Ho lasciato il commento al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente nel punto in cui L’Osservatore Romano tagliava dall’intervento del sunnita Muhammad al-Sammak, consigliere politico del Gran Mufti del Libano, un passaggio nel quale ai cristiani in Terra Santa era dato il merito di essere “in prima linea [col popolo palestinese, naturalmente] nell’affrontare e nel resistere all’occupazione [ebraica, naturalmente], a Gerusalemme in particolare e nella Palestina occupata in generale”. Più o meno ho scritto che con questa piccola attenzione di forbici il Vian si dimostrava assai premuroso nell’evitare al suo editore altri scazzi diplomatici con lo Stato di Israele.In fondo si trattava solo di una frasetta, una superflua perifrasi che fa luogo comune nel lessico musulmano (moderato e no): non si sarà sentito nemmeno molto disonesto nel levarla, gli sarà sembrato di fare un po’ come quando all’ospite scappa una scoreggia, dove al padrone di casa corre l’obbligo di far finta di non averla sentita. Non ho voluto insistere, anzi, in cuor mio ho sentito grande tenerezza per quell’ipocrita. Poi sono stato preso da altro e ho accantonato il Sinodo per una settimana.È dalla Lettura delle prime pagine (rubrica a cura di Lorenzo Rendi, su Radio Radicale) che nella notte tra venerdì e sabato apprendo di essermi perso molto: nella settimana i vescovi mediorientali avevano scacazzato un incredibile fuoco di batteria contro Israele, al punto che quel sabato Il Foglio sarebbe stato in edicola strillando: “Sinodo antisionista”, col direttore ad avere un appassionato fremito di ciccia: “Sinodo equivoco”.Addirittura Il Foglio era in serio imbarazzo? Quando trovo tempo di leggere l’editoriale di Giuliano Ferrara, trovo lo stesso genere di premura usato da Vian, ma qui come se, dopo la scoreggia dell’ospite, al padrone di casa fosse occorso il cagarsi addosso. Chiedo scusa per l’eccesso di immagine, ma è che l’Elefantino – leggo – pensa bene di consolarsi con l’ampia citazione di un vescovo diverso da tutti quelli in kefia: un vescovo che sembra un Huntington inzuppato nella lectio di Ratisbona. Una fresca sferzata di islamofobia dovrebbe compensare l’antisionismo: la Chiesa mi diventa ricca di opinioni diverse, anche opposte, ma poi tutto è rimesso nelle mani del Papa.Premura appesa a un filo di preoccupazione: sarà mica antisionista ed equivoco anche il Papa? “Evangelicamente e biblicamente Israele è un segno di contraddizione che contiene storicamente quel che l’ebraismo, «radice della fede cristiana» secondo Ratzinger, contiene in termini di teologia della storia: il genio religioso di Roma dovrebbe saperlo intercettare e riconoscere per tale, questo segno. La speranza è che le conclusioni del Sinodo, proceduralmente complesse, siano più prudenti e coraggiose del suo svolgimento”.
Bene, il Sinodo arriva a conclusione, ma per tirare le somme di tutto quello che s’è detto bisognerà aspettare. Il Sinodo, in realtà, non conta un beneamato cazzo: produce un documento che il Papa legge e può disattendere anche in toto, alla faccia della collegialità dell’apostolato episcopale, che tutta nella forma dell’assise, sostanzialmente priva di ogni potere deliberativo. A deliberare sarà il Papa, che intanto chiude formalmente il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente con una bella messa in San Pietro. All’omelia, come la Barbara D’Urso fa prima del blocco pubblicitario annunciando il servizio che seguirà, Sua Santità annuncia: “La prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, nel 2012, sarà dedicata al tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». In ogni tempo e in ogni luogo – anche oggi nel Medio Oriente – la Chiesa è presente e opera per accogliere ogni uomo e offrirgli in Cristo la pienezza della vita”.
Cari fratelli maggiori, in ogni tempo e in ogni luogo – anche lì da voi – essere ebrei non vi conviene, non vi dà pieno diritto di vivere: approfittate di questa nuova evangelizzazione, convertitevi, o almeno dateci il controllo di una porzione di Terra Santa, sennò ce lo facciamo dare dai palestinesi dopo che vi avranno rimandati in giro per il mondo, a fine occupazione. Ma detto in modo più delicato.