Comunque l'altro giorno ho visto La mia vita è uno zoo di Cameron Crowe, di cui già sapevo tutto ciò che ho pensato durante la visione: melenso e inutile, che palle sta storia del sogno americano e della seconda possibilità, con gli americani che ormai ste menate riescono a spacciarle solo se le traggono da una storia vera, altrimenti sai quanto il pubblico s'incazza a vedere sempre le solite storie con le bimbe dalla faccia furbina, la figa che sorride allo sfigatone sexy, la mammamorta che più bella non si può, sempre con il sole alle spalle, con perenne effetto flou e gonna svolazzante (povero Malick, cosa ne è stato delle tue altalene a testa in giù...). Insomma, roba abbastanza indigeribile. Soprattutto, roba che ti fa rimpiangere tutti i sogni malinconici e coraggiosi, tristi e bellissimi, nati dall'ascolto di musica parecchio bella, ché tanto lo sappiamo che Cameron Crowe fa il regista solo per mettere le canzoni nei film, anche a caso se proprio deve: e cioè Bob Dylan, Tom Petty, Neil Young, con in più Jonsi che ha scritto pezzi nuovi (musica strumentale d'ambientazione) e ha dato un bel po' di pezzi dal suo album solista e dai Sigur Ros. Quello che di molto brutto succede in La mia vita è uno zoo è che canzoni meravigliose, spesso languide o trionfanti, oppure languide e trionfanti insieme, ad esempio questa o questa, ridotte ad accompagnamento di momenti di riscatto o di tristezza, di pianto o di rivalsa, con le lacrime di Matt Damon che scorrono giù e i lamenti di Jonsi che fanno tanto vento nella brughiera, si riducono a pezzi strappalacrime e strizzapalle, pieni di vigore e creatività nella testa di chi li ha scritti, di chi la scelti, di chi la ascolta nella solitudine del piacere musicale, ma privi di qualsiasi profondità se uniti a una sequenza, un'immagine o a un volto. La musica nei film è una brutta bestia, va usata bene, va centellinata, va scelta per motivi ben precisi, non ci si può accontentare del fatto che Jonsi a volte scrive come se avesse il sole che gli nasce dentro: quello che risulta sullo schermo è un mondo fasullo dove il sole sorgerà ancora, sorgerà sempre, non solo alla seconda chance, ma non riscalderà mai nessuno.
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Comunque l'altro giorno ho visto La mia vita è uno zoo di Cameron Crowe, di cui già sapevo tutto ciò che ho pensato durante la visione: melenso e inutile, che palle sta storia del sogno americano e della seconda possibilità, con gli americani che ormai ste menate riescono a spacciarle solo se le traggono da una storia vera, altrimenti sai quanto il pubblico s'incazza a vedere sempre le solite storie con le bimbe dalla faccia furbina, la figa che sorride allo sfigatone sexy, la mammamorta che più bella non si può, sempre con il sole alle spalle, con perenne effetto flou e gonna svolazzante (povero Malick, cosa ne è stato delle tue altalene a testa in giù...). Insomma, roba abbastanza indigeribile. Soprattutto, roba che ti fa rimpiangere tutti i sogni malinconici e coraggiosi, tristi e bellissimi, nati dall'ascolto di musica parecchio bella, ché tanto lo sappiamo che Cameron Crowe fa il regista solo per mettere le canzoni nei film, anche a caso se proprio deve: e cioè Bob Dylan, Tom Petty, Neil Young, con in più Jonsi che ha scritto pezzi nuovi (musica strumentale d'ambientazione) e ha dato un bel po' di pezzi dal suo album solista e dai Sigur Ros. Quello che di molto brutto succede in La mia vita è uno zoo è che canzoni meravigliose, spesso languide o trionfanti, oppure languide e trionfanti insieme, ad esempio questa o questa, ridotte ad accompagnamento di momenti di riscatto o di tristezza, di pianto o di rivalsa, con le lacrime di Matt Damon che scorrono giù e i lamenti di Jonsi che fanno tanto vento nella brughiera, si riducono a pezzi strappalacrime e strizzapalle, pieni di vigore e creatività nella testa di chi li ha scritti, di chi la scelti, di chi la ascolta nella solitudine del piacere musicale, ma privi di qualsiasi profondità se uniti a una sequenza, un'immagine o a un volto. La musica nei film è una brutta bestia, va usata bene, va centellinata, va scelta per motivi ben precisi, non ci si può accontentare del fatto che Jonsi a volte scrive come se avesse il sole che gli nasce dentro: quello che risulta sullo schermo è un mondo fasullo dove il sole sorgerà ancora, sorgerà sempre, non solo alla seconda chance, ma non riscalderà mai nessuno.
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