Di ritorno da un viaggio interessante, costellato di scoperte casuali e predeterminate certezze, resta una certa stanchezza apatica, che si dilunga nel disfare la valigia, trovare posto ai semplici ninnoli che tornano con me da queste esplorazioni, lavare i pochi vestiti e riconnettere le fila dei discorsi sospesi.
Davanti al cottage in riva al canale le anatre emettevano i loro richiami che si mescolavano ai canti degli uccelli; nei paesini dei pescatori lungo le coste a nord di Amsterdam la brezza soffiava piano, facendo cantare le sartie delle imbarcazioni nei porticcioli. I ponti si alzavano al passare delle chiatte, i mulini di Kinderdijk roteavano al vento, tra gli scricchiolii delle ruote dentate di legno che si incastravano e trasmettevano il moto della lotta centenaria tra la natura e l’uomo. I quadri dei musei stavano immobili, nel loro messaggio estetico, circondati da rumorosissime scolaresche in gita che invadevano le sale in un vociare confuso e caotico. Fuori le fila di casette con le tendine bianche si asciugavano al sole e si specchiavano nelle acque.
Qui mi aspettava ancora un venerdi di ferie, giorno cuscinetto per sbrigare commissioni, senza fretta particolare, e per ritornare ad una casa odorante di vernice fresca e scintillante di serramenti imbiancati.
Prendo le ore senza fretta, rientro piano piano nell’atmosfera di giornali inutili che raccontano di altrettanto inutili discussioni e tentativi di governo, leggo qualche post, studio spagnolo senza troppa convinzione – questo esame a cui non avrei dovuto iscrivermi lo sto sottovalutando, prevedo un attacco di panico a breve – spulcio le email dell’ufficio, mi riconnetto col mondo mentre continuo a sentire il quack quack degli anatroccoli e a vedere lo scorrere placido della vita, qualche chilometro più a nord.
Consiglio di lettura: Mike Dash “Tulipomania”, la prima, affascinante, bolla economica dell’era moderna.