Presentato fuori concorso a Cannes 66, Blood Ties è la prima esperienza lavorativa americana dell’attore e regista francese Guillaume Canet, per l’occasione impegnato esclusivamente dietro la macchina da presa. Ambientato negli anni ’70 e scritto dallo stesso Canet con James Gray (che tra qualche giorno presenterà qui al festival in competizione il suo The Immigrant), il film è il racconto del difficile rapporto tra due fratelli, uno dei quali invischiato nella malavita newyorkese. A metà tra noir e gangster movie e ispirato alla pellicola del 2008 di Jacques Maillot Les Liens du Sang, che vedeva Canet attore nei panni del protagonisti, Blood Ties fa forza su un cast d’eccezione, composto da Clive Owen, Billy Crudup, Mila Kunis, la diva di Avatar Zoe Saldana, James Caan e Marion Cotillard, tra l’altro moglie del regista.
Guillaume Canet, com’è stata la prima esperienza dietro la macchina da presa negli Stati Uniti?
Guillaume Canet: Sinceramente credevo che le riprese non finissero mai. Mi sono trovato di fronte a regole molto strette. Ho avuto davvero delle esperienze surreali che non mi erano mai capitate, neanche quando ho fatto il mio esordio alla regia. Qualunque cosa era un problema. Mi sono ritrovato a confrontarmi con un’altra cultura e un altro modo di fare film. Per anni ho lavorato con le stesse persone, con le quali ho complicità e amicizia, a New York ho trovato la stessa disponibilità nelle persone che lavoravano con me, ma il cinema americano ha regole diverse.
Com’è nato il progetto? Il film è il remake di Les Liens du Sang, a cui lei aveva lavorato in qualità di attore…
Guillaume Canet: Sapevo che Ridley Scott stave cercando di comprare i diritti per fare il remake. Ma era tempo che avevo in testa il progetto e così mi sono dovuto sbrigare. Una volta comprati i diritti avevo già in mente tutto, su come girare il film, l’atmosfera che volevo dargli. Però volevo qualcuno che mi aiutasse a scrivere la sceneggiatura, perché non era per me semplice spostare nell’America degli anni ’70 una storia originariamente nata in Francia. Così ho contattato James Gray, che ho convinto subito a collaborare con me. Quando giravo avevo in mente tanto cinema americano degli anni ’70, Mean Streets, Panico a New York. Questo film vuole essere il mio omaggio a quel cinema.
Che lavoro ha svolto per riportare sullo schermo la New York anni ’70? Guillaume Canet: Ho fatto molte ricerche, ho guardato e riguardata moltissimi film di quel periodo. Ho capito che New York era una città davvero differente da quella che è oggi. Però quell’immagine anni ’70 della Grande Mela mi attraeva molto, in particolare Brooklyn.
Marion Cotillard, come è stato farsi dirigere da suo marito Guillaume?
Marion Cotillard: Non è la prima volta, perché già mi aveva diretto nel 2010 in Piccole bugie tra amici. La cosa davvero strana è stata dover parlare tra noi in inglese.
Entra in scena recitando battute in italiano…
Marion Cotillard: L’idea è stata mia. Ho subito pensato che questo personaggio potesse essere italiano. In passato avevo già provato a recitare in italiano ma fu davvero un disastro ma non mi sono data per vinta. Ci sono riuscita ma forse quelle battute sono state la cosa più stressante e difficile durante le riprese.
Clive Owen, come si è ritrovato nel progetto?
Clive Owen: Un giorno il mio amico Alfonso Cuaron mi ha chiamato e mi ha detto che mi sarebbe arrivato il copione di questo film. E mi ha subito detto di accettare, senza pensarci, perché Guillaume è un regista di vero talento.
James Caan, questo film per alcuni aspetti ricorda certo cinema americano degli anni ’70…
James Caan: Sono sincero, non mi piace molto il cinema di oggi. I film più interessanti sono quelli indipendenti e sono quelli che vedo di più. Sono un attore fortunato per aver lavorato con grandissimi registi negli anni ’70. Ed i film di quel periodo non erano come oggi una piccola parte di un franchise: erano film con un incipit, un grande svolgimento ed un finale.
di Antonio Valerio Spera