Si snoda nel tempo il rapporto stretto fra cibo e letteratura ed è difficile trovare autori che nei loro romanzi, novelle, saggi non abbiano qua e là ceduto alla tentazione del resoconto di un pranzo, del sapore di un piatto o di una ricetta di cucina. Qualcuno come Jorge Amado sembra addirittura voler rubare il mestiere ai cuochi e agli scrittori professionisti, lui che si definisce uno scrittore “popolare,” ripudiato dalla critica ufficiale e che è invece è uno dei più grandi autori del 900 di tutta la letteratura sudamericana. Tre sono le tematiche ricorrenti della sua narrativa. La prima è la denuncia delle ingiustizie sociali e l’esaltazione di quella che definisce “Negritudine” del Brasile, poi c’è l’appassionato amore per Bahia, la terra dove è nato e da cui spesso è stato lontano e addirittura messo in fuga e, terza, è la cucina. Ma a volte, dire quale delle tre sia la più importante, diventa difficile. Non c’è vita senza cibo, afferma Amado, ma con quella passione così forte per la sua terra, quando scriveva di cucina non poteva non dare la preferenza ai cibi brasiliani, così ricchi, opulenti e spesso complicati Sembrano proprio la dimostrazione e la metafora del popolo brasiliano con i suoi mille colori e le infinite contaminazioni con tutte le culture del mondo. Così il cibo, nell’ opera di Amado arriva subito, appena si presenta l’occasione. E se, “Nel Paese del Carnevale”, il suo primo lavoro, fa solo una fugace apparizione, già in “Cacao,” provocatorio romanzo di denuncia delle condizioni di lavoro schiavistiche in cui era asservita la popolazione, si parla della cucina per parlare del popolo e della gente comune in contrapposizione ai costumi e alle tradizioni dei padroni. E il cibo, quello dei poveri, diviene anch’esso una forma di provocazione e ribellione sociale e si può così assistere e partecipare a un trionfo di carni essiccate, fagioli, frutta e acquavite.
Alla famiglia Amado piace invece particolarmente il “Cosciotto di maiale al forno” che si ritrova in “Guardiani della Notte” e “Alte uniformi e camicie da notte”. Quando lo descrive Jorge Amado diventa lirico e sognante “Più della carne piace la crosta scura, salata, croccante che si forma sopra e che è oggetto di contesa…”
Dona Flor invece, non è una cuoca vera e propria, ma sempre per rimanere in tema culinario, ha una piccola scuola di
cucina e Amado ne coglie l’occasione per aprire ogni parte del romanzo con una riflessione su un piatto della cucina di Bahia, ricavato dalle sue ricette. Rimasta presto vedova, Dona Flor è combattuta fra la passione per il marito morto, che le torna ad apparire come provocante fantasma sexy e la fedeltà al secondo marito. Di essa, Jorge Amado ha fatto un personaggio eccezionale per la leggerezza, la sottile ironia e insieme la spregiudicatezza con cui affronta uno dei problemi più complicati da che mondo è mondo.Appena rimasta vedova del bellissimo Vadhino, Dona Flor chiede di essere lasciata ” in pace con il suo lutto e la sua solitudine”e si immerge letteralmente nella preparazione del ”Vatapà” il piatto più celebre di Bahia, descrivendone dettagliatamente le varie fasi di preparazione, in una sua pacata allucinazione dove la ritualità e la ripetitività dei gesti di cucina, diventano un antidoto per abbassare la soglia del dolore.
Il “Vatapà” ha origini che vanno rintracciate nella cucina degli schiavi africani deportati in Sud America e nella sua consistenza cremosa, gli antichi schiavi hanno voluto gettare, assieme alla loro accesa fantasia, tutti i sapori e i profumi più generosi della ricca terra del Brasile.
VATAPA’
INGREDIENTI (per 6-8 persone): 3 cucchiai di olio di palma (va bene anche l’olio extra vergine di oliva), 1 cipolla tritata, 3 spicchi di aglio a fette, 1 cucchiaio di zenzero fresco grattuggiato, 4 piccoli peperoni jalapeno, 6 pomodori pelati e tritati, il succo di 2 lime, 1/3 di tazza di gamberetti essiccati e polverizzati, 1/3 di tazza di burro di arachidi, 2 tazze di brodo di pollo, 2 tazze di latte di cocco, 1/2 mazzo di coriandolo tritato,1 cucchiaino di sale, 1 goccia di tabasco, 1 Kg di filetti di cernia, a tocchetti, 450 grammi di code di gamberi pulite e tagliate a metà, foglie di coriandolo e fettine di lime per guarnizione.
PREPARAZIONE:In un largo tegame scaldate l’olio su fuoco medio. Unite le cipolle, l’aglio, lo zenzero e i peperoncini. Cuocete per circa 10 minuti, mescolando di tanto in tanto, finchè le verdure non si sono ammorbidite.
Aggiungete i pomodori, il succo dei lime, i gamberetti secchi e il burro di arachidi e mescolate il tutto per 1 minuto. Versate un pò per volta il brodo di pollo, mezza tazza per volta, mescolando continuamente per mantenere la preparazione morbida. Ora unite il latte di cocco, il cerfoglio, il sale e il tabasco.
Poco prima di servire ungete una ampia casseruola con un pò d’olio e ponete i filetti di pesce a pezzi in un unico strato. Metete su fuoco medio basso e, giusto appena inizia a friggere, versateci la salsa che avete preparato e portate bollore. Fate cuocere per 8 minuti, o finchè il pesce non diventa opaco, aggiungendo le code di gambero gli ultimi 2 minuti.
Distribuite in ciotole individuali spremendo su ognuna un poco di lime, e guarnite con le foglie di cerfoglio.
N.B.: Il latte di cocco per questa ricetta, non è il liquido contenuto nella noce di cocco, ma bensì viene ottenuto grattuggiando la polpa e ponendola a macerare in acqua per almeno un’ora, viene poi strizzata e il liquido che se ne ricava è appunto quello che serve in cucina. Se non si ha a disposizione del cocco fresco, lo stesso risultato si può avere utilizzando, con la stessa procedura, quello secco che si trova anche al supermercato.