“So full off artless jealousy is guilt,
It spills itself in fearing to be spilt”
[Così piena è la colpa di sospetti incontrollati
che si scopre da sé, per paura di essere scoperta]
Shakespeare, Amleto, IV, V, 19-20
Nel Dictionary of Philosophy and Psychology, curato nel 1925 da James M. Baldwin, docente alla Princetown University la colpa (guilt) viene così definita:
“[...] è lo stato di chi ha commesso un crimine o di chi ha coscientemente recato offesa alla legge morale. L’assenza della colpa è l’innocenza. La prospettiva da cui si guarda alla colpa varia a seconda che il punto di vista sia quello della legge o quello della morale. Dal primo punto prospettico ‘colpa’ allude alla trasgressione della legge positiva, anche se questa prospettiva è spesso modificata nel giudizio concreto, dal prendere in considerazione la conoscenza o l’ignoranza della legge da parte del trasgressore e persino le sue tentazioni a trasgredire. Dal punto di vista morale l’essenza della colpa è la coscienza del dovere. Da questo punto di vista è stata considerata come il contrario del merito”.
In questa accezione, se pur psicologica, la colpa viene considerata soltanto dal punto di vista oggettivo, senza fare riferimento al vissuto personale che implica, inevitabilmente, il senso di colpa.
Nonostante Sigmund Freud non abbia mai scritto un saggio interamente dedicato al tema della colpa, le riflessioni sparse nei suoi vari testi, lo rendono a pieno titolo l’iniziatore e colui che ha sistematizzato lo studio sul senso di colpa, considerandolo non più soltanto dal punto di vista morale o legale, ma da quello prettamente psicologico.
Colpa e senso di colpa, sono quindi due termini che si intrecciano, allontanandosi ed avvicinandosi in un continuum che spazia dall’ambito giuridico a quello etico, religioso e psicologico, portando con sé termini quali: dolo, errore, delitto, torto, responsabilità, peccato e molti altri affini (Speziale-Bagliacca, 1997).
Sulle emozioni è già stato scritto moltissimo, ma non si può parlare di colpa e senso di colpa, prescindendo dalle emozioni e dal ruolo fondamentale che esse hanno nello svilupparsi di questi sentimenti che ogni essere umano, prima o poi, percepisce dentro di sè.
In un’accezione generale l’emozione viene intesa come il discostarsi dal normale stato di quiete dell’organismo, caratterizzato da intensi sentimenti, una spinta all’azione e da alcune specifiche manifestazioni fisiologiche interne: tachicardia, sudorazione evidente, respiro accelerato, tremore, espressioni facciali e manifestazioni non verbali, tono della voce ed assetto tonico-posturale alterati.
A livello fisiologico entrano in gioco il Sistema Nervoso centrale ed Autonomo, oltre che il Sistema Endocrino che ha la funzione di attivare il Sistema Nervoso Centrale e regolare i livelli di ansia e di stress.
A queste manifestazioni prettamente corporee si affiancano le funzioni cognitive, che hanno il compito di filtrare le informazioni mediando il rapporto tra l’individuo e l’ambiente e di valutare se ciò che accade è piacevole o spiacevole, facendolo reagire di conseguenza per far fronte all’evento che ha scatenato l’emozione.
A livello comunicativo ed espressivo è molto difficile, se non a volte impossibile, inibire l’espressione delle emozioni, soprattutto quando queste compaiono in maniera improvvisa, molto intensa e vengono percepite come sgradevoli o dolorose (Di Blasio e Vitali, 2001).
Salendo ad un livello gerarchicamente superiore, le emozioni che sperimentiamo durante la nostra esistenza non si presentano mai senza una ragione specifica e, soprattutto, mai a caso. Gli eventi della vita, unitamente alle interazioni con le persone con le quali veniamo a contatto giornalmente, fanno sì ci sentiamo felici o tristi, arrabbiati od imbarazzati, colpevoli o pieni di vergogna.
Pur non essendo necessario essere fisicamente a contatto con gli altri per provare emozioni, le relazioni interpersonali vissute, pensate, rappresentate e poi ricordate, sono responsabili delle risposte emozionali di ciascuno. Tutti abbiamo interiorizzato le immagini delle persone che sono per noi significative e tali immagini ce le richiamano immediatamente alla mente, quando ci confrontiamo con esperienze che le riguardano: le emozioni connesse a tali persone/situazioni si attivano scatenando le conseguenti reazioni fisiologiche e psicologiche. In questa dimensione possiamo parlare di emozioni sociali. Già il bambino piccolo impara a regolare ed organizzare l’espressione delle proprie emozioni nel corso delle proprie interazioni sociali e dalle reazioni delle persone con le quali si rapporta (figura di accudimento nel primo anno di vita; genitori, fratelli, educatori, coetanei in seguito), sviluppa un’adeguata maturità emozionale od una forma di ansia sociale strettamente connessa all’incapacità di gestire le emozioni primarie e secondarie.
Nello specifico emozioni come colpa, vergogna, imbarazzo ed orgoglio derivano dalla percezione e dal significato delle reazioni e degli atteggiamenti di approvazione/disapprovazione che gli altri assumono ai loro occhi (Di Blasio e Vitali, 2001; Bybee, 1999; Castelfranchi, D’amico e Poggi, 1994).
Pur non sviluppando in questa sede il tema della vergogna, occorre distinguere la colpa dalla vergogna e specificare che vi sono diverse interpretazioni a riguardo, fondamentali per delineare e differenziare al meglio i due sentimenti.
Una prima teoria sostiene che la differenza tra colpa e vergogna sembra risiedere nel fatto che la colpa è un’emozione “privata”, poiché coinvolge prevalentement la propria coscienza, mentre la vergogna è un’emozione “pubblica”, poiché comporta un giudizio su come ci vedono gli altri.
La distinzione elaborata da Lewis nel 1971, secondo la quale nella colpa l’attenzione è focalizzata sulle azioni o sulle cose che sono o non sono state fatte, mentre nella vergogna viene coinvolto direttamente il Sé, che diventa l’oggetto principale della valutazione negativa, appare più soddisfacente. Inoltre la colpa viene considerata meno dolorosa della vergogna, poiché riguarda una parte del sé od un oggetto, senza andare a toccare completamente l’identità. Il fatto che la colpa la si viva “tra sé e sé”, fa sì che questa possa essere omessa, negata o non esternata da parte del soggetto che la prova, anche se tale evitamento avrà inevitabili conseguenze nel senso di tensioni interne all’individuo, con le quali prima o poi dovrà fare i conti.
Come nasce la colpa?
La colpa, intesa come mediatore della coscienza morale, ha un ruolo preminente nello sviluppo sociale e nella comprensione delle regole morali ed etiche.
Non è semplice capire quando i bambini iniziano esattamente a percepire questo sentimento dentro di sé, poiché esso non è accompagnato da segnali non verbali od indicatori comportamentali che permettano di identificarla.
Fino a che il bambino non è in grado di percepirsi separato dagli altri (verso i due anni di età) e sino a quando non inizia a comprendere le norme morali (dopo i tre anni) ciò non è possibile.
Dopo i quattro anni egli è in grado di valutare le reazioni proprie ed altrui, può collegarle alle norme morali imposte dall’ambiente e dall’educazione, interiorizza tali norme e riconosce, dunque, la colpa e le altre emozioni sociali. Perché questo avvenga deve avere consapevolezza della propria identità: diversamente non sarebbe in grado di attribuire a se stesso la responsabilità delle proprie azioni; il sentimento di colpa è strettamente connesso alla capacità di provare empatia nei confronti degli altri. Il dispiacere per il dolore che le proprie azioni provocano agli altri, unitamente allo sviluppo del senso di responsabilità nel compiere azioni negative (volontariamente o involontariamente) sono il motore che scatena il senso di colpa.
Quest’ultima fase evolutiva del senso morale è particolarmente significativo per lo sviluppo del sistema di attribuzioni, ovvero per l’essere in grado di riconoscere le cause ed i significati dei diversi eventi e delle emozioni ad essi connessi.
Vi sono due modalità di attribuzione: una interna che fa riferimento a sé , cioè alla personale responsabilità nel compimento delle azioni ed una esterna, che fa sì che si attribuisca agli altri o all’ambiente esterno la responsabilità delle proprie reazioni emotive. Il formarsi di una o dell’altra modalità nel bambino dipende dagli atteggiamenti degli adulti e dai modelli comportamentali che essi gli trasmettono.
Lo stile educativo adottato determina la capacità di provare colpa e vergogna che, se non ben interiorizzate ed elaborate, diventano tratti di personalità, anziché essere stati emotivi transitori.
I genitori contribuiscono inoltre alla formazione di un efficace meccanismo di regolazione emotiva nel bambino, che sta alla base di uno sviluppo sano.
Le figure genitoriali fungono da modello, sia attraverso messaggi educativi chiari e diretti, sia indirettamente tramite i loro comportamenti e le loro reazioni emotive.
In definitiva la coscienza morale è lo strumento interno che ciascuno ha a disposizione per comprendere se ciò che sta facendo o pensando è giusto o sbagliato ed il senso di colpa comunica se uno standard etico culturalmente condiviso, è stato o meno violato (Di Blasio e Vitali, 2001).
continua…