E dire che ci eravamo cascati anche noi. Potrebbe essere questa l’amara conclusione di un flirt durato qualche mese con l’Italia del Valori. Un po’ presi dalla disperazione di una sinistra veltron-dalemizzata, un po’ alla ricerca di chi le cantasse al Nano², un po’ schifati dal tormentone “parlar male di Silvio significa farlo vincere”, avevamo riversato la nostra affettuosa simpatia sul partito di Tonino Di Pietro non per una convinzione ideale (viaggiamo notoriamente da altre parti), ma solo perché tra tutti i leccaculo presenti sulla piazza della politica era l’unico che cercava di non leccarlo affatto, il culo di Berlusconi, anzi. E poi di Tonino ci piaceva quel “corruttore piduista” che tutti pensano ma che nessuno ha il coraggio di dire nei confronti di Silvio Il. Dobbiamo confessare, cospargendoci il capo di cenere ma non facendo ricorso al cicilio, che durante le elezioni europee dello scorso anno la simpatia per l’Idv si era trasformata in un impegno personale che ci portò a fare cose che si erano perdute negli anni della nostra giovinezza come quella di attaccare manifesti notte tempo. Fummo colti, insomma, da una sorta di “furore” politico che avevamo confinato nel magazzino del nostro passato peggiore fra le anticaglie dell’ancien régime. Alle elezioni europee l’Idv si confermò un partito all’8 per cento, un risultato ragguardevole che ne faceva l’unico che, nel giro di quattro anni, aveva triplicato il proprio elettorato. Già durante la campagna elettorale però ci rendemmo conto che i kapò dell’Idv erano quasi tutti ex Udeur, vittime di un esodo post-mastelliano che si era compiuto dopo le pesantissime accuse all’ex ministro della giustizia e alla di lui consorte. La prima domanda che ci ponemmo fu: “Come possono gli uomini che furono di Mastella militare nello stesso partito di Luigi De Magistris”? Rispondendoci che una poltrona pregiata val bene un rospo ingoiato. E di ex piccoli boss vogliosi di diventare dei “big” ne incontrammo parecchi e venivano da tutti i partiti mica solo dall’Udeur. C’erano piddini, verdi, rifondaioli, girotondini, margheritini cattolici bianchi come gli angeli e figli di puttana come i diavoli, e perfino ex missini transitati nell’An discioltasi nel Pdl. Più che un partito, l’Idv iniziò ad apparirci come un immenso caravanserraglio, una voliera nella quale abbondavano gli uccelli padulo e qualche passero infreddolito. Partecipammo perfino al primo congresso nazionale e a Roma, a causa del mal di stomaco che quella sorta di autocelebrazione di Tonino ci procurò, si risvegliarono i sintomi dell’ulcera. Promesso e proposto come un partito democratico (“al contrario degli altri” – come disse Di Pietro), l’Idv si rivelò essere la dependance di un uomo solo al comando manco fosse Fausto Coppi. Odiando “l’acclamazione” come forma di espressione di voto, restammo basiti quando Tonino venne eletto presidente del partito senza uno straccio di votazione proprio come Breznev, Ceausescu e Berlusconi e per non parlare dell’appoggio pubblico e spudorato a Vincenzo De Luca, inquisito candidato governatore della Campania. Da Roma ebbe inizio il nostro distacco dall’Italia dei Valori che si trasformò in un abisso in occasione delle elezioni regionali quando nelle Marche, la nostra regione, Di Pietro imbarcò veramente tutti quelli che possedevano tessere a vagonate e un elettorato a tre zeri, compreso un ex picchiatore fascista e noto razzista. Non ci stupirono quindi più di tanto, i casi di Sergio De Gregorio e Americo Porfidia nel 2006 né ci stupiscono oggi Antonio Razzi e Domenico Scilipoti. Essendo convinti che chi tradisce una volta continuerà a farlo per tutto il resto della sua vita (e non vale solo in politica), nei confronti dei fuorusciti da altre esperienze manteniamo sempre un atteggiamento di sospetto, una circospezione figlia dell’esperienza e di “scottature” che ancora bruciano. L’unica cosa che salva Tonino è che, al contrario di Berlusconi, lui non si ritiene Gesù Cristo perché se il Salvatore se la dovette vedere con Giuda che ne era pur sempre uno, Di Pietro è già arrivato a quattro. E non finisce mica qui. Ovviamente stiamo parlando di traditori non di nipotine di Mubarak.
Magazine Politica
Il termovalorizzatore Idv. Tutti a casa di Tonino. Stasera
Creato il 09 dicembre 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
E dire che ci eravamo cascati anche noi. Potrebbe essere questa l’amara conclusione di un flirt durato qualche mese con l’Italia del Valori. Un po’ presi dalla disperazione di una sinistra veltron-dalemizzata, un po’ alla ricerca di chi le cantasse al Nano², un po’ schifati dal tormentone “parlar male di Silvio significa farlo vincere”, avevamo riversato la nostra affettuosa simpatia sul partito di Tonino Di Pietro non per una convinzione ideale (viaggiamo notoriamente da altre parti), ma solo perché tra tutti i leccaculo presenti sulla piazza della politica era l’unico che cercava di non leccarlo affatto, il culo di Berlusconi, anzi. E poi di Tonino ci piaceva quel “corruttore piduista” che tutti pensano ma che nessuno ha il coraggio di dire nei confronti di Silvio Il. Dobbiamo confessare, cospargendoci il capo di cenere ma non facendo ricorso al cicilio, che durante le elezioni europee dello scorso anno la simpatia per l’Idv si era trasformata in un impegno personale che ci portò a fare cose che si erano perdute negli anni della nostra giovinezza come quella di attaccare manifesti notte tempo. Fummo colti, insomma, da una sorta di “furore” politico che avevamo confinato nel magazzino del nostro passato peggiore fra le anticaglie dell’ancien régime. Alle elezioni europee l’Idv si confermò un partito all’8 per cento, un risultato ragguardevole che ne faceva l’unico che, nel giro di quattro anni, aveva triplicato il proprio elettorato. Già durante la campagna elettorale però ci rendemmo conto che i kapò dell’Idv erano quasi tutti ex Udeur, vittime di un esodo post-mastelliano che si era compiuto dopo le pesantissime accuse all’ex ministro della giustizia e alla di lui consorte. La prima domanda che ci ponemmo fu: “Come possono gli uomini che furono di Mastella militare nello stesso partito di Luigi De Magistris”? Rispondendoci che una poltrona pregiata val bene un rospo ingoiato. E di ex piccoli boss vogliosi di diventare dei “big” ne incontrammo parecchi e venivano da tutti i partiti mica solo dall’Udeur. C’erano piddini, verdi, rifondaioli, girotondini, margheritini cattolici bianchi come gli angeli e figli di puttana come i diavoli, e perfino ex missini transitati nell’An discioltasi nel Pdl. Più che un partito, l’Idv iniziò ad apparirci come un immenso caravanserraglio, una voliera nella quale abbondavano gli uccelli padulo e qualche passero infreddolito. Partecipammo perfino al primo congresso nazionale e a Roma, a causa del mal di stomaco che quella sorta di autocelebrazione di Tonino ci procurò, si risvegliarono i sintomi dell’ulcera. Promesso e proposto come un partito democratico (“al contrario degli altri” – come disse Di Pietro), l’Idv si rivelò essere la dependance di un uomo solo al comando manco fosse Fausto Coppi. Odiando “l’acclamazione” come forma di espressione di voto, restammo basiti quando Tonino venne eletto presidente del partito senza uno straccio di votazione proprio come Breznev, Ceausescu e Berlusconi e per non parlare dell’appoggio pubblico e spudorato a Vincenzo De Luca, inquisito candidato governatore della Campania. Da Roma ebbe inizio il nostro distacco dall’Italia dei Valori che si trasformò in un abisso in occasione delle elezioni regionali quando nelle Marche, la nostra regione, Di Pietro imbarcò veramente tutti quelli che possedevano tessere a vagonate e un elettorato a tre zeri, compreso un ex picchiatore fascista e noto razzista. Non ci stupirono quindi più di tanto, i casi di Sergio De Gregorio e Americo Porfidia nel 2006 né ci stupiscono oggi Antonio Razzi e Domenico Scilipoti. Essendo convinti che chi tradisce una volta continuerà a farlo per tutto il resto della sua vita (e non vale solo in politica), nei confronti dei fuorusciti da altre esperienze manteniamo sempre un atteggiamento di sospetto, una circospezione figlia dell’esperienza e di “scottature” che ancora bruciano. L’unica cosa che salva Tonino è che, al contrario di Berlusconi, lui non si ritiene Gesù Cristo perché se il Salvatore se la dovette vedere con Giuda che ne era pur sempre uno, Di Pietro è già arrivato a quattro. E non finisce mica qui. Ovviamente stiamo parlando di traditori non di nipotine di Mubarak.
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