A un anno di distanza dalla presentazione al Sundance Film Festival, dove riscosse non pochi consensi, e in numerose altre kermesse, guadagnandosi così il titolo simbolico di “festival favourite”, l’horror britannico In fear (2013), diretto dal regista televisivo Jeremy Lovering (il doc/Tv movie Killing Hitler, 2003), è stato preso sotto dalla Anchor Bay Films. La casa distributrice americana, oltre alla tradizionale release home-video (dall’11 Marzo), offrirà agli spettatori l’occasione di vedere il film in sala, seppur in un circuito limitato, a partire dal 7 Marzo. Un punto a favore e una riconferma della qualità dell’orrorifico made in England, forte dell’inossidabile tradizione a marchio Hammer, e più in generale, di un’era fulgida a cavallo degli anni ’60 e ’70 (per citare soltanto un titolo: The wicker man di Robin Hardy, 1973). Il genere conobbe un periodo di alti e bassi nel corso delle decadi ’80 e ’90, che regalarono comunque film del calibro di In compagnia dei lupi (1984) di Neil Jordan, il discusso ma simbolo della sua epoca Miriam si sveglia a mezzanotte (1983, di Tony Scott), e l’ormai leggendario Hellraiser, di Clive Barker, del 1987. Gli anni più recenti hanno visto una rinascita dell’horror UK, con registi come Alex Chandon (Cradle of Fear, 2001, e Inbred, 2011), il talentuoso Simon Rumley (The living and the dead, 2006) e Ben Wheatley, che col suo Kill List (2011) utilizza l’horror come chiave di volta di un film enigmatico e affascinante.
Presentato da StudioCanal e preceduto da ottime critiche, In fear narra di una giovane coppia, Tom (Iain De Castecker) e Lucy (Alice Englert), che durante un viaggio in una zona rurale dell’Irlanda, dopo essersi fermati in un pub per chiedere indicazioni, vengono a contatto con la poco amichevole popolazione del posto: si darà il via a un gioco del gatto col topo che avrà luogo quasi esclusivamente in auto, una sorta di home-invasion su quattro ruote. Il canovaccio narrativo ricorda molto da vicino il già citato Inbred, con la variante automobilistica che rimanda a trascorsi fin troppo nobili (Duel, di Steven Spielberg, 1971): senza ovviamente spingersi così oltre, è lecito attendersi se non altro un buon prodotto, confidando in una distribuzione che possa raggiungere, in qualche modo, anche il nostro Paese.
Chiara Pani