E’ andata oggi in onda su Radio 3 una intervista ad Olga Capirci riguardo al riconoscimento della LIS, Lingua dei Segni Italiana. Trascrivo tutto per permettere di leggere nel dettaglio la trasmissione, ma vi segnalo anche l’articolo “Lo strano no della Camera alla Lingua dei Segni“.
Per chi può sentire, qui c’è la registrazione della trasmissione radio “Il segno dell’integrazione“.
L’intervista ad Olga Capirci è a partire dal minuto 12.
Per chi può fare tutto tranne sentire, qui c’è la trascrizione (segnalazioni di refusi sono ben accette):
Radio 3 Scienza
Buongiorno, buongiorno da Pietro Greco e benvenuti a Radio 3 Scienza.
[... passiamo al minuto 12:00]
P.G. “Nei giorni scorsi la commissione cultura della camera, la settima commissione, ha detto no, sostanzialmente, al riconoscimento della Lingua dei Segni, la lingua che, tra virgolette, “parlano” le persone sorde e, ovviamente, mute. Perché era in discussione questa legge, e soprattutto perché la commissione cultura ha detto no e quali conseguenze ci saranno? Di tutto questo ne parliamo con Olga Capirci, ricercatrice dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, del CNR di Roma ed esperta, appunto, di Lingua dei Segni Italiana
Buongiorno…”
O.G: “Buongiorno”
P.G.: “… buongiorno Olga Capirci, ci dice, ci racconta un po’ cosa è successo alla commissione cultura della camera e che cos’è la lingua dei segni?”
O.G. “Sì, dunque, la storia parte un po’ più lontana nel tempo, con… Prima c’è stata la risoluzione del parlamento europeo, nel 1988, addirittura, che ha richiesto, diciamo, agli stati membri di riconoscere le lingue dei segni delle proprie nazioni, parliamo già al plurale perché la lingua dei segni non è un’unica lingua dei segni, ma sono tante lingue dei segni diverse, parlate dalle comunità dei sordi, italiane, francesi e spagnole proprio come lo sono le nostre lingue normali, proprio perché stiamo parlando di lingue storico-naturali che hanno le stesse funzioni delle lingue vocali, che possiedono delle strutture complesse, che non dipendono dalle lingue vocali parlate nell’ambiente che condividono. Quindi, per esempio, l’italiano e la lingua dei segni italiana hanno delle strutture diverse che sono, nel caso della lingua dei segni, particolarmente adatte proprio alla modalità in cui queste lingue si esplicano, cioè alla modalità visivo-gestuale. Quindi sono lingue che hanno una loro grammatica che si attua e si manifesta nello spazio, con dei movimenti che riguardano non solo le mani, ma un po’ tutto il corpo. Però sono allo stesso tempo analizzabili e sono state ampiamente analizzate e studiate secondo gli stessi principi linguistici delle lingue parlate.
Ritornando alla storia e al nostro iter, c’è stata, ancora più importante, la convenzione ONU che riguarda proprio i diritti delle persone disabili, che è stata appunto poi ratificata in Italia nel marzo 2009 e che espressamente, in più punti e in più articoli richiama la necessità di tutelare e promuovere le lingue dei segni sulla base del proprio del riconoscimento della specifica identità culturale e linguistica delle persone sorde.
Tutti gli stati parte, o parti, come viene detto in termini legislativi, sono richiamati ad applicare, secondo principi contenuti nella costituzione, noi sappiamo che dobbiamo applicare queste leggi. E’ successo in Italia, purtroppo… Diciamo, per dare un po’ l’idea, che il riconoscimento delle lingue dei segni è già presente in cinquanta paesi nel mondo e in quasi tutti i paesi dell’unione europea. E’ l’italia che è rimasta, diciamo, un po’ indietro in questo iter. Il senato aveva comunque approvato una legge per il riconoscimento della lingua dei segni già nel 16 marzo 2011, con un titolo anche più pieno “Disposizioni per la promozione della piena partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva e riconoscimento della lingua dei segni italiana”. Dopodiché, come sappiamo, dal senato passa alla camera. E’ passato parecchio tempo perché da marzo 2011 siamo arrivati ad oggi, al 15 febbraio 2012, in cui, dopo che la commissione affari sociali ha riconosciuto, ha promulgato, un testo che, lo voglio dire, già snaturava un po’ il testo del senato. Perché in realtà dal titolo era già stato tolto il riconoscimento della lingua italiana dei segni, e veniva un po’ appaiata ad altre tecniche: cioè c’era la lingua dei segni e tecniche informatiche, tecniche di altro genere.
P.G. “Non veniva riconosciuta come lingua, ma solo come tecnica espressiva”
O.C. “Eh, sì, sì, appunto. Questo già ha sollevato un grande dibattito nelle comunità dei sordi, ma anche di noi ricercatori, che abbiamo grandemente appoggiato, parliamo anche di Tullio de Mauro, parliamo anche di grandi nomi dell’Università italiana che hanno dato appoggio a questa giusta causa portata avanti dall’associazione dei sordi perché si parla di Lingua, si parla di Identità, si parla di Cultura e non di una tecnica. Una lingua non può mai essere una tecnica.
Nonostante ciò, la commissione della camera, giustamente diceva il conduttore, la commissione Cultura, Scienza ed Istruzione, ha dato questo parere contrario. Ma quello che più offende, sinceramente, proprio il mio essere studiosa, al di là di tutte le conoscenze, è la motivazione. La motivazione dice: ‘più che includere i non udenti nella società, questo utilizzo della lingua dei segni, piuttosto porterebbe ad escluderli, precludendo loro di esprimersi attraverso la stessa lingua circolante’. Io credo che questo sia uno schiaffo a chiunque abbia del buon senso. Cioè è come dire, mi veniva in mente proprio stamattina, mentre pensavo a questa trasmissione, è come dire che se noi riconosciamo che il cinese è una lingua. precludiamo ai bambini cinesi che vivono a Roma di essere inclusi nella nostra società. Come se loro parlassero il cinese non potrebbero parlare anche l’italiano. Cioè noi viviamo in una società che è multietnica e multiculturale, lo vediamo tutti.”
P.G.: “sì, sì”
O.C. “E’ la nostra ricchezza, io credo. Il riconoscimento della lingua, ma dell’identità, della cultura di tutti questi popoli che non devono essere omologati nella maggioranza, cioè non torniamo veramente troppo troppo indietro nel tempo. Non siamo dei colonizzatori: c’è il rispetto e c’è la vicinanza. Oltre tutto, poi, per parlare in termini più tecnici e scientifici sappiamo poi che il bilinguismo è una ricchezza. Ogni bambino che viene esposto…”
P.G. “Sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista cognitivo?”
O.C. “Certo, è una ricchezza sociale, come stiamo dicendo, ma anche cognitiva. Anche nel linguaggio. I bambini che crescono bilingui, secondo studi condotti e pubblicati su riviste prestigiose come Nature, non stiamo parlando insomma di piccole riviste, quindi un vaglio importante, ci dicono che anche il bilinguismo fra lingua dei segni e lingua parlata piuttosto che ostacolare… cioè, l’acquisizione di una lingua dei segni da parte di un bambino sordo non ostacola il processo di acquisizione della lingua vocale. Ma non solo non lo ostacola: lo favorisce! Perché, così come per altri bilinguismi fra lingue vocali, potenzia le abilità cognitive del bambino, potenzia anche la sua predisposizione ad acquisire altre lingue. Questo lo abbiamo fatto anche noi qui in Italia, no?”
P.G. “Certo”
O.C. “Una sperimentazione anche dell’insegnamento della lingua dei segni a bambini udenti delle scuole elementari e si è visto che anche lì come dare un po’ di lingua dei segni ai bambini udenti potesse potenziare le loro abilità. Quindi mi sembra veramente brutta questa contrapposizione. Quello che volevo dire è che anche nella realtà dei fatti non esistono sordi solo segnanti e sordi solo parlanti. Noi vediamo davanti agli occhi quotidianamente sordi che utilizzano la lingua dei segni e che parlano in diversi contesti, con diversi interlocutori. Così come le altre comunità che convivono qui con la nostra. Quindi contrapporre queste due lingue è non solo falso, ma anche ideologicamente falso. Perché è sotto gli occhi di tutti, e non solo di noi studiosi, che è diversa la realtà dei fatti, soprattutto in Italia.
P.G. “Quindi, se ho ben capito, la commissione cultura della camera è entrata nel merito scientifico e dice che la lingua dei segni non è un fattore di inclusione, ma addirittura un fattore di esclusione. E dice il contrario di quanto dice la comunità scientifica, e dei risultati a cui è giunta la comunità scientifica. E’ così?”
O.G. “Certo, è proprio questo il punto. Non si può prescindere dai risultati pubblicati su riviste prestigiose, da una comunità scientifica che su questo è unanime, ma a livello internazionale, usciamo fuori anche dalla sola Italia. Quindi, si può dire tutto, ma non si può negare la scienza, o contrapporre un sapere ad un parere.”
P.G. “Ecco, lei diceva che la lingua dei segni è importante per i sordi perché aumentano le loro capacità cognitive, le loro capacità di espressione, le loro capacità di integrazione. Ma sarebbe anche importante per le persone che parlano normalmente perché… abitua al gesto? Cioè, qualifica anche l’espressione gestuale?”
O.C. “Sì, guardi, io mi occupo poi in realtà anche di studi sulla gestualità coverbale e ci sono anche in questo campo tantissime ricerche, ne è proprio stata pubblicata una recentemente su Science, che dicono come una gestualità potenziata, anche nei bambini udenti, che non hanno altri disturbi, può favorire i processi di apprendimento. Sono state fatte ricerche di come se da parte degli insegnanti e da parte del bambino stesso, viene favorita una comunicazione gestuale, favorisce, ad esempio, l’apprendimento della matematica o di concetti complessi. C’è, addirittura, un progetto portato avanti da tanti anni in America che si chiama Baby Signs: viene data l’opportunità alle mamme di bambini udenti, anche qui senza altri disturbi, di insegnare ai loro bambini alcuni segni base, da qui il ‘Baby Signs’, i primi segni che i bambini sordi utilizzano. Perché si è visto che questo, cioè il dare anche questo segno, che è una gestualità anche più codificata, favorisce nel bambino poi l’acquisizione del lessico: cioè questi bambini poi parlano più precocemente ed hanno più parole nel loro vocabolario. Cioè tutto il linguaggio, dico io, dobbiamo un po’ uscire fuori, le nuove ricerche lo dimostrano, è multimodale. Anche noi parlanti utilizziamo le mani, il corpo, per comunicare”
P.G. “Giusto”
O.C. “E quindi dare vigore a questa cosa, che è naturale per tutti gli uomini, favorisce lo sviluppo della comunicazione e del linguaggio e anche, siccome il gesto è proprio legato anche alla costruzione dei significati, dei concetti e del pensiero, favorisce proprio una maggiore chiarezza nella…”
P.G. “Ecco, Federico da Parma un nostro ascoltatore ci dice ‘la gestualità è stata la nostra prima lingua, poi si aggiunse il suono, parola di Barts, più canali si attivano e meglio è’”
O.C. “Ah…”
P.G. “Eheh”
“O.C. “E’ bellissimo, sì. Perché infatti ci sono state e sono state riprese anche recentemente, ma diciamo che già nel 1700-1800 le maggiori teorie, diciamo così, sull’evoluzione del linguaggio proprio del genere umano vedevano il gesto all’inizio del linguaggio. Era un po’ il contrario della gestualità coverbale di oggi: cioè inizialmente si pensa che i primi primati utilizzassero come forma di linguaggio vero e proprio, con già una propria sintassi e grammatica, le mani, il corpo, la comunicazione gestuale. E il linguaggio parlato erano voci, diciamo le componenti vocali, soltanto che servivano per attrarre l’attenzione, per accompagnare il gesto. Poi dopo c’è stato questo passaggio nella fase evolutiva che noi diciamo un po’ questa origine filogenetica poi viene quasi ripercorsa in maniera ontogenetica nella crescita del bambino. Il bambino, tutti i bambini, inizialmente comunicano attraverso le mani, attraverso i gesti, il vocale sono solamente vocalizzi, suoni, che accompagnano i gesti e man mano il bambino poi passa invece a produrre le prime parole, ma il gesto non scompare, continua ad accompagnarle.
P.G. “Quindi è come se il bambino ripercorresse la storia dell’uomo”
O.C. “Eh, sì, noi sappiamo che l’ontogenesi non può ricapitolare la filogenesi, è un po’ una forzatura, ma in un certo senso possiamo trovare però delle corrispondenze e delle affinità, capire la storia dell’umanità attraverso il percorso del bambino che sta acquisendo.
P.G. “E quando acquisice il linguaggio parlato poi dimentica la gestualità o no?”
O.C. “Ecco, no, assolutamente. Lo vediamo: noi adulti gesticoliamo, io in particolare gesticolo molto, a il gesto…”
P.G. “Anche noi napoletani”
O.C. “Ecco, sì, i napoletani, c’è un bellissimo libro di De Iorio del 1800 ‘L’arte del gesticolare dei napoletani’, ma Munari anche fece un libretto molto carino che era un dizionario dei gesti italiani ad uso degli stranieri, perché riteneva che per uno straniero che viene in Italia se vuole imparare l’italiano deve capire anche i gesti. Quindi è sotto gli occhi di tutti. Ma nel bambino, in tutte le fasi dello sviluppo, il gesto non solo accompagna il vocale, ma aiuta a superare degli stati particolari e quindi assume dei ruoli diversi a seconda delle fasi, ma sempre dei ruoli molto di supporto anche nello sviluppo della comunicazione e in quello che il bambino può esprimere.”
P.G. “Bene, per concludere, Olga Capirci, possiamo fare un invito alla… non tutto è già stato scritto… alla Camera dei Deputati?
O.C. “Assolutamente, perché si può anche non tener conto di questo parere negativo della commissione cultura, in teoria. La commissione Affari Sociali potrebbe comunque andare avanti, o comunque speriamo che invece si ridiscuta con un testo anche migliorato forse, che ci piacerebbe anche di più.”
P.G. “Quindi con molto rispetto per il Parlamento noi facciamo questo invito.”
O.C. “Certo”
P.G. “Grazie allora ad Olga Capirci, ricordo ricercatrice dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, del CNR di Roma.”