Magazine Opinioni
di Giuseppe Dentice
Gli attentati di poche settimane fa ad Eilat, nel Sud di Israele, hanno riportato prepotentemente l'attenzione dei media internazionali sul Sinai, un territorio ricco di storia e di realtà eterogenee. Mentre al Cairo interminabili manifestazioni di milioni di persone si succedono nella ormai celebre Piazza Tahrir e in Israele si riaccendono i riflettori sulle questioni relative alla Striscia di Gaza e al confine meridionale in condivisione con l'Egitto per il rischio terrorismo, nel Sinai l’annosa disputa con le popolazioni beduine, tradizionalmente maltrattate dalle autorità, si sta ulteriormente aggravando e con essa si sta deteriorando la sicurezza nella regione. Gli abitanti sinaitici da tempo protestano contro il Cairo per lo stato di sottosviluppo, di disoccupazione e di degrado in cui versa la provincia. Dato il controllo molto blando da parte delle autorità militari, impegnate in questi mesi soprattutto nella capitale, nella penisola si sono infiltrati militanti palestinesi, jihadisti, salafiti e qaedisti, alla ricerca di regioni instabili in cui impiantare una base logistica per operazioni principalmente contro Israele. Tali gruppi, in collaborazione con i beduini e trafficanti di armi dell'area, avrebbero attaccato i posti di polizia ad el-Arish e, per ben cinque volte dall'inizio dell'anno, l'Arab Gas Pipeline, il gasdotto nel Nord del Sinai che rifornisce di gas naturale Israele (circa il 40% del fabbisogno energetico nazionale dipende da questo gasdotto), Giordania e Siria.
Questi episodi di instabilità nel Sinai hanno portato il governo egiziano ad adottare alcune misure. Innanzitutto, dietro richiesta israeliana, un maggiore dispiegamento di unità militari e di artiglieria pesante (un aumento di circa 1.400 elementi) nella penisola per meglio sorvegliare l'area. Inoltre, è stata istituita un’Authority per lo sviluppo del Sinai con il compito di incrementare gli investimenti e lo sviluppo economico della regione. Il governo egiziano, infine, ha annunciato che nel piano di recupero del Sinai è prevista l’istituzione di una succursale dell’università e condizioni agevolate per l’acquisto di terre per le popolazioni locali beduine e altri privati.
La questione della sicurezza della Penisola sinaitica rappresenta una prova importante nei rapporti, già tesi, tra Israele ed Egitto. Già un recente reportage della rivista inglese “The Economist” attribuiva le turbolenze nel Sinai a sfide fra signori della droga e trafficanti di armi. In realtà, un primo rafforzamento temporaneo per la sicurezza dell'area è avvenuta nel 2007, quando Hamas aveva assunto il potere a Gaza e i rapporti con Israele erano divenuti immediatamente difficili. Ma qualsiasi rafforzamento o incremento della sicurezza militare nella regione deve essere concordato tra le parti, in modo da non infrangere le clausole di demilitarizzazione del Trattato di Pace firmato tra Israele ed Egitto a Camp David nel 1979. Secondo tali accordi il numero di soldati egiziani nel Sinai dovrebbe essere ridotto. Il Sinai, infatti, è parte integrante del territorio egiziano e venne conquistato da Israele con la Guerra dei Sei Giorni (1967). La penisola venne parzialmente restituita da Tel Aviv al Cairo tramite gli accordi di Camp David, e poi in toto nel 1982, anche se effettivamente l'intero Sinai venne restituito solo nel 1989 come suggellamento degli accordi di Taba, con il riconoscimento da parte israeliana del confine internazionale tra i due Stati. La Penisola, tramite gli accordi del 1979, venne divisa in tre zone di presidio militare. Nella zona C, quella più vicina ad Israele, i militari egiziani da dispiegare devono essere dunque minori rispetto alle altre, perché il confine viene presidiato congiuntamente con l'esercito israeliano.
Il vero problema, quindi, non è costituito da un cambiamento sostanziale nell’indirizzo politico del governo egiziano o israeliano, ma semmai è derivante dall'insorgenza di numerose spinte destabilizzanti interne ai due Paesi che agiscono in modo indiretto. Per l'Egitto i problemi sono dovuti alla pressione popolare anti-israeliana e alle popolazioni beduine del Sinai, mentre per Israele il pericolo risiede nei movimenti islamici della regione che possono aiutare Hamas nella ripresa delle ostilità contro lo Stato ebraico. Infatti, la più grande paura dello Stato ebraico è che sezioni dei Fratelli Musulmani egiziani possano agire nella Striscia di Gaza, ramificandosi e stringendo forti legami con Hamas. Non a caso, una delle prime azioni politiche del governo egiziano di transizione è stata l'apertura dei valichi di frontiera, Rafah su tutti, la quale ha si comportato un sensibile miglioramento delle condizioni di vita per la popolazione locale, ma potrebbe garantire ad Hamas un maggior spazio di manovra per riguadagnare quel consenso perduto nell'ultimo anno, permettendo di far fluire nella Striscia armi e materiale bellico di cui necessita il movimento islamico a scapito della già precaria sicurezza israeliana a ridosso della Striscia. Pertanto, le tensioni esistenti a Gaza – relativamente tranquilla dopo l'operazione “Cast Lead” (“Piombo Fuso”) del 2009 – si legherebbero strettamente sia alle dinamiche interne al conflitto israelo-palestinese, sia alle vicende politiche regionali e, in particolare, a quelle riguardanti il vicino egiziano nel Sinai.
Gli incidenti di Eilat, però hanno lasciato in eredità nuove complicazioni nelle relazioni bilaterali israelo-egiziane. Infatti, lo scorso 18 agosto oltre ai civili israeliani sono stati uccisi anche cinque poliziotti egiziani da parte delle forze di sicurezza israeliane. I soldati del Cairo sarebbero stati uccisi per errore a causa dello sconfinamento dell’esercito israeliano in territorio sinaitico senza alcuna autorizzazione preventiva da parte delle autorità militari del Cairo. Nonostante le scuse ufficiali di Israele attraverso il Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, e dietro pressioni americane, la situazione tra i due Paesi rimane molto tesa come testimonia la decisione di richiamare l’Ambasciatore egiziano da Tel Aviv, Yasser Rida, in segno di protesta. In un quadro politico così confuso, le relazioni diplomatiche del “post-Mubarak” tra il Cairo e Tel Aviv sono giunte quasi ai minimi termini. Ad aumentare la tensione si aggiunge, inoltre, la maggioranza dell’opinione pubblica egiziana che vorrebbe una revisione del Trattato di Pace. Anzi, molti ritengono che alcune clausole del Trattato, come il limite posto al dispiegamento delle forze militari nel Sinai, penalizzino la sovranità egiziana, e che l’accordo per la fornitura di gas naturale non si attenga a prezzi di mercato e che sia stato negoziato a condizioni vantaggiose per Israele. Pertanto, tutti questi elementi inducono a pensare che gli attentati di Eilat si inseriscano in un contesto duplice che ha origini nel Sinai, con le proprie realtà che lavorano a disgregare l'unità del Paese egiziano, ma che si saldano con le tensioni mai sopite del conflitto israelo-palestinese nella Striscia di Gaza.
Nonostante, però, le molteplici problematiche sul tappeto (mantenimento o meno degli Accordi di Pace, maggioranza dell'opinione pubblica egiziana filo-palestinese, atteggiamento israeliano provocatorio contro i governi arabi), una qualsiasi iniziativa militare egiziana oltre il Sinai sarebbe da escludere, almeno nel breve-medio periodo. Tre i fattori operativi che fungono da deterrente: il primo è l'incontrastata superiorità operativa di cui gode la IAF (Israel Air Force), l'aviazione militare israeliana nell'intera regione, che funge da deterrente, appunto, a qualsiasi iniziativa di attacco convenzionale. Il secondo è la profondità strategica garantita dalla zona cuscinetto del Sinai: circa 200 Km di deserto che rendono impraticabile qualsiasi azione via terra delle seppur moderne e ben organizzate forze corazzate egiziane. Ultimo fattore è da riscontrare nella quasi completa dipendenza della capacità militare egiziana dagli aiuti americani. Nonostante Obama subito dopo la caduta di Mubarak si sia dichiarato “amico del popolo egiziano”, la disponibilità di Washington a finanziare un conflitto contro Israele, sebbene le relazioni israelo-statunitensi nel tempo si siano molto raffreddate, sembrerebbe un opzione poco plausibile a causa degli interessi politici in gioco e delle potenzialità destabilizzanti per l'area. Per gli stessi motivi è da escludere un'azione militare israeliana nel Sinai, sebbene Tel Aviv abbia dato inizio pochi giorni dopo gli attentati di Eilat ad un'operazione militare, denominata “Aquila”, nella Striscia di Gaza con l’obiettivo di riportare l’ordine nell'area e garantire la sicurezza delle provvigioni energetiche.
Paradossalmente, però, questa situazione caotica potrebbe divenire vantaggiosa per Israele nel momento in cui essa agevoli la presenza delle forze armate egiziane in modo da assicurare un maggiore controllo nel Sinai – incluse le forniture di gas, i valichi di frontiera e le mete turistiche tradizionalmente frequentate dagli israeliani. Inoltre, un maggiore pattugliamento del Sinai potrebbe favorire il completamento della nuova barriera elettrizzata attualmente in costruzione lungo il confine, che richiede la collaborazione delle due parti. Allo stesso tempo, la rinuncia alla clausola di demilitarizzazione del Sinai da parte israeliana potrebbe far guadagnare alle autorità egiziane un certo prestigio presso la propria opinione pubblica, spendibile (di nuovo, paradossalmente) anche nel miglioramento delle relazioni israelo-egiziane.
Pertanto sarà utile che il governo Netanyahu faciliti le proprie relazioni con il governo egiziano, in modo che tale atto possa servire anche da esempio per gli altri governi arabi e per le rispettive opinioni pubbliche, evitando così la “sindrome da accerchiamento” e non mettendo a repentaglio, quindi, la sicurezza di Israele. E' interesse di entrambi mantenere stabile la sicurezza del confine meridionale. La normalizzazione dei rapporti tra il Cairo e Tel Aviv, pertanto, potrebbe rappresentare la più utile via di uscita da una situazione pericolosa ma non ancora giunta ad una crisi irreversibile.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
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