L’Occidente prepara un nuovo sbarco nelle atmosfere ineffabili dell’India: mentre una schiera di illustri calciatori in declino e astuti dirigenti in rampa di lancio colonizza la neonata lega professionistica del pallone, l’NBA cavalca l’ondata digitale dei nuovi media per restituire alle etnie del Subcontinente la magia del parquet. Vent’anni dopo la diffusione eterea dei video analogici, milioni di bytes preparano viaggi digitali verso Bombay e Calcutta. Da Michael Jordan a LeBron James, dai tubi catodici ai monitor curvi: l’approdo del marketing without borders nella democrazia più vasta ed enigmatica del mondo è davvero possibile? Vivek Ranadivè e i Sacramento Kings annuiscono e preparano la risposta agli scettici.
LA PORTA DI UN CONTINENTE – La saggezza degli antichi conosce il destino profondo delle parole: le descrizioni degli autori classici svelano alcune molecole dell’anima del mondo e mostrano la storia parlante dei nomi che le generazioni attribuiscono ai loro simboli. Quando Erodoto raccontò ai greci le meraviglie dell’Oriente, la sua penna tracciò il fascino della sua splendida porta indiana: Pentepotamìa, la Terra dei Cinque Fiumi. Un paese ricco d’acqua e pieno di vita, un ganglio di passaggio, una cerniera di culture. L’Occidente conobbe la regione che annunciava il mito esotico dell’India a tutti i suoi viaggiatori e la riempì di racconti incantevoli; i dieci Guru Sikh lessero nelle sfumature dei suoi orizzonti l’amore eterno del creatore dell’universo e costruirono il più audace edificio sociale della storia tra le acque dei cinque fiumi. Nel bel mezzo del XIX secolo, i messaggeri del Commonwealth annunciarono al sistema indiano l’arrivo fulmineo della modernità attraverso le meraviglie dell’antica porta fluviale, ma non la chiamarono Pentepotamìa: i sedimenti linguistici del tempo conservavano i concetti greci e le regalavano un’identità meticcia. Punjab.
L’Impero strappò le incredibili risorse del Subcontinente e infuse nelle sue terre la civiltà britannica, ma la lunga durata delle istituzioni indiane non scomparve; la forza identitaria delle etnie non cedette agli assalti dell’Occidente e plasmò le correnti che guidarono la stagione dell’indipendenza. Musulmani, Sikh e Induisti si divisero il Punjab e lo resero una frontiera liquida: tensioni e culture s’immersero nell’atmosfera ibrida di una terra unica e la trasformarono in un caso di studio. Poco meno di settant’anni dopo l’epopea di Gandhi e l’aspra lacerazione che separò l’India dal Pakistan, un prodigio della natura spalanca la porta del Subcontinente a una nuova colonizzazione: si chiama Gursimran “Sim” Bhullar e viene dal Canada, ma i geni punjabi che plasmano il suo DNA trapiantano l’essenza magica dei racconti di Erodoto nella globalità interconnessa del Ventunesimo secolo. 226 centimetri per 163 chilogrammi: un corpo mastodontico, che cerca di conformarsi alle esigenze atletiche della pallacanestro e induce alcuni pubblicisti statunitensi a paragoni altrettanto ingombranti. “Behemoth Bhullar” scalda i motori per l’NBA: i Sacramento Kings del magnate indiano Vivek Ranadivè lo hanno accolto nella capitale amministrativa della California e hanno ufficialmente spalancato la nuova frontiera della Lega più famosa del mondo. “The King[s]dom” si estenderà dalla Bombay del presidente al Punjab della famiglia del gigante e andrà a caccia degli entusiasmi digitali del popolo più numeroso ed enigmatico dell’universo. Una missione possibile?
Dreams do come true! Officially signed my first NBA contract with the @sacramentokings !! pic.twitter.com/3TZc7O4Meu
— Sim Bhullar (@SimBhullar2) 14 Agosto 2014
RANADIVÈ ALLA CONQUISTA DEL MONDO – Vivek Ranadivè è nato per abbattere le Colonne d’Ercole che dividono lo spirito eterno della sua patria dall’Occidente post-postmoderno. L’attuale azionista di maggioranza dei Sacramento Kings attraversò l’Oceano Pacifico quando aveva appena compiuto sedici anni, ma le linee politiche dell’epoca impedivano ai giovani migranti indiani di portare somme cospicue fuori dai confini del Paese: Ranadivè raggiunse Boston con cento dollari in tasca e una valigia di sogni tecnologici. Le lauree all’MIT e l’avventura di Harvard gli spalancarono le porte del mercato americano: l’illustre sconosciuto del Subcontinente stava per diventare un pioniere della globalizzazione digitale. La TIBCO sfondò la diffidente soglia di Wall Street e costruì la fortuna dell’audace imprenditore di Bombay; il denaro e il successo avvicinarono ulteriormente la famiglia Ranadinè alla cultura americana e trasformarono l’amore per lo sport che animava Vivek in un’autentica devozione laica per il basket. La stupefacente intelligenza logica della sua mente gli suggerì un’intuizione geniale: la palla a spicchi avrebbe acceso una scintilla che sarebbe stata capace di costruire un ponte fra le culture più lontane del mondo. L’imperialismo fulmineo del sistema americano e il mosaico eterno della lunga durata indiana avrebbero trovato nel parquet un terreno di scambio e un modello di sviluppo collettivo. La passione privata si fece impegno sportivo e le idee divennero azioni: nel 2010 Ranadinè acquistò una quota minoritaria dei Golden State Warriors e cominciò a riflettere sulle potenzialità espansive del fenomeno cestistico. Nelle nebbie del Secolo Breve l’invenzione di James Naismith aveva frantumato le barriere etniche e si era imposta in tutto il mondo con il fascino del “Global Game”; gli studi tecnologici suggerivano che l’allargamento del mercato digitale e la creazione di una gigantesca rete globale avrebbero generato un’atmosfera particolarmente feconda e accattivante per lo sport più internazionale dell’era moderna. La storia recente dell’India allargò le sue speranze: le molteplici identità del Subcontinente non gradirono l’ombrello del Commonwealth, ma assimilarono l’eredità sportiva dei colonizzatori e la trasformarono in una fonte di forza. Ranadivè pensò che un nuovo impegno educativo e comunicativo avrebbe riaperto i processi di ibridazione sportiva: uno studio di fattibilità dirottò i suoi interessi tra gli stenti dei Sacramento Kings e trasformò le voci di relocation in grida di giubilo. La capitale della California accolse con entusiasmo il “ciclone indiano” e attese la genesi di un nuovo progetto: Ranadivè lanciò “Basketball 3.0″ e annunciò il suo desiderio di trasformare la palla a spicchi nel faro dello sport mondiale. Nelle sue visioni strategiche, l’NBA avrebbe continuato a tracciare la strada e l’India avrebbe fornito un bacino illimitato di appassionati entusiasti e disposti a sacrificare tempo, denaro ed energie per inseguire le celebrità: l’etere avrebbe azzerato le distanze e le immagini avrebbero trasmesso modelli di comportamento capaci di lanciare la sfida dei mondi. La nuova generazione del Subcontinente sarebbe stata in grado di affrontare la traversata oceanica e avrebbe incrociato le sue forze con la grande America. Utopia o realtà pensabile? Fantascienza o progetto? Futuro remoto o presente posteriore? Secondo Ranadivè, per lanciare l’operazione serviva solo un simbolo, un catalizzatore di passione: il destino lo avrebbe offerto molto presto…
The tallest #KingsSelfie that's ever been taken pic.twitter.com/6rxtljp6Z0
— Vivek Ranadivé (@Vivek) 27 Settembre 2014
SIM BHULLAR: L’UOMO DEI SOGNI INDIANI – La notte del Draft 2014 accende le fantasie di Vivek Ranadivè: il mastodontico punjabi d’America Sim Bhullar scuote la testa nel silenzio di una scelta mancata, ma l’impatto fisico dei suoi centimetri e le prospettive di marketing che le sue origini spalancano agli occhi degli investitori fanno sobbalzare la dirigenza dei Kings. Bhullar è nato a North York, Ontario, ma i suoi genitori vengono dal Punjab e appartengono a una famiglia di “giganti”: papà Avtar supera i 195 centimetri e ricorda ancora distintamente le azioni accese del Kabaddi, uno sport molto diffuso nella sua terra natale; mamma Varinder sfiora il metro e ottanta e conosce le atmosfere coloniali del cricket. Il background sportivo dei genitori, i ponti culturali con il Subcontinente e le dimensioni spaventose del corpo aprono a Sim le porte della pallacanestro statunitense. Bhullar si mette in mostra per la prima volta nei tornei scolastici della Pennsylvania: indossa la canotta della Kiski School, ma la sua massa travolge i tessuti e gli avversari. Domina, ma non può proporsi per un college di primo piano: deve sistemare i voti e perdere peso, poiché la pagella gli impedisce di accedere ai programmi di studio e l’adipe trasforma le sue corse in lenti calvari. Dopo i campionati panamericani giovanili del 2010 si trasferisce all’Huntington Prep School: gli allenamenti riducono la sua massa a 160 chilogrammi e migliorano leggermente la sua mobilità laterale. Xavier University s’interessa al suo profilo, ma una serie di problemi burocratici lo allontana dall’Ohio e lo spinge verso il campus di New Mexico State. Bhullar veste la maglia degli Aggies per due stagioni e griffa 10.2 punti, 7.2 rimbalzi, 1 assist e 2.9 stoppate in 25.3 minuti di utilizzo medio; il gigante indiano converte le conclusioni dal campo con il 63% e i tiri liberi con il 49%. Le prestazioni di Sim aiutano New Mexico State a raggiungere per due volte il Torneo NCAA e fruttano al ragazzo due titoli di MVP della stagione regolare della Western Athletic Conference, ma non cancellano i dubbi dalle menti degli scout NBA: l’altezza e la capacità di alterare i tiri si perdono nei problemi di spostamento che caratterizzano le sue transizioni e nella lentezza dei suoi spostamenti laterali. Bhullar si dichiara eleggibile per il Draft, ma i GM dell’NBA non rischiano una scelta per un cantiere tecnico tutto da costruire: neppure il bagaglio offensivo del lungo punjabi sembra in grado di offrire spunti di lavoro sufficienti a giustificare l’azzardo. Le caselle del Madison Square Garden si riempiono e il nome di Sim si perde nel silenzio, ma la chiamata di Ranadivè ravviva il suo cellulare: i Sacramento Kings gli offrono un contratto per la Summer League e lo inseriscono nel loro progetto tecnico. La stima del presidente e la disponibilità dell’allenatore gli preparano un’atmosfera ideale, l’orgoglio indiano e la voglia di emergere riempiono di sudore i suoi allenamenti e le esigenze del marketing completano il quadro: la penna di Sim verga il primo accordo professionistico di una carriera tanto suggestiva quanto enigmatica. Le “sportellate” didattiche di DeMarcus Cousins e la fantasia dello staff tecnico dovranno trasformare 226 centimetri di speranze in centosessanta chili di agonismo; la missione si annuncia difficile, ma le esigenze della proprietà tengono aperte le speranze indiane.
VERSO IL SUBCONTINENTE – Il progetto tecnico-mediatico dei Sacramento Kings si allarga a macchia d’olio: la dirigenza californiana appronta gli strumenti comunicativi e prepara lo sbarco in India. L’ingaggio di Sim Bhullar si inserisce nell’alveo economico che ha portato Yao Ming negli Stati Uniti e la traduzione del sito ufficiale della franchigia nella lingua Hindi testimonia l’impegno concreto del presidente Ranadivè e dei suoi collaboratori nella costruzione di un bacino di tifosi nel serbatoio più fecondo del sistema globale. Nei prossimi mesi, l’organizzazione dei Kings cercherà di tracciare le linee di uno sviluppo progressivo: le logiche del mercato potrebbero spingere la franchigia a promuovere un ulteriore allargamento dei programmi internazionali della Lega per ottenere l’opportunità di giocare alcune partite di pre-season nelle principali città indiane. Le idee degli appassionati e i sogni dei tifosi s’intrecciano ai calcoli degli economisti e alle proposte dei tecnocrati nella straordinaria e terribile grandezza dello sport moderno.