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Il voto degli italiani all’estero: un cambio di prospettiva, per una visione completa

Creato il 07 marzo 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Martina Franco

Il voto degli italiani all’estero: un cambio di prospettiva, per una visione completa
Un cambiamento del punto di vista, della posizione dalla quale si osserva un fenomeno, cambia contestualmente la percezione che abbiamo di quest’ultimo. Ecco perché di fronte ad una stessa realtà le spiegazioni e le reazioni possono essere anche del tutto opposte, sebbene in qualche modo complementari. Ed ecco perché analizzare un fenomeno da più di una prospettiva consente di averne una visione più completa. Da questo nasce l’interesse per l’esito del voto degli italiani all’estero nel corso delle elezioni politiche di fine febbraio: dal fatto che le preferenze espresse dagli italiani che risiedono fuori dai confini nazionali si discostano in maniera davvero significativa rispetto a quelle degli italiani che vivono in patria. Gli uni e gli altri sono naturalmente influenzati dalla posizione, “interna” o “esterna”, dalla quale osservano e vivono le vicende del Paese.

I risultati elettorali – limitatamente alla Camera – ottenuti da due forze politiche di recente costituzione, la Lista “Con Monti per l’Italia” e il Movimento Cinque Stelle, riflettono questa differenza di prospettiva: in Italia poco meno del 10% degli elettori ha scelto Mario Monti, il quale ha ottenuto invece il 19% delle preferenze da parte degli Italiani residenti fuori dal Paese; il Movimento Cinque Stelle ha invece totalizzato in Italia il 25% delle preferenze, contro il 10% quasi dei voti dei residenti all’estero. Prima di analizzare le motivazioni alla base di questa divergenza, e soffermandoci esclusivamente sui partiti leader delle rispettive coalizioni, vale la pena completare il quadro constatando che il Popolo della Libertà ha ottenuto poco più del 21% dei voti dagli elettori in patria e il 15% dei voti degli Italiani all’estero, mentre il Partito Democratico ha raggiunto in Italia il 25%, mentre all’estero il 29%.

Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, gli Italiani residenti all’estero che hanno votato alle elezioni dello scorso 24-25 febbraio sono stati in tutto poco più di un milione di persone, su un totale di 3,4 milioni aventi diritto di voto. Precisiamo che si intende per “aventi diritto” coloro che, oltre ad aver raggiunto la maggiore età, sono iscritti all’AIRE – Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, ovvero i connazionali trasferitisi all’estero per periodi superiori ai dodici mesi e quelli nati all’estero. Si tenga conto, inoltre, che la procedura di voto adottata è quella per corrispondenza presso l’abitazione dell’elettore che, una volta espressa la propria preferenza, è tenuto a rispedire via posta il plico elettorale al Consolato competente. Una procedura che richiede la collaborazione del soggetto e che è possibile attuare solo se eventuali cambi di residenza sono comunicati in maniera tempestiva. I dati emersi dalle ultime elezioni vanno dunque considerati tenendo ben presente che solo una piccola percentuale degli Italiani che vivono all’estero ha esercitato il proprio diritto di voto. Ciò nonostante, i risultati possono fungere da specchio per osservare la situazione italiana da un’altra prospettiva.

E’ naturale, innanzitutto, che gli Italiani non residenti in patria abbiano una percezione influenzata dalla visione che all’estero si ha del nostro Paese e che diano importanza a temi quali la politica estera e il peso internazionale dell’Italia, soprattutto a livello comunitario. Considerato che la gran parte di questi elettori vive in altri Stati europei (sono circa 2 milioni gli aventi diritto), è chiaro come la linea politica di Monti abbia riscontrato un discreto successo.

La base fondante su cui poggiano le varie proposte dell’Agenda Monti è, infatti, proprio l’Europa, come recita sin dal titolo “Cambiare l’Italia, riformare l’Europa”. In un’epoca nella quale il destino di ciascun Paese è irrimediabilmente interconnesso al sistema di relazioni globali nel quale è immerso, secondo Monti far parte dell’Unione Europea è per l’Italia non solo un dato di fatto ma anche uno status al quale non è né realistico né vantaggioso rinunciare. Anzi, l’unica strada possibile per sperare in una ripresa economica è proprio quella di impegnarsi più a fondo per rendere l’Unione Europea meno intergovernativa e più comunitaria. Uno sforzo in questo senso significa anche, per Monti, operare nell’interesse dell’Italia, per non rendere vani gli sforzi fatti finora sia per contribuire al bilancio europeo sia per sostenere il Fondo Europeo destinato ai Paesi membri in difficoltà. Il ruolo che l’Italia deve avere in questo contesto è quello di protagonista del cambiamento; tuttavia deve prima dimostrare di rispettare le regole del gioco, attenendosi agli obblighi comunitari e guadagnando in questo modo quella credibilità che consente di influenzare le decisioni comuni. La riduzione del debito pubblico, il pareggio di bilancio, la spending review intesa come eliminazione degli sprechi sono, nell’ottica del Presidente del Consiglio uscente, i primi passi verso un risanamento dell’economia nazionale ed europea, un punto di partenza verso una più intensa integrazione “fiscale, bancaria, economica e politico-istituzionale tra gli Stati membri”.

A livello extraeuropeo, inoltre, Monti si è fatto promotore di alcune direttrici precise alle quali dovrebbe attenersi la politica estera italiana: il rafforzamento delle relazioni con gli Stati Uniti e con le Nazioni Unite, con i Paesi mediterranei – soprattutto per favorire una democratizzazione di quelli interessati dalle cosiddette “Primavere arabe” e dai relativi effetti –, con i Paesi in Via di Sviluppo in vista di una politica di cooperazione più mirata ed efficace. Gli strumenti per il perseguimento di questi obiettivi rimangono per Monti la diplomazia e la partecipazione delle forze armate italiane alle operazioni di pace, di lotta la terrorismo e alla pirateria, nonché la diffusione della cultura italiana, valorizzando proprio la rete degli italiani nel mondo.

Un programma che guarda dunque al Paese da una prospettiva interna, europea e mondiale allo stesso tempo, e che proprio perché si fonda sul rispetto dei doveri comunitari, non può che significare per Bruxelles una garanzia di credibilità e stabilità che scongiurerebbe, se non altro, il rischio di dover provvedere al “salvataggio” di un altro Stato.

Osservando dall’altra prospettiva, si rileva come invece gli Italiani in Italia non abbiano dato particolare importanza ai suddetti argomenti e come, al contrario, abbiano guardato con maggiore preoccupazione alla situazione interna, scartando le proposte dell’ormai ex Premier in considerazione delle misure di spending review ed austerity attuate nell’ultimo anno, di cui hanno vissuto direttamente le conseguenze. Infatti, se la lista Monti ha avuto più successo all’estero che in Italia, il Movimento Cinque Stelle ha convinto invece una percentuale decisamente più alta di italiani non emigrati. Le ragioni sono opposte alle precedenti. All’estero il Movimento di Grillo è visto per lo più come una sorta di populismo potenzialmente pericoloso e destabilizzante, proprio perché si propone di rifondare le istituzioni e il sistema economico, optando per risolvere i problemi interni con soluzioni interne.

Nel programma di Grillo non compare alcun accenno alla politica estera e alla collocazione europea dell’Italia, ma ciò che vi si deduce dalle dichiarazioni rese in campagna elettorale è un’insofferenza verso i dettami comunitari, colpevoli di avere drasticamente ridimensionato il tenore di vita dei cittadini a beneficio di altri Stati europei e delle élites politiche. Ad allarmare o se non altro a non convincere l’Unione Europea, e con ogni probabilità anche buona parte degli italiani all’estero, è anche il fatto che le proposte contenute nel programma del Movimento Cinque Stelle sono spesso poco concrete. La riforma delle istituzioni tagliando i costi, abolendo le Province e altri enti, l’eliminazione dei privilegi di chi ricopre cariche pubbliche, allineando gli stipendi a quelli dei comuni cittadini, la maggiore trasparenza sull’operato del Parlamento sono solo alcuni esempi di proposte che se non meglio specificate possono sembrare retoriche ed idealiste. Tanto più che l’inesperienza politica dei candidati della lista, agli occhi di chi guarda al Paese dall’esterno, potrebbe rappresentare un ostacolo all’adozione di provvedimenti fortemente auspicati dall’Europa, in primis le riforme necessarie per stimolare la ripresa economica.

Il successo ottenuto da questa lista in patria conferma invece come gli argomenti ai quali gli elettori residenti in Italia danno maggiore importanza siano quelli connessi con i problemi interni del Paese, quali la crisi economica e il sistema politico che reputano ormai logoro. Il grande riscontro ottenuto dal Movimento Cinque Stelle in Italia è inoltre la prova di una grande disaffezione da parte della popolazione verso la politica “tradizionale” e verso l’attuale classe dirigente. Non a caso si tratta di un “movimento”, che si pone in opposizione ai partiti e prospetta un cambiamento radicale che gli elettori italiani residenti all’estero non sembrano ritenere così necessario.

Al di là delle divergenze tra il voto degli elettori residenti e non residenti in Italia, ciò che si evince dai risultati complessivi è anche un segnale allarmante per Bruxelles. La grande frammentazione interna evidenziata dall’esito elettorale potrebbe inaugurare, infatti, una nuova stagione di instabilità o portare ad un impasse governativa e compromettere il risanamento dell’economia che, in un momento storico come quello attuale, rappresenta la priorità.

Ancor più, le consultazioni hanno decretato la sconfitta elettorale dell’europeismo montiano e il successo del Movimento di Grillo, confermando in questo modo l’avanzare dell’euroscetticismo anche in Italia. A livello europeo, il prevalere degli interessi interni ai singoli membri rischia dunque di ostacolare sempre più la realizzazione e l’approfondimento dei progetti comunitari, mostrando i limiti di un’integrazione economico-monetaria tra Stati che tuttora mantengono istituzioni politiche nazionali.

* Martina Franco è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Trieste)


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