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Il referendum negato

Creato il 28 novembre 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

 

Sono tornate in piazza ieri le associazioni che per mesi si sono battute a favore del referendum sull’acqua pubblica. Nonostante il milione 400 mila firma raccolte e i 27 milioni di sì incassati nella consultazione popolare, non è cambiato niente.

Solo in rarissime circostanze l’acqua in mano ai privati è tornata pubblica. Men che meno i privati hanno rinunciato al famoso 7% di remunerazione del capitale, uno dei nodi cruciali nonché motivo di rialzo delle bollette.

I motivi, al di là della cupidigia dei vari investitori, risiedono all’interno della districata matassa legislativa che regola il servizio. A guidare la battaglia post-referendaria è stata Acea, primo operatore idrico e quotato in borsa, autore di un versamento di 200mila euro, mai smentito, al comitato per il no per “relazioni pubbliche”.

La multiutility ha chiesto parere giuridico su come fronteggiare la volontà del popolo uscita dal referendum subito all’indomani del voto. L’autore del cavallo di Troia normativo è Giulio Napolitano, ordinario di diritto pubblico a Roma Tre. No, non è un caso di omonimia: è proprio il figlio del Presidente della Repubblica. 

Il referendum negato

La strategia del giurista è contenuta in un documento di 16 pagine datato 24 giugno (appena 11 giorni dopo il referendum) girato da Acea a tutti gli operatori del settore per fronteggiare l’emergenza. L’Acea in particolare ha chiesto di conoscere il nuovo assetto normativo dei servizi pubblici locali, verificando legittimità delle convenzione e un parere in merito alla nuova disciplina della tariffa.

Napolitano è lapidario:

In nessun modo è possibile trarre indicazioni prescrittive in ordine ad un ipotetico ritorno a forme di gestione integralmente pubblica dei servizi idrici.

Per quanto riguarda la tariffa, dovrebbe essere l’Agenzia di vigilanza delle risorse idriche a modificarla. Peccato che questo organismo non sia stato ancora creato. Le conferenze dei singoli hanno così le mani legate perché il taglio non terrebbe conto del costo finanziario della fornitura del servizio.

Inoltre, tutti gli investimenti già effettuati dal gestore, anche laddove le opere non siano completato, dovranno continuare a essere coperti e remunerati in base alla tariffa a suo tempo fissata dall’Autorità d’Ambito.

I referendari non ci stanno e annunciano il contrattacco: pronta la presentazione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato presso la Corte Costituzionale. Il governo avrebbe approvato norme contrarie all’esito della consultazione popolare, quindi in contrasto costituzionale con il voto popolare, potere dello Stato tanto quanto l’esecutivo.

La battaglia, a colpi di cavalli, si annuncia feroce. A perderci, nel frattempo, saranno i cittadini, nonostante abbiano espresso chiaramente la loro opinione.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano


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