Tempo fa, ho deciso di intraprendere la via della pazzia. Che cos’è veramente la pazzia? Una sottile sanità che è tradotto in un intelletto superiore. Non voglio essere etichettato come colui che preso da narcisismo si definisce superiore agli altri. La vanità è qualcosa che esiste da secoli, non vi è dubbio. Ma come questa incida su un letterato è cosa nota. Gli scrittori di oggi sono tutti vanitosi. Amano sfoggiare le loro creazioni, bombardare i mass media per avvertirci che hanno scritto l’opera del secolo. Siete dei selvatici odori di cui la lingua si nutre.La cultura è sempre stata un fantasma nel paese italiano. Fuggita e ricatturata, modellata su esigenze banali, insomma per far contenti i piccoli borghesi. Una classe sociale priva di cultura che stava nascendo nel XIX secolo. Tutto è un divenire storico, han detto chi se ne intendeva di cultura! E sono stati visti come dei pazzi, adulatori di ciò che non è semplice ma retorico. Certo. La letteratura, in primis, è un valore che dev’essere, prima di tutto, promotore di semplicità. Ma non esistevano le riviste o i giornali che facevano questo? Ad oggi, non ci sono. Si presentano come lamenti politici da far inghiottire al pubblico. E dunque, mi chiedo, dov’è la letteratura? Dov’è il senso e il valore civile che aveva? Io tremo dinanzi a queste domande. Perché mi rendo conto che, oramai, chi nasce letterato muore da povero. Ricco di ideali, ma scarso ingranaggio economico che non può far altro che adeguarsi. Già, il verbo adattare. Molti poeti dicevano: «Guai a te, Barbaro, che sei suonatore di meccaniche indigeste!». Io semplicemente mi adatto. Certo, mi adatto! Uso questi versi per attaccare un verbo che non mi sta simpatico. Anche io sono caduto in questa trappola. Sono diventato sano. Se mangio pane, non vuol dire che lo faccia. Questo è il senso. Dunque da oggi ritorno nella mia pazzia. Non so veramente perché l’abbia abbandonata. Non ha avuto alcun risultato. E se consumo il mio povero sangue, guai a me! Che sono nato da povero letterato e morirò in una ammucchiata umana, dove mi ricorderò di essere un poeta analfabeta.
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