Un uomo, due donne, un progetto criminoso: a dirla così sembrerebbe molto più interessante Il viaggio d'inverno, romanzo di Amélie Nothomb, edito da Voland e tradotto da Monica Capuani. I miei trascorsi con le opere della scrittrice nata a Kobe sono piuttosto lusinghieri: un paio di anni fa lessi Igiene dell'assassino, meravigliandomi per la capacità dimostrata dall'autrice nel gestire una narrazione costituita in sostanza da un unico lungo dialogo; tempo dopo ebbi tra le mani L'entrata di Cristo a Bruxelles: due racconti anomali, di sofferenza e leggerezza, introspettivi quanto basta.
Mi sono dunque avvicinato con moderate aspettative ma grande curiosità a Il viaggio d'inverno; per questo motivo devo dirlo subito: non è certamente un romanzo esaltante. Scarna la trama: un dipendente di una società elettrica si trova in aeroporto e si appresta a effettuare un dirottamento. Nell'attesa redige un documento (che non verrà letto da nessuno) nel quale spiega le ragioni del gesto. Ora, come tutti sappiamo, non è infrequente che una donna sia portatrice di sventura («le donne amano sempre fuori tempo massimo», si legge verso la fine), tuttavia, in questo caso particolare, è meglio lasciar scoprire a chi vorrà leggere il romanzo della Nothomb cosa c'entrano una ragazza bella ma fragile e una grassa scrittrice apparentemente idiota ma dalla sensibilità acutissima, col gesto criminale che il protagonista si accinge a compiere.
Come recita la quarta di copertina, per la quale corre l'obbligo di rimproverare ai redattori di Voland l'aver implicitamente rivelato un passaggio, non dico fondamentale ma comunque importante della prima parte del libro: «un romanzo in cui tutto è improbabile». Ecco: si comunica ai gentili signori che non basta, da sola, “l'improbabilità” a fare la differenza tra un “romanzo e basta” e un “romanzo”. È vero, l'autrice fa muovere i suoi personaggi, strambi e patinati allo stesso tempo, in un ambiente freddo, livido, finanche cadente; e ciò è cosa buona e giusta. Ma il complesso narrativo non decolla mai, lascia un fastidioso senso di incompiutezza. E dire che ci sarebbe stato materiale, sbilanciamoci pure (con sprezzo del pericolo), per tirar su un classico della letteratura contemporanea. Invece, l'idea non è malvagia, la scrittura della Nothomb fila che è un piacere e gli spunti interessanti non mancano; però dura tutto troppo poco: il tempo di mettere a fuoco gli universi delle figure che agiscono sulla scena dell'opera, ed è già finito.
Carver, Jones, Bender: tre nomi (fra molti) per tre autori a cui, in questo libro, viene strizzato l'occhio. Provincia, disincanto, “nuovo realismo magico”, trasportati nel cuore dell'Europa; peccato però che, degli scrittori menzionati poco sopra, manchi quel dono per cui un artista della scrittura riesce a farti "conoscere" i personaggi in poche pagine, quando non in poche righe, e legarti al loro mondo, alle loro fragilità, alle loro preoccupazioni.
Per concludere, dunque: consiglio o sconsiglio questo Il viaggio d'inverno? Amélie Nothomb è qui non diversa da altri suoi lavori, ma forse la materia a cui si accosta avrebbe richiesto qualcosa di più. Cosa? Difficile a dirsi; l'alchimia della narrazione sta sempre tra la penna (concedetemi questo tocco “romantico”) di chi scrive e gli occhi di chi legge.