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La forma che assunsero ad Atene le rappresentazioni tragiche reca evidenti tracce del legame fra il dramma e la divinità di Dioniso, sia nell'etimologia del genere (τράγος e ᾄδω, le due parole che compongono il termine, significano 'capro' e 'cantare', per cui 'tragedia' significherebbe 'canto del capro', in riferimento al corteo di Dioniso, composto proprio da satiri e capri), sia nell'inserimento delle recitazioni all'interno delle feste religiose in onore del dio del vino; lo stesso teatro ateniese, che sorgeva alle pendici dell'acropoli, era dedicato a Dioniso.
Ricostruzione del teatro di Dioniso ad Atene
Le Grandi Dionisie, feste religiose che si tenevano ad aprile e che si inserivano nel panorama generale delle feste primaverili comuni in tutto il mondo indoeuropeo, vennero fondate dal tiranno Pisistrato fra il 535 e il 532 ed ebbero fin da subito anche una connotazione civico-religiosa molto importante. Entro le celebrazioni, infatti, erano inserite tre giornate di agoni drammatici (ognuna dedicata ad un tragediografo), al termine delle quali si stabiliva per votazione l'autore vincitore. Ogni attore, che spesso era anche l'attore che dialogava con il coro, nonché il compositore delle musiche, portava in scena tre tragedie (inizialmente legate, poi sciolte una dall'altra) seguite da un dramma satiresco, ovvero un componimento che riprendeva i personaggi del mito oggetto dei testi precedenti, calandoli in un contesto basso, prosastico e umoristico e circondandoli di un coro di satiri; questo genere di composizione aveva lo scopo di rasserenare gli animi dopo le dure e cruente vicende delle tragedie.
Le modalità della gara e la strutturazione dei drammi subirono diverse modifiche nel corso del tempo: Aristotele attribuisce ad Eschilo l'introduzione di un secondo attore e la conseguente riduzione del ruolo del coro in favore del deuteragonista e a Sofocle la scelta di portare sulla scena un terzo attore e di curare le scenografie[2]. Queste innovazioni andavano in direzione di una sempre maggiore specializzazione del ruolo degli attori (hypokrités), all'aumento delle parti liriche e individuali, alla focalizzazione sul dramma dei personaggi e alla riduzione degli interventi corali, che, sul finire dell'epoca classica, si ridurranno a semplici intermezzi senza alcun legame con la trama.
Gli agoni drammatici durarono quasi due secoli e si stima che in un tale periodo di tempo possano essere andati in scena (durante gli spettacoli ateniesi e le manifestazioni minori, anche delle aree coloniali) millesettecento fra tragedie e drammi satireschi, eppure ad oggi possediamo solamente trentuno tragedie e un dramma satiresco, uniti ad una grande quantità di frammenti, talvolta davvero esigui; i drammi sopravvissuti sono degli autori considerati canonici, Eschilo, Sofocle e Euripide[3]. La più antica tragedia che leggiamo, che è anche l'unica che non inscena un episodio mitico, bensì una vicenda storica[4], è I Persiani di Eschilo (472 a.C.). Esisteva una differenza fondamentale nelle rappresentazioni antiche rispetto a quelle odierne: ogni dramma veniva portato in scena una volta soltanto, poiché non esisteva la concezione del repertorio; l'uso di riproporre drammi significativi degli autori del passato si impose solo dal 386 a.C. Dal 487, inoltre, vennero ammessi all'agone drammatico anche cinque commediografi, che presentavano ciascuno una commedia in una quarta giornata di competizioni.
Un alto aspetto significativo della tragedia antica era l'importanza che ad essa veniva attribuita in termini di formazione religiosa e civica. Tutti i cittadini ateniesi dovevano assistere agli agoni, al punto che venivano loro retribuite la giornate di lavoro perse e, dalla fine del V secolo, quando il pubblico sembrava ormai disaffezionato al teatro, venne introdotto il theorikòn, un sussidio di due oboli per incentivare la partecipazione. La tragedia, infatti, era un'importante manifestazione civica, corredata da una serie di eventi che servivano a dimostrare il predominio politico e culturale di atene (venivano invitati a teatro anche ambasciatori e funzionari di città alleate) e aveva una funzione educativa perché metteva in scena gli effetti disastrosi dell'esplosione della superbia di un singolo o di un'intera comunità, i danni derivanti dal tradimento delle leggi familiari, dalla diserzione, dal mancato rispetto delle autorità, dagli eccessi di furore e dall'affronto agli déi[4].
Il teatro tragico divenne dunque per gli ateniesi un vessillo culturale, un segno di una preminenza e di uno sviluppo che Atene si proponeva di estendere a tutto il mondo ellenico. Gli agoni drammatici riunivano aspetti religiosi, civili, etici e politici, dimostrandosi importanti occasioni di coesione sociale e di diffusione di un messaggio di egemonia.
C.M.
NOTE:
[1] Arist. Poet. 49a, 10. La Poetica, testo (incompleto) di Aristotele, è un essenziale punto di riferimento per lo studio della tragedia, ma bisogna tenere conto che si tratta di un testo redatto posteriormente alla grande stagione del teatro ateniese, per cui ha natura più riassuntiva che di testimonianza della prassi, che talvolta non si attiene alle regole generali enunciate dal filosofo.
[2] Ibid. 49a, 15.
[3] Sulla questione dei canoni e delle tradizioni, si veda l'articolo De codicibus servandis.
[4] Aristotele parla di 'funzione catartica' della tragedia, che è un concetto più complesso di quanto espresso qui e meriterebbe una trattazione a parte.
[5] Per un approfondimento completo si consiglia la lettura di M. di Marco, La tragedia greca.
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