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In manette 250 camorristi. "Ora Ercolano è derackettizzata"

Creato il 24 novembre 2011 da Lanzaron @lanzaron
Il cartello stradale con l'inedita scritta sarà piazzato a giorni. Ma vale la pena camminare per il centro e farsi raccontare dalla negoziante di abbigliamento, dal panettiere, dal macellaio e da tutti gli altri come hanno fatto nell'arco di due anni a ribellarsi alla schiavitù del pizzo e a vincere la loro battaglia
ERCOLANO (Napoli) - Il cartello stradale lo metteranno fra qualche giorno, ai confini del comune: "Ercolano, territorio derackettizzato". Così daranno il benvenuto nella prima città del Sud dove il pizzo non si paga più. A pochi chilometri da Napoli, in un ammasso di case schiacciate fra il Vesuvio e il mare, la camorra che succhia sangue ha perso faccia e potere.
L’hanno liberata Ercolano - quella degli splendidi scavi romani che testimoniano commerci e sollazzi dell’aristocrazia del tempo -, l’hanno ripulita dalla marmaglia e miracolosamente fatta rinascere. Non ci sono più "loro" a spadroneggiare per le sue strade, non ci sono più estorsioni e non ci sono più commercianti in preda al terrore.
Le vetrine delle botteghe espongono manifesti di sfida ("Noi non subiamo soprusi"), i negozianti tengono la porta aperta e nessuno li tartassa più. Nell’ultimo processo che si sta celebrando in queste settimane contro le bande di taglieggiatori ci sono più testi d’accusa che imputati: 42 vittime che denunciano 41 aguzzini. E’ uno dei tanti primati di questa città al centro del Golfo, che si è ribellata ai Birra e agli Ascione, i boss che tenevano tutti in ostaggio. Gli uomini dei due clan – quasi duecentocinquanta - sono rinchiusi nelle carceri. E nelle loro roccaforti, "alla Cuparella" e "alla Moquette", vivono oramai solo donne e bambini.
Un’Ercolano senza racket, una bella notizia in un pezzo d’Italia dove l’estorsione si tramandava di padre in figlio da almeno tre generazioni. Con il negozio ereditavano anche il pizzo, da versare ogni mese o tre volte l’anno, a una banda o all’altra e nei periodi di guerra a tutte e due: da 150 a 1.500 euro ogni trenta giorni, dal piccolo bar fino al supermercato. Una tassa per salvarsi la vita. Ma poi è cambiato tutto. Poi, in questa città che si allunga fra la Reggia di Portici e i capannoni di Torre del Greco, è scoppiata la rivolta. Per primi loro, i commercianti. E poi un sindaco, Nino Daniele, che dal 2005 al 2009 è stato al fianco dei suoi concittadini cominciando con le "passeggiate antimafia" e finendo con la concessione di una dispensa dal pagamento di Ici e Tarsu – prima volta in Italia, un altro record di Ercolano - per tutti coloro che si rifiutavano di cedere al pizzo. E ancora, un esemplare lavoro dei carabinieri e dei commissari di polizia. E infine la passione civile del siciliano Tano Grasso, simbolo dalla fine degli anni Ottanta del Sud che non si piega, il presidente della Federazione antiracket che - a Napoli e sotto Napoli - ha messo radici e portato il suo sapere in una battaglia che i negozianti hanno vinto.
Così hanno eliminato mese dopo mese la "bussata" - quando il camorrista va a chiedere il pizzo – da una città di sessantamila abitanti che in meno di dieci anni ha contato sessanta morti ammazzati negli scontri di una camorra che è stracciona ma che è anche di massa, un settore di popolo. Spiega Tano Grasso: "Abbiamo derackettizzato Ercolano per le condizioni di fiducia che si sono create, una convergenza di fattori positivi: il sindaco giusto al momento giusto, investigatori preziosi, un pubblico ministero molto attento e poi loro: i commercianti che volevano vivere". Derackettizzare – hanno capito qui - è un po’ come derattizzare: in un paio di anni, la città è stata svuotata dai topi.
La prima a denunciare è stata Raffaella Ottaviano, un negozio di abbigliamento sul corso principale, via IV Novembre civico 21. "Si è presentato uno e mi ha spiegato che lo mandava lo ‘zio Giannino’, un’ora dopo ero già dai carabinieri", ricorda Raffaella mentre risaliamo il corso e incontriamo tutti gli altri che hanno detto no. Il panettiere. Il pasticciere. Il macellaio. Il meccanico. Il gioielliere. Il pescivendolo. L’ottico. Il carrozziere. Il benzinaio. Via dopo via, quartiere dopo quartiere, pagavano tutti. A volte erano bambini di dieci o undici anni che venivano spediti a fare la "bussata". A volte arrivano quegli altri, con le pistole in mano.
Come è capitato a Sofia Ciriello, un forno nella II° traversa Mercato, al numero 44. "Sono entrati in panificio due mattine di fila e non gli ho dato retta, alla terza volta mi hanno puntato contro il revolver dicendomi che dovevo andare ‘alla Cuparella’...", racconta Sofia. E’ giù, sulla strada che va verso Portici. Un porticato buio e poi, quando torna la luce, sei già dentro il regno dei Birra. Sofia si è rifiutata di pagare, qualche giorno dopo davanti al forno hanno messo la bomba. Lei ha denunciato. Nomi e cognomi. E così ha fatto anche Matteo Cutolo, dottore commercialista che, come il nonno, ha preferito fare bignè nel laboratorio di dolci di via IV Novembre 106. Dice Matteo: "Ho detto basta per sempre".
Il macellaio è qualche metro più su, in via IV Novembre numero 129. Si chiama Salvatore Zinno, Fra una "bussata" e l’altra a Salvatore per le "spese di camorra" scucivano quasi duemila euro al mese: "Dovevo assumere le inservienti che dicevano loro, dovevo prendere il prosciutto a un prezzo più caro ma rivenderlo a prezzo di mercato, dovevo abbonarmi per forza al girone di ritorno della squadra di calcio locale, dovevo pagare il carico e scarico dei polli: non ne potevo più". Salvatore comprava anche il pane per i suoi clienti da tre panifici diversi. Il primo era quello che gli imponevano i Birra, il secondo quello che volevano gli Ascione, il terzo quello che gli faceva regolari fatture. Era costretto a prendere 50 chili di pane al giorno e buttarne ogni sera 20 o 30 chili. Una mattina Salvatore si è svegliato e ha denunciato su Facebook tutti i ricatti. Ogni tanto dalla sua bottega passa qualche scagnozzo e grida al macellaio: "Salvatò, ma che ti hanno fatto quei poveretti che hai denunciato?". Salvatore è arrabbiato e non torna più indietro. Anche se può accadere che ogni tanto qualcuno esce dal carcere per qualche mese. Ma poi lo ributtano subito dentro. A Ercolano stanno facendo piazza pulita.
Se n’è accorto il console tedesco di Napoli, Christiano Much, che ha fatto stampare una mappa della città con i negozi che non pagano il pizzo. I tedeschi che passano dal consolato la ritirano e poi un tour operator tedesco – la Studiosus – organizza visite guidate fra rovine romane e conquiste contemporanee. Oggi, la "Cuparella" non conta più niente.
Fonte: http://inchieste.repubblica.it/

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