Finalmente ho iniziato la lettura de “La corona d’alloro” di Thor Vilhjálmsson. La prima parola che mi viene in mente a proposito di quest’opera ambientata nell’Islanda del 1200 è “impegno”. Ho letto solo altri due libri di questo scrittore scomparso lo scorso anno, che conosceva l’italiano e per questa ragione aveva tradotto in islandese “Il nome della rosa” di Umberto Eco. Ma la sua prosa non la consiglierei a tutti, benché io la trovi sempre bellissima. Lo stupore diventa quasi il mio accompagnatore mentre sfoglio le pagine (cartacee: non esiste la versione digitale, purtroppo).
Un pensiero deve per forza di cose andare alla traduttrice, Silvia Cosimini, che deve aver avuto un compito davvero arduo per rendere nella nostra lingua la complessità della scrittura di Thor.
C’è un forza nella sua prosa che mi ricorda il duro lavoro del fabbro che nella fornace lavora il ferro, lo piega ai suoi voleri dopo una lunga lotta che lascia spossati; ma fieri del lavoro svolto. Forse l’Islanda è così: non per tutti, ma quelli che resistono sono persone un po’ speciali. E quelli che la amano, anche loro sono fuori dell’ordinario.
Intanto scopro che la casa editrice Iperborea ristampa alcune perle del suo catalogo, e per me probabili nuovi acquisti. “L’onore della casa” del Nobel islandese Halldór Laxness, da riscoprire ad ogni costo (iniziando da “Gente indipendente” magari). E poi il sublime Göran Tunström, svedese, che ritorna con “L’oratorio di Natale” (su questo blog avevo scritto a proposito de “Uomini famosi che sono stati a Sunne“).
Che ore sono? Mentre scribacchio le frasi di questo blog, mi accorgo che si è fatto tardi: ‘notte.