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In morte di un cinquanta pollici

Creato il 28 settembre 2011 da Malvino

Raiuno, h. 20.36: “Un grande italiano, Gaetano Salvemini, diceva che l’Italia è fatta così: se ti accusano di aver stuprato la statua della Madunina che sta sul Duomo di Milano, la prima cosa che devi fare è riparare all’estero, poi dopo si vede”. Tenevo più al posacenere che al televisore, e per fortuna ha sfondato lo schermo del Samsung senza riportare danni. Mi pento del gesto, ovviamente, non sono poi così bestia, ma è stato un gesto d’impeto, di quelli che non ti lasciano nemmeno una frazione d’attimo per ragionare.Un clericofascista di merda cita Gaetano Salvemini, l’antifascista e l’anticlericale, per giustificare la latitanza di Valter Lavitola: la prima cosa che ti capita sotto mano è il posacenere, nemmeno fai in tempo a realizzare, lo afferri e lo lanci. Ti penti prima che arrivi, ma quando è già partito. (Mi aspettavo uno scoppio, delle scintille, ma evidentemente accade solo coi televisori a tubo catodico.)

Ovviamente tutti sanno che non è stato Salvemini a ispirare la latitanza di Lavitola: è stato Berlusconi, suo padrone, e padrone di Ferrara. Sulla frase di Salvemini, invece, ci sarebbe molto da dire.È attribuita a lui, ma nessuno produce mai la fonte. Qualcuno dice che si trovi su un numero di Non mollare, il giornale al quale diede vita nel gennaio del 1925, insieme a Carlo Rosselli, a Ernesto Rossi, a Piero Calamandrei e ad altri antifascisti, e che interruppe le pubblicazioni nell’ottobre di quell’anno. Fu proprio per quello che scriveva su quel giornale che Salvemini fu arrestato, in giugno. A luglio fu processato e gli fu concessa la libertà provvisoria: ne approfittò per fuggire in Francia, il mese dopo. La frase che anche stasera gli viene attribuita è introvabile nelle copie anastatiche del giornale che La Nuova Italia editò nel 1955, ma ce n’è una abbastanza simile di Piero Calamandrei, proprio a commento della fuga di Salvemini, in uno dei saggi di accompagnamento all’edizione (poi per Bollati Boringhieri, 2005): “Se mi accusassero di avere rubato la Torre di Pisa, io, intanto, mi darei alla latitanza”.È difficile ricostruire i passaggi che hanno portato alle modifiche della frase e al cambio di attribuzione, ma nella forma che stasera ci era offerta da Ferrara appare in bocca a Bettino Craxi (Massimo Franco, Hammamet, Mondadori 1995), e di lì un po’ dappertutto, citata quasi sempre da chi in questi anni ha voluto dipingere il segretario del Psi, il vecchio padrone di Ferrara e di Lavitola, come un perseguitato politico costretto all’esilio.

Ma non ha importanza. Mettiamo che sia stato Salvemini, e non Calamandrei. Che si trattasse della Madonnina del Duomo di Milano, e non della Torre di Pisa. Che si trattasse di uno stupro, e non di un furto. Mettiamo che davvero Salvemini abbia detto o scritto quella frase: usarla per giustificare la latitanza di Lavitola non merita un posacenere in faccia?


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COMMENTI (1)

Da Myosotis
Inviato il 03 ottobre a 21:07
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Chi ha scritto questo commento merita considerazione, trattandosi di un animale in via di estinzione: ha fiducia nella giustizia italiana. Io sono di quelli che, se accusato di un reato che non ha commesso, me la darei a gambe, varcando, avendone il tempo, la prima frontiera che trovo.