In tutto questo ci sta la disperazione di chi perde il posto e di chi perde la salute e la vita, ci sta il quartiere di Tamburi, il suo degrado fisico e ambientale ma non civico e morale, e la gente di Taranto, posta di fronte all'atroce dilemma: in che modo morire, lentamente di tumore o velocemente d'inedia e miseria?
A parte le ragioni di chi chiede di riprendere la produzione o di chi difende il sequestro della magistratura, mi interessava vedere la vita nell'inferno dei veleni e delle scelte disperate, cioè il quartiere Tamburi. Quelli che vi propongo sono due viaggi: uno narra la visita al quartiere del neo sindaco Stefàno. Non contano le promesse del sindaco, che assomigliano a tutte le promesse dei politici, nè le richieste, sempre troppo educate degli abitanti di Tamburi, in quella sorta di duetto che si instaura quando un politico visita qualcuno in stato di bisogno. Troppo scontata la sequenza di eventi: i cittadini a lamentarsi e pretendere ciò che dovrebbe spettargli di diritto e il politico a comprendere e meravigliarsi e promettere. Conta più quello che non viene detto: lo stridente contrasto tra l'obbrobrio urbanistico e architettonico e la dignità di questi spaccati di vita, la presenza costante di polvere nera e umidità e l'ordine e la compostezza di questi interni ben tenuti, nonostante tutto.
Il secondo è un documentario breve realizzato per Repubblica, la storia di una riffa e di un numero che esce sempre, SettanTA, nella città che respira veleno.
Di seguito la nota dell'Ilva dopo il rigetto dell'istanza di dissequestro:
A seguito del rigetto odierno da parte del GIP della richiesta di Ilva dell'applicazione del decreto legge 207 del 3 12 2012, ILVA comunica le drammatiche conseguenze che tale decisione comporta per i livelli occupazionali e per la situazione economica dell'azienda.Tutta la produzione giacente in stabilimento, generata prima e dopo la data del 26 luglio 2012 e fino al 2 dicembre 2012, non potrà essere inviata agli altri stabilimenti del Gruppo per le successive lavorazioni o consegnata ai Clienti finali.La quantità di prodotti e di semilavorati interessati dal provvedimento di sequestro risulta pari a circa 1.700.000 tonnellate, per un valore economico di circa 1 miliardo di euro.Mancando la disponibilità di prodotti finiti e semilavorati (quali coils neri, lamiere e bramme) verrà del tutto interrotta la lavorazione verticalizzata a taranto e negli altri stabilimenti ILVA e sarà necessario ricostituire da zero un nuovo parco prodotti lavorati e semilavorati.Da ora e a cascata per le prossime settimane circa 1.400 dipendenti, appartenenti prevalentemente alle aree della laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro. Il numero di questi lavoratori si andrà a sommare ai già 1.200 dipendenti attualmente in cassa Integrazione per le cause già note quali la situazione di mercato e le conseguenze del tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto lo scorso 28 novembre.Si fermeranno poi a catena gli impianti ILVA di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, dell’Hellenic Steel di Salonicco, della Tunisacier di Tunisi e di diversi stabilimenti presenti in Francia nonchè tutti i centri di servizio Ilva, quali Torino MIlano e Padova, nonchè gli impianti marittimi di Marghera e Genova.Tutto ciò comporterà, in attesa di ricostituire la scorta minima per la ripresa dei processi produttivi, una ricaduta occupazionale che coinvolegerà un totale di circa 2500 addetti.Le ripercussioni maggiori si avranno a Genova e Novi Ligure dove nell’arco di pochi giorni da oggi, saranno coinvolte circa 1.500 persone (1.000 su Genova e 500 su Novi Ligure).Anche le conseguenze di carattere commerciale, riguardanti, ad esempio il settore tubi e altri settori strategici, saranno gravissime in quanto Clienti di rilevanza mondiale, subiranno pesanti ritardi nella loro produzione dovuta alla mancanza di approvvigionamenti.Naturalmente l'azienda ricorrerà al Tribunale del Riesame confidando cha la situazione possa essere sbloccata al più presto per evitare oltre al danno derivante dalla mancata consegna dei prodotti già ordinati e non rimpiazzabili in alcun modo, anche il danno relativo all'eventuale smaltimento di tali prodotti che, l'azienda ricorda, sono prodotti deteriorabili.