[Quelli di lotta comunista di febbraio, che ti sparano addosso, in batteria alternata: "Oscillazioni mediterranee, ancoraggio europeo", "Gli esordi della Compagnie Financière de Suez", "L'accordo BP-Rosneft ratifica la linea Putin" (poi parzialmente smentito da notizie seguenti la data di pubblicazione), "I militari al centro del modello egiziano", "Il riarmo asiatico (...)", "Un nuovo secolo del carbone (...)"].
L’uno dimostra il fallimento degli osservatori classici nel ricondurre ad un unico oggetto comprensibile, coerente e utilizzabile nel campo politico i tre mondi parzialmente coincidenti di estetica, etica e prassi; quegli altri si addentrano per i sentieri molto battuti e poco compresi delle analisi internazionaliste (ciniche o accorate, ma sempre sgomente; da farci poi la tara, è ovvio).
Capovolgendo il fronte, ma non troppo, c’è l’immancabile Luigi (chi è stato radicale e ne è poi uscito ha perso pure questo, che l’essere chiamati per nome cessa di essere dimostrazione di amicizia e intimità, per trasformarsi in appello politico; sembra quasi di dirlo “compagno”, ma lui sa che non è così).
Infine resta ancora l’ultraliberismo di Oscar Giannino, tanto prolifico nello scritto, infarcito di dati e cifre fino al collasso verbale, da dimostrarsi incapace di sorvegliare la sintassi (per motivi di tempo, suppongo, ma forse si tratta di un epifenomeno che diviene cifra di un programma iperlibertario) – per poi scivolare via come ossido di diidrogeno quando si trova a condurre o a moderare un dibattito.
Sto cominciando a pensare che sia necessario essere estremisti*, in Italia, per poter scrivere e parlare bene. Che poi significa, allo stesso modo, saper pensare. Sebbene indugi ancora per quella china, ogni giorno che passa mi convince che i tempi di Gadda e Volpi siano (già, e sempre più) lontani.