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Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino (I° parte): confronto possibile?

Creato il 17 aprile 2012 da Uccronline

Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino (I° parte): confronto possibile?«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Luca Ferrara, dottorando in scienze filosofiche presso la Federico II di Napoli, docente presso diversi licei paritari in Campania e vicedirettore della rivista telematica di Estetica e Filosofia, “Studium Veritatis”. Le sue principali direttrici di ricerca sono lo sviluppo delle valenze gnoseologiche della nozione di corpo all’interno del cristianesimo e lo studio della filosofia moderna da Cartesio a Hegel come dialettica tra metodo e metafisica»

 

di Luca Ferrara*
*dottorando in scienze filosofiche

 

Prima di inoltrarci lungo il cammino delle nostre argomentazioni, pensiamo che sia doveroso indicare al lettore le ragioni [1] che rendono possibile e stimolante un confronto tra due filosofi così distanti come Tommaso d’Aquino e Immanuel Kant, sia dal punto di vista cronologico, sia dal modo di intendere la teoresi nei suoi metodi e nelle sue finalità. Si potrebbe infatti obiettare che un confronto tra loro sia impossibile già in partenza per ragioni che appaiono in modo ovvio ad ogni studioso minimamente esperto della materia. In primo luogo, si deve considerare l’asse temporale che separa i due pensatori: cinque secoli. Il dottore angelico si colloca al vertice di un processo di riorganizzazione culturale e sociale che pervade e determina in modo singolare le sorti della vita intellettuale europea nel corso del medioevo. Infatti, il XIII secolo, il secolo di Tommaso, considerato da una prospettiva meramente culturale, è testimone inconsapevole di una stagione intellettuale tra le più feconde della civiltà occidentale.

Nell’anno in cui probabilmente nasce Tommaso — 1224 — viene fondata a Bologna la prima Università del mondo. Il sapere, istituzionalizzandosi, acquista una rilevanza sociale prima sconosciuta, e di rimando coloro che esercitano una professione intellettuale godono di un prestigio non più confinato all’ambiente culturale da dove essi provengono. Il frate domenicano si inserisce velocemente all’interno di questo mutato quadro culturale divenendone uno dei nuovi protagonisti. Tommaso d’Aquino, nel 1253, seppur giovanissimo, viene chiamato a ricoprire l’incarico di baccelliere sentenziario a Parigi per l’ordine domenicano, e dopo tre anni viene addirittura nominato maestro in sacra pagina [2] (1256). In tale contesto, Tommaso scriverà le sue maggiori opere come la Summa contra gentiles e la Summa theologiae. Anche le sorti intellettuali di Kant sono legate alla sua carriere universitaria. Il filosofo tedesco, sebbene acceda più tardi ai massimi titoli accademici, scrive e pubblica opere che sono indirizzate sia alla comunità scientifica, sia ad un pubblico di studenti e docenti. Questa prima analogia di carattere più biografico che teoretico tra i due pensatori non è priva di interesse se consideriamo che una gran parte dei pensatori dell’età moderna si muove al di fuori del circuito universitario — Cartesio, Spinoza, Locke, Hobbes e Leibniz non avevano nessun incarico presso qualche università — .

Al nostro tentativo di istituire un confronto tra questi due giganti del pensiero, si potrebbe avanzare un’obiezione di carattere storico-speculativo, calibrata in modo ben più adeguata di quella di ordine temporale, ma sempre da questa originata, che individui le ragioni dell’impossibilità di tale confronto  in una serie di eventi avvenuti all’alba del mondo moderno. Tali eventi avrebbero modificato in modo così subitaneo e profondo la matrice culturale del mondo moderno rispetto al cosmo medievale da rendere vana, o quanto mai peregrina, la stessa ipotesi di tentare un  raffronto tra Tommaso e Kant. Non si può certo negare che la scoperta dell’America[3], l’invenzione della stampa, la riforma protestante, la rivoluzione astronomica non abbiano inciso nell’approccio speculativo dei filosofi moderni in modo da modificarne anche orizzonti, domande e metodi. Paolo Rossi sosteneva che la fondatezza dell’uso dell’espressione “rivoluzione scientifica” — così da indicare una rottura epistemologica forte tra medievale e moderno —risiedeva sostanzialmente in due ragioni: una di carattere speculativo ed una di carattere metodologico. La prima è il mutato concetto di natura: per i pensatori medievali si distinguono i corpi a seconda del luogo dove sono posti, per gli scienziati moderni la pluralità dei corpi viene ricondotta alle leggi che ne determinano il moto. Inoltre, la natura, nel mondo medievale viene intesa, come l’esperienza quotidiana, per i moderni essa può essere riprodotta in quanto meccanismo o esperimento costruito per verificare una certa teoria[4]. La seconda, ma collegata alla prima, è la matematizazione della natura: ogni fenomeno naturale può essere descritto in modo soddisfacente da un’equazione[5].

Quest’obbiezione sembrerebbe colpire nel segno, in quanto istituire un confronto tra Tommaso e Kant che riguardi le prove dell’esistenza di Dio, non può prescindere dall’idea di natura sulla quale vengono costruite le prove del Dottore Angelico nella Somma teologica, un’idea, inutile dirlo, completamente diversa da quella del pensatore tedesco, il quale, nelle opere della sua maturità, seguiva i principi della meccanica newtoniana come fondamento nell’esplicazione della dinamica dei corpi. Ma il concetto di natura in Kant come in Tommaso non si esaurisce in un solo contesto semantico. La natura, considerata nel suo complesso, travalica il semplice meccanicismo: una natura che segue regole geometriche è a sua volta un problema filosofico. Per quali motivi il libro della natura è scritto in una lingua matematica? Come può lo scienziato utilizzare qualcosa di non intuitivo, di non evidente al senso comune, per indagare l’esperienza? Come si legittima tale accordo tra pensiero — la formula algebrica o una figura piana — e la cosa (intesa come fenomeno, declinato in un caleidoscopio di relazioni)? Lo scienziato moderno è al contempo un filosofo. C’è uno spirito speculativo densissimo che pervade l’intera età moderna. Si avverte che le soluzioni trovate e adottate in un determinata disciplina (ad esempio la parabola come figura geometrica per descrivere la caduta di un grave) pongono una serie di questioni nel momento in cui se ne considerino le conseguenze negli altri campi del sapere.

Sebbene ciò che afferma Rossi in sede epistemologica è pienamente condivisibile, su di un piano speculativo è possibile individuare un margine abbastanza ampio per istituire un confronto. Ma tale confronto è possibile in virtù della natura della cosa stessa, della filosofia. Vi è in Kant, come del resto in altri autori moderni, una persistenza di una prospettiva ontologica, dove l’analisi gnoseologica si congiunge con il domandare metafisico. Il pensiero moderno, in sede metafisica, non espelle il divino dalle sue riflessioni; Dio non viene ridotto a semplice appendice di un cosmo che abbia bisogno solo di un colpetto per poter avviare il suo intimo, poderoso motore. Allora la possibilità di istituire tale raffronto sussisterà in virtù di un modo d’essere proprio della filosofia (almeno nel modo in cui viene intesa nel mondo cristiano come philosophia perennis), nella quale prevale una dimensione topologica, su quella cronologica. Il domandare metafisico si attesta come un percorso all’interno di una serie di luoghi topici. Infatti, teoresi, morale, estetica, politica, logica e così via, possono essere intesi come luoghi ideali che sempre possono essere ri-visitati, ri-percorsi. Spazi dell’animo che sono suscettibili di continue dilatazioni o contrazioni, ma mai di un loro completo abbandono. Il limite dunque di questo confronto è quella dimensione umana, irripetibile, propria di ogni uomo che prende forma e si delinea negli incontri, nelle letture, nell’origine e nel modo di alcune domande, negli interessi e infine nel carattere. Ma la possibilità di tale confronto è ciò che individua e specifica l’ambito proprio del sapere filosofico, il quale pur facendosi storia, proietta i suoi protagonisti su di un orizzonte comune, meta-temporale, dove essi hanno la possibilità di instaurare un dialogo infinito con le generazioni passate, ma anche con quelle future.

 

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Note
[1]. Va individuata nell’assenza di un riferimento esplicito nel corpus di scritti da parte di Kant a  Tommaso d’Aquino uno dei principali motivi, per cui tale confronto su questo tema non sia stato affrontato prima.
[2]. Il primo titolo accademico è più o meno equivalente, anche se non del tutto sovrapponibile, a quello di professore associato; mentre il secondo è assimilabile a quello di professore ordinario.  Cfr. G. d’Onofrio, Storia del pensiero medievale, Città Nuova Editrice, Roma 2011, pp. 461-466; S.Vanni Rovighi, Introduzione a Tommaso s’Aquino, Laterza, Bari-Roma 1996, pp. 14-22.
[3]. Il valore periodizzante di un evento come la scoperta dell’America, come opportunamente nota Giuseppe Galasso,non si esaurisce nel fatto stesso, nonostante la sua enorme rilevanza dal punto di vista commerciale , ma nell’ipotesi scientifica che sorregge la spedizione di Cristoforo Colombo: il navigatore genovese organizza tale impresa in base ai calcoli di Toscanelli. La novità è nel metodo che ha condotto a tale scoperta: la prima fatta in base ad un’ipotesi scientifica. Cfr., G.Galasso, Introduzione allo studio della storia moderna, Laterza, Bari-Roma 2008, pp.42-44.
[4]. Cfr., P. Rossi, La nascita della scienza moderna, Laterza, Bari-Roma 2004, pp. XVI-XVII.
[5]. Cfr., Ibid., pp. 8-9.


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