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Il testo è una macchina pigra

Da Marcofre

Interessante definizione di Umberto Eco a proposito del testo: secondo lui si tratta di una “macchina pigra”. Buona parte del lavoro lo deve svolgere il lettore. È vero, però forse è necessario chiarire una definizione del genere che altrimenti rischia di far apparire il lavoro di chi scrive del tutto secondario.

Ha tuttavia il pregio di ricordare a chi si avvicina alla pagina che l’efficacia non si raggiunge con la quantità, bensì con la qualità. E che si tratta pur sempre di una macchina. Tradotto in soldoni: un insieme di elementi che devono funzionare, e il lavoro per assemblarla e consegnarla funzionante nelle mani del lettore, a chi spetta?
Esatto, a chi scrive.

Siccome non è chiaro che si tratta di una macchina pigra,cosa fa di solito un esordiente? Parla di sé. Per paura che qualche passaggio non sia chiaro a chi legge, abbonda con le parole. L’esito non è mai baciato da un autentico consenso, ma non potrebbe essere differente.

Secondo me un buon sistema per costruire una macchina pigra almeno scoppiettante è di evitare di parlare di sé; almeno agli inizi dell’avventura nella scrittura. Ci sono trappole a non finire, e chi si misura con la parola, ci casca dentro con una precisione quasi svizzera.

Sotto le apparenze, l’ovvio, la patina delle abitudini, forse c’è qualcosa di interessante. Spetta a chi scrive, se ha talento, andare a scovarlo e proporlo. Un fatto, anche piccolo e insignificante, può essere narrato. Può cioè diventare una macchina pigra capace però di catturare i lettori.
Cosa fa funzionare questa macchina?

Non è agevole rispondere, perché ciascuno agisce come meglio crede. Immagino che debba esserci qualcosa come:

  • Una cosa che mi sta a cuore. Non credo affatto che si debba scrivere solo di quello che si conosce (l’ho già scritto e ribadito non so quante volte). Però il personaggio non è mai un’ombra. Nemmeno una pedina nelle nostre mani di cui possiamo disporre come meglio crediamo. Chi ragiona così ne ha di strada prima di arrivare a confezionare cinque righe decenti. Perché non è un autore, ma un dittatore. Occorre praticare il rispetto per il personaggio (ogni personaggio), perché ha una sua dignità. Solo in questa maniera ci avvicineremo a lui con il giusto spirito, e saremo in grado di trarre fuori qualcosa di interessante. Solo in questo modo dimostreremo che ci sta a cuore lui, non il nostro piedistallo.
  • Responsabilità. Troppo altisonante forse, però chi scrive quello fa: si assume la responsabilità di prendere un evento, e interpretarlo. Vale a dire, dargli una profondità tale che permetta al lettore di chiudere il libro con una consapevolezza nuova a proposito di sé, o della vita. Qualcuno potrebbe dire che “responsabilità” è eccessivo? Non credo: si tratta di usare le parole giuste, per creare una narrazione efficace, capace di “parlare” (quindi di valore). Tutti elementi che non possono essere sottovalutati, mai. Ecco allora che “responsabilità” ha il suo senso.
  • Stile. Ha a che vedere con la propria natura. Si dice che chi scrive (o chi frequenta le arti in genere), abbia un ego smisurato. Probabilmente è vero, ma questo deve essere messo sotto chiave, controllato per evitare che salti addosso alla storia, e la sbrani. Lo stile ha a che vedere con qualcosa di molto personale, potremmo anche usare “voce” per rendere meglio l’idea. Non è un qualcosa che si ottiene con facilità. Occorre tempo, e se chi scrive ha fretta, forse dovrebbe provare non con la scrittura, ma con i go-kart.

Ma alla fine di questo avremo costruito la perfetta “macchina pigra” da consegnare al lettore? Può darsi. Il bello della scrittura è che non c’è niente di certo. Però queste indicazioni servono; spero.


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