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Il reality horror di Avetrana

Creato il 26 ottobre 2010 da Barbaragreggio

Il reality horror di Avetrana

Avetrana, 60 giorni dopo. Sarah Scazzi, 15 anni, è morta. Il suo corpo esanime, devastato dall'acqua melmosa, è stato ritrovato 42 giorni dopo la scomparsa nel fondo di un pozzo, in località Mosca. Sarah non si è mai allontanata da casa, ha trovato la morte tra le pareti di un luogo famiare, strangolata dalla furia cieca di una mano amica. Lo zio Michele - quel Miché che cade in contraddizione, confessa, ritratta e sembra non aver ancora trovato la forza di dire tutto - ha pregato sulla tomba di Sarah, qualche Ave Maria sgranato in fretta sul ciglio rotondo del pozzetto, sotto il sole di un'estate morente. Sabrina, la cugina del cuore, l'amica inseparabile, piange pensando a Sarah, si rilassa leggendo Checco Zalone, mangia regolarmente, da dietro le sbarre della cella. Niente è come appare. Non lo è mai stato. Sarah che scappa, fugge lontano da Avetrana, campagna sul mare del Sud, piccolo centro che offre poco o nulla ai giovani. Sarah che chatta su facebook, crea profili, pianifica di cambiare vita. Sarah che adora la cugina Sabrina, ripete di voler essere adottata dalla famiglia Misseri, si lamenta perché sua madre - Concetta - non le fa abbastanza fotografie. Sarah che si fa coccolare da Ivano. Sarah e il suo contrario. Bella, eterea, i capelli biondi, il viso da bambina sotto il trucco pesante. Sarah che stringe al petto un pupazzo di stoffa, sorride davanti alla torta di compleanno, balla e canta con i compagni di scuola. Sarah che nessuno conosce e tutti giudicano. Sessanta giorni non sono stati sufficienti per fare chiarezza. Il reo confesso vacilla, punti oscuri non convincono gli inquirenti, contraddizioni che hanno il peso amaro della complicità tirano in ballo Sabrina. Una cugina che ammazza la sorellina piccola. Un orco che sbiadisce dietro l'alone confuso del padre innamorato di una figlia ribelle e prepotente. Una madre che soffre, mentre la sorella viene risucchiata nel vortice senza freni delle accuse mediatiche. Il reality show di Avetrana non accenna a diminuire. I riflettori sono accesi notte e giorno, puntati contro la porta marrone del garage di Via Deledda, pronti ad immortalare tutti gli spostamenti che avvengono dentro la casa degli orrori. Ma questo non è un film. Il diritto d'informazione è stato sopraffatto dalla curiosità morbosa. Erika e Omar, Rosa e Olindo, Annamaria Franzoni, Alberto Stasi, Amanda Knox. Assassini condannati e presunti omicidi. Tutto passa sotto la lente deformante della morbosità, il pubblico vuole sapere come si uccide, con quali mosse si infierisce contro il corpo di un'altra persona, se questa si lamenta mentre esala l'ultimo respiro. Tutti vogliono conoscere le nefandezze di questi esseri reietti che uccidono, mossi dalla follia. La gente cerca conforto nella pazzia, un balsamo per l'animo oscuro e imperscrutabile dell'uomo. La follia è una scheggia impazzita che dilania e frantuma. Basta rinchiuderla dietro una manciata di tubi circolari per placarla. Se fosse così non si spiegherebbe l'interesse attorno ad Avetrana. I colpevoli sono in cella, la giustizia farà il suo corso. Non è sufficiente per il popolo. La giustizia della gente ha tempi diversi, televisivi. Poche interruzioni pubblicitarie. Nessuna pazienza per i rilievi scientifici. I colpevoli devono pagare, ora e subito. Prima che inizi il Grande Fratello, possibilmente. Avetrana è il buco nero in cui l'Italia sta scivolando rovinosamente. Senza limiti né misura tutti parlano, esprimono giudizi, indagano, come se stessero guardando una puntata della Signora in giallo. Qui il giallo è vero. La morte non è frutto della mente di uno sceneggiatore, ma il risultato di un degrado sociale pesante e opprimente. Sarah non è più ad Avetrana, il suo spirito vola alto, osserva e s'interroga. Sarah è nel cuore di chi l'ha amata, dei suoi genitori, di suo fratello, non certamente nel cuore dei telespettatori. La smania di sapere, l'indecenza di fare annunci in diretta tv, l'onnipresenza di telecamere e microfoni, ha violato l'intimità di un'adolescente, rovistanto tra le pagine dei suoi diari, aprendo i cassetti della sua cameretta, frugando tra le pieghe dei suoi peluches. E Sarah in tutta questa vicenda che colpe ha? Cosa ha fatto per meritarsi un oltraggio simile? Nulla. Semplicemente è scomparsa. E mentre i resti del suo corpo si decomponevano nel buio del pozzo, sopra tutti si riempivano la bocca di supposizioni e maldicenze. Sessanta giorni dopo nulla è cambiato. Lo show va avanti e nessuno si ritrae al fascino della telecamera, perché, ammettiamolo, di Sarah nessuno parla più. Tutti parlano di se stessi, delle proprie paure, dei propri spettri. L'orco, l'orchessa, l'amore e la morte si sono sovrapposti creando un acquerello svilente e impreciso. (foto: Il Sole 24 ore) Barbara Greggio


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