiavano e che seguivano la Land Rover con l’entusiasmo di un bambino che segue un aquilone, lo riportarono alla realtà. La strada si era fatta molto più stretta; ai lati vi erano vari casolari e gli uomini li salutavano togliendosi i cappelli. Sul muro di quello che aveva tutta l’aria di essere un granaio, una scritta annunciava: “Masseria di Calle.” “Ci siamo” disse Eugenio alla moglie ,“quella lassù in alto a sinistra è la casa dello zio Peppe!” Erano passati anni dall’ultima volta che era stato lì, ma quell’albero era sempre in fondo alla salita piena di sassi, il pergolato era ancora alla destra sull’aia,e le caprette erano ancora nel recinto a sinistra. La zia Maria li aspettava all’angolo della stalla: con la mano destra sistemava la ciocca di capelli che scappava dal fazzoletto nero annodato alla nuca, e con la sinistra teneva un secchio che, sicuramente, di lì a poco avrebbe riempito con quegli splendidi fichi neri che crescevano come funghi sull’albero dietro la rimessa degli attrezzi. La sua andatura lenta e i solchi che le rigavano il volto e le mani erano la prova di quanta vita fosse passata. L’abbraccio con il quale zia e nipote si salutarono era tuttavia prova di quanto si possa continuare a vivere vicini pur essendo lontani. “Manca poco vedo?” disse la zia Maria a Lucia toccandole il pancione che spuntava fiero sotto la maglietta aderente. Lucia era nata e cresciuta a Milano, non aveva mai toccato una mucca in trent’anni né, tantomeno, aveva mai tenuto nelle mani un uovo appena covato. E fu così che, per curiosità, i due ragazzi passarono il pomeriggio a mungere il latte e bollirlo, a raccogliere uova , a pascolare il gregge nei campi insieme ai cugini e ai due fedeli cani. Si allontanarono alla ricerca delle grotte dei briganti Cric, Croc, e Ninc Nanc , i cui spiriti, secondo le leggende del luogo, ancora girano per la campagna nelle sere d’estate, rubando l’uva e la Malvasia. Appena il sole cominciò ad allontanarsi e a ritirarsi dietro quegli alberi che si intravedevano in lontananza, l’aia cominciò a popolarsi: donne , bambini, anziane signore, ognuno con un cesto tra le mani che zia Maria si affrettava a portare dentro casa. Venne scaricata da un trattore una lunga tavola che fu apparecchiata e imbandita con tutto quello che la campagna poteva offrire: lunghe fette di pane, pomodori enormi, peperoni fritti , provolone, pecorino, formaggio con i vermi, mozzarelle, salsicce e capocollo. Per non parlare dei fichi! Ognuno si serviva e gustava il suo pasto al fresco ascoltando le storie degli anziani che animavano, insieme alla luna, quella meravigliosa serata. Lucia, che da sei mesi non metteva in bocca una fetta di prosciutto, perse il conto delle fette di capocollo e di fichi che riuscì a buttare giù insieme ai consigli ( in egual misura divertenti e spaventosi ) delle donne per il parto. Alla fine arrivò il momento del brindisi: ognuno teneva il suo bicchiere colmo in una mano e quei piccoli chicchi di uva nell’altra. “ Beviamo questa Malvasia alla salute..” recitò uno dei commensali “.. e alla buon’anima di compare Peppe, che ci ha lasciato questo vino”. “ Chissà se l’anno prossimo lo faremo di nuovo!” gli sussurrò all’orecchio la zia Maria, “ chi vuoi che lavori la vigna ormai.!” Fu allora che Eugenio guardò sua moglie, che non le era mai sembrata così bella e serena, e capì cosa doveva fare. “ Quanta strada bisogna fare prima di tornare finalmente a casa?” si domandò guardando una stella cadere proprio lì, vicino alla vigna...........
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