Il viaggio inizia dove si fermano le feroci routine di 7 miliardi di iperattivi cronici, e finisce dove il relax inizia lentamente a sfumare verso una consapevolezza dai contorni tutti nuovi e definiti. Oggi ho deciso di usare la prospettiva di chi il viaggio se lo vede piombare quotidianamente addosso, e non per forza come scelta che va a braccetto col piacere della scoperta. Lei è Annah Mayer, 38 anni, hostess di volo targata Castro (quartiere di San Francisco noto per il suo fare della diversità una ricchezza preziosa, un valore aggiunto, e non certo un fardello da trascinarsi dietro con mesta rassegnazione). Completamente intrappolato fra i pensieri pre partenza e la pratica dello “srotolo cuffiette”- che a volte risulta agevole quanto fare la maratona di Ny su un solo piede e a ritmo di Colita – sono stato rapito da questa giovane donna che, con passo svelto e quella decisione comune solo a chi la situazione ce l’ha parecchio sotto controllo, sbrigava tutte le faccende pre-decollo non negando mai un sorriso o un sostegno ai passeggeri incappati nel suo raggio visivo.
Fin qui tutto normale, potrebbe dire qualcuno. Vero. Ma quegli occhi? L’atteggiamento suggeriva: “L’ho fatto mille volte, figuriamoci”, mentre lo sguardo sussurrava un più sommesso “Ecco, ci risiamo”. Complice la prospettiva delle 9 ore di volo per Detroit e un sonno così pigro nel farsi vedere che neanche il giorno prima di un esame, insomma, io alla curiosità c’ho ceduto e sulla storia di Annah c’ho voluto vedere chiaro.
E ho fatto bene. Come solo un esperto di agguati notturni in lugubri paludi sa fare, ho aspettato che si creasse quell’atmosfera a metà strada fra il dopo cena e la notte inoltrata – quella ideale per una chiacchierata cuore a cuore, soprattutto se puoi giocarti l’Oceano Atlantico ed il fascino di una fornita scorta di stelle sotto di te come condimento – per avvicinarmi e attaccare bottone.
Capelli biondi raccolti in una treccia messa su alla buona, 1 metro e 80 cm di statura per almeno 3 km di simpatia, uno zainetto di Hello Kitty contrario ad ogni regola della comune decenza umana, ma imbarcato con ammirevole convinzione, una rara capacità nel coniugare il saluto al passeggero e l’offesa di rito alla collega poco pratica, e infine una peculiarità meritevole – secondo me – di un intero reality show intitolato ” I paradossi di oggi”: un’enorme, radicata, indefessa paura ladra di volare, mascherata ad arte dalla scelta dell’ultima postazione in fondo al corridoio, quella non visibile dai passeggeri ignari, così, di questo piccolo ma fondamentale dettaglio; tra l’altro non stiamo parlando di un flebile disagio da “Se arriva un vuoto d’aria chiedo asilo politico al pilota”, ma di un vero terrore da almeno 3 giri di cintura di sicurezza.
La osservo, le parlo, la ascolto e una riflessione è d’obbligo. Avete mai pensato a quanto può essere dura, per una studentessa rimasta incinta senza preavviso e ora mamma single, trovare, prima di ogni decollo, le parole giuste per rassicurare un “esserino” di 7 anni sul fatto che andrà tutto bene, che tornerà, che arriverà il giorno in cui invece delle nuvole finalmente potrà andare in un ufficio da cui si vedrà una comunissima strada asfaltata? E’ dura. E’ inevitabile per almeno 121 motivi, dalla crisi economica alla necessità di sentirsi persone realizzate oltre che bravi genitori E’ una sfida che, ogni dannata volta, ti carica di adrenalina quanto di nostalgia. E’ un’arena in cui bisogna trovare e difendere il proprio spazio se si vuole assicurare a se stessi e ai propri figli un futuro dal sapore più dolce che amaro. E’ così. E ascoltarlo dalla voce di chi nonostante tutto non si fa mai cogliere impreparata su sorrisi ed entusiasmo è ancor più emozionante.Il viaggio mette in moto il corpo e la testa, la praticità e la riflessione, il senso civico e soprattutto la sensibilità. Grazie Annah. Perché? Perché dell’ultimo ingrediente di solito tendiamo a fare a meno, a dimenticarcene, e invece la chiacchierata con te mi ha ricordato che dev’essere il primo da mettere in valigia.
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