Amo sempre le cose che mi fanno più male: i treni perennemente in ritardo, gli uomini sbagliati, i cibi che non posso mangiare, gli amici che poi non sono tali. Il viaggio in treno è come un rito, un momento che ritaglio per me stessa, con il telefono che non prende sotto le gallerie, il tavolino apparecchiato con il libro, Vanity Fair, il pc, l’ipod, le cuffie e l’acqua, le storie che invento sulle persone che condividono con me il vagone, gli occhi dolci che faccio al controllore carino di Italo, il bar in cui spendo cinque euro per un pacchetto patatine che poi vado a mangiare al mio posto e vengo tacciata di maleducazione da chi poi urla per metà viaggio al telefono, ché la maleducazione è solo quella degli altri. Se una persona si addormenta voglio svegliarla perché ho paura che perda la sua fermata, se qualcuno inizia a parlare al telefono voglio sapere chi c’è dall’altra parte, vorrei poter aprire tutte le loro valigie e vedere cosa c’è dentro, se hanno portato gli abiti giusti, quante paia di scarpe, vorrei chiedere a chiunque dove sta andando, se per lavoro e se sì che lavoro fa, se per amore e se sì lui/lei chi è, se ne vale davvero la pena. I paesini arroccati sulle colline che vedo dal finestrino mi ricordano che non sono la ragazza di campagna che ho sempre pensato di essere, io lì non ci potrei mai vivere. A un certo punto del viaggio alle narici ti arriva sempre un acre odore di bruciato, ma tutti gli altri continuano a fare quello che stanno facendo e allora boh, sarà normale.
Prendere il treno può essere bello e romantico, ma solo se lo prendete per una persona che se lo merita, per qualcuno che viene a prendervi in stazione e non vi lascia prendere la metropolitana da sola a mezzanotte, per qualcuno che vi ringrazia di aver scelto di mettere in pausa la vostra vita nella città in cui vivete per passare del tempo nella sua di vita e nella sua di città, per uno che la mattina non vi mette alla porta come se voi foste solo delle povere sceme che in fondo non avevano niente di meglio da fare che attraversare mezza Italia per dormire schiena contro schiena come fanno gli sconosciuti. Ho preso un treno per amore solo una volta nella vita, ma era amore solo il mio. La colpa è mia che mi innamoro subito, senza far bene i conti con chi ho di fronte. Io ho il cuore che senza avvisare esonda, improvvisamente non riesco più a pensare a nessun altro, ho la speranza che lui possa provare lo stesso che scorre nelle vene mista al sangue e la vista appannata come i finestrini dei treni perennemente sporchi. Era amore solo il mio e sentivo le farfalle nello stomaco, a me non interessava di essere l’unica innamorata, pensavo che il mio sentimento fosse così forte che avrei potuto darne a lui la metà così che potesse vedermi con gli occhi di chi quando vai via poi si sente crollare il terreno sotto i piedi, che ti dice di non partire, che accetta di voler stare con te anche se di mezzo ci sono seicento chilometri, che vi promette che la prossima volta verrà lui, anche se è una bugia, lui non verrà perché non ne ha voglia, perché tre ore di treno voi non le valete mica. Continuavo a specchiarmi nello schermo dell’iphone o nel finestrino quando passavamo sotto le gallerie, ho passato la metà del viaggio a rifarmi il trucco tredici volte per essere perfetta, come se lui non mi avesse già vista decine di volte. Era amore solo il mio ed era così forte che la velocità del treno che solitamente mi spaventa quando la leggo sullo schermo è passata completamente in secondo piano perché lui mi scriveva durante tutte le tre ore che ho passato a disegnare cuoricini nel vuoto con le dita. Mi sono cambiata nel bagno microscopico e del quale ho una paura fottuta una decina di volte, le persone mi vedevano uscire dal bagno vestita in modo diverso ogni cinque minuti e mi guardavano come si guardano i cretini. Avrei voluto salire in piedi sul sedile e dire loro che stavo andando da un ragazzo che mi piaceva da morire, il primo della lista, quello che mi aveva preso il cuore e me lo stava cuocendo in padella a fuoco lento, che ogni giorno faceva e diceva qualcosa che mi faceva incazzare ma intanto eccomi lì, davanti a tutti, a parlare di quanto coraggio ci vuole per andare in trincea sapendo che lui ha un fucile e tu un legnetto bagnato. Sì miei compagni di viaggio, lo so che non è lo stesso per lui, me l’ha detto chiaramente e so leggere da prima di iniziare le scuole elementari, ma mi basta anche solo una carezza. Tre ore di treno e mezza Italia per una carezza. Avrei detto loro che lo sapevo bene che era amore solo il mio, ma magari avrebbe cambiato idea. E adesso ditemi, mi sta bene questa maglietta?
Ne avrei presi tanti altri, se solo me lo avessi chiesto. Alla fine quel treno l’ho odiato perché mi aveva fregata, non mi aveva detto che il viaggio del ritorno lo avrei passato tra lacrime e vecchie conversazioni di whatsapp, con la voglia di salire di nuovo in piedi sul sedile e urlare che mi ero sbagliata, che quel treno maledetto poteva volermi un po’ di bene e rompersi, lasciarmi una notte in Toscana così che io poi non avessi più il tempo di andare a farmi trattare come un asciugamano da bidet.
A volte vorrei un treno che mi portasse indietro nel tempo, per evitare di andare a lavorare, quel sabato mattina, e godermi le tue ultime ore di lucidità. Poi vorrei un treno che mi portasse a quel giorno in cui ho deciso di non venirti a salutare prima di partire e fare il contrario, magari adesso ti interesserebbe sapere dove sono e come sto. Infine vorrei un treno che mi portasse esattamente sotto casa tua, per citofonarti alle due di notte come ho fatto quella sera, per salire quelle scale cercando di non fare rumore, per pulirmi i piedi sul tappetino fuori dalla porta, per dirti ma che bella casa che hai, per darti un bacio lungo dieci minuti come quella sera invece non ho fatto, e poi rimettermi il cappotto, andare verso la porta, urlarti che quel mio viaggio in treno non te lo sei meritato, guardarti negli occhi senza abbassare lo sguardo dopo tre secondi e dirti, una volta per tutte, che sei solo una grandissima merda.