Inizio dalla parte finale del titolo di questo post. La fuga degli investitori dall’Italia. È difficile investire denaro in un paese la cui pressione fiscale è da suicidio economico e nel quale a decidere la politica industriale di un’azienda è il giudice di un tribunale. I casi Ilva e Fiat dimostrano inequivocabilmente che l’Italia non è un paese per imprenditori, ma per dipendenti pubblici, operai sindacalizzati e invalidi civili. Anzi, v’è di più. Chi fa il business nel nostro paese – e intendo quello vero, e non certo la speculazione finanziaria – viene addirittura demonizzato ed è considerato un personaggio immorale.
Eppure se l’approccio culturale fosse diverso e se le politiche economiche fossero più attente all’iniziativa economica privata, favorendola con una legislazione fiscale semplice e umana, probabilmente non avremmo bisogno di giudici e giurie per garantire il posto di lavoro ai dipendenti, e probabilmente avremmo anche meno evasione fiscale e maggiore responsabilità delle imprese, unite a un benessere diffuso decisamente più ampio di quello attuale che si sta restringendo sempre più.
Il fatto è che l’Italia è un paese tossico per la libera iniziativa imprenditoriale, perché è governato secondo logiche socialiste e parassitarie. E non a caso, diversamente da quel che accade in altri paesi occidentali, chi da noi ha successo e gode di un certo benessere economico, non è colui che rischia il proprio capitale in un’iniziativa imprenditoriale, ma è colui che non lo rischia affatto e si rifugia in un lavoro a dipendenza più o meno pubblico, ovvero più o meno insensibile alle vicende economiche dell’azienda privata di riferimento.
Il paradosso ulteriore è che questa logica del nostro sistema è pure la causa dell’elevato debito pubblico (oggi sfiora i 2000 miliardi di euro). Perché se in uno Stato l’iniziativa economica privata è ostacolata, osteggiata e persino sabotata, in quanto immorale, è chiaro che si tenderà a dirottare sempre più le risorse umane verso rapporti di lavoro subordinato, privato e pubblico. Sopratutto pubblico. Le nuove generazioni infatti non saranno incentivate a rischiare in proprio per sviluppare l’economia, bensì a sognare il posto di lavoro a dipendenze, che attribuirà loro un reddito fittiziamente sicuro. Da qui un sempre maggiore intervento dello Stato nell’economia per garantire i livelli occupazionali nelle grosse aziende. Da qui, la lievitazione esponenziale della burocrazia per mantenere gli esuberi nel settore pubblico, incentivati – dicevo – da questa logica e dall’affermarsi del clientelismo politico, una delle strade più praticate per assicurarsi un posto al sole, e cioè un reddito da dipendente.
Non ci vuole una gran scienza economica per capire che una sifatta cultura economica porta alla lievitazione esponenziale della spesa pubblica, vuoi per mantenere i livelli di occupazione nelle grosse aziende private spesso decotte e parassitarie, vuoi per mantenere un esercito di dipendenti pubblici, nella stragrande maggioranza del tutto inutili. E non ci vuole certo una scienza pubblica per capire che con l’aumentare della spesa pubblica, aumentano anche il debito pubblico e la pressione fiscale. Lo Stato infatti avrà necessità di sempre più risorse per garantire il pagamento dei debiti contratti per mantenere questa sovrastruttura burocratica e parassitaria, e le uniche vie sono quelle che conosciamo benissimo sulla nostra pelle: emissioni di titoli del debito pubblico che ben si prestano alle attività di speculazione (vedi alla voce spread) e un aumento disumano della pressione fiscale.
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Se poi aggiungiamo a questo sistema tossico e iniquo anche i privilegi esagerati delle caste politiche, sindacali e giudiziarie, gli sprechi degli apparati amministrativi e le scarse risorse naturali di cui dispone il nostro territorio, possiamo ben concludere che l’Italia non ha affatto bisogno di Monti e del suo governo di pseudotecnici per salvarsi. L’Italia ha bisogno di politiche realmente liberali, in grado di creare sviluppo economico, e forse – dico forse – di un cambio radicale di cultura, che le favorisca a dispetto del posto fisso pubblico e dei politici che lo garantiscono in cambio di voti e potere.
La verità è chiara. Sono convinto che una nazione realmente progredita e con uno sviluppo economico sostenibile capace di diffondere benessere, dovrebbe essere caratterizzata da una burocrazia minimale, da un sistema statale leggero ed efficiente, dall’assenza di categorie privilegiate e da un approccio all’economia che consideri il posto di lavoro subordinato una fonte residuale di reddito e non già – come accade oggi nel nostro paese – la fonte principale (se non unica) alla quale le famiglie attingono o sognano di attingere. Questo è invero un sistema malato.