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Una cosa stupida e apparentemente senza significato. Ancora una lettura o un film che ne danno la puntuale, tempestiva spiegazione. Un orologio da due soldi, ma che funzionava ancora, consegnato all'orologiaio semplicemente per sostituivi la batteria e restituitomi, senza alcun imbarazzo, guasto, inutilizzabile, da gettare. E una storia che parla di ingranaggi che si rompono e che si riparano, di cose e di uomini che non funzionano più, di pezzi di vita inservibili, ma poi, improvvisamente, recuperati. L'orologio non valeva niente e quindi non lo farò aggiustare, mi serviva soltanto perché aveva un tasto che accendeva una lucetta che mi permetteva di sapere che ora fosse tutte le volte che di notte mi svegliavo. Evidentemente, quell'orologio che non è più in grado di segnarlo, ha fatto il suo tempo. E adesso si trova in un cassetto, ad attendere non so cosa prima di sparire nella pattumiera. In qualche modo, mi sembra che un po' di tempo glie ne resti ancora e che lo usi aspettando in silenzio la sua ultima fine. La storia in questione, invece, è Hugo Cabret e, senza raccontarne la trama, voglio soffermarmi su questa faccenda degli ingranaggi. Non di quelli con cui sono fatti gli orologi e i giocattoli che si vedono nel film, ma di quelli, più o meno nascosti, che compongono l'uomo e il suo tempo. Proprio come in un ingranaggio, le ruote dentate che oggi muovono i nostri corpi e i nostri pensieri sono spinte da altre ruote, via via sempre più lontane nel percorso a ritroso verso il nostro passato. A volte qualcuna di queste si inceppa, perde aderenza con quella che la segue, magari si svita oppure non scorre più tanto bene perché si è formata un po' di ruggine. In questi casi basta dell'olio lubrificante e una stretta con il cacciavite. Altre volte, però, una semplice manutenzione è insufficiente e la rotella va sostituita perché le si è rotto qualche dente e non fa più presa. Allora è necessario trovare un pezzo di ricambio e anche qualcuno che sappia come sostituire il vecchio con il nuovo.
Esistono pezzi di noi che appartengono al nostro passato, che si sono rotti e che poi abbiamo riparato. E ci sono parti di noi stessi che giacciono ancora lì, pieni di polvere, abbandonati in un cassetto, proprio come un orologio inutile. Cose dimenticate e apparentemente rimosse, ma che qualche volta si ripresentano quando qualcosa nel nostro presente non funziona più. E sono le delusioni ricevute, le opportunità mancate, le persone perdute. La storia che non è andata nel verso giusto, che non ha eseguito il movimento che avevamo previsto. Situazioni messe in un angolo senza essere state prima risolte. Liquidate senza aver dato loro nemmeno un significato, neppure un'interpretazione sbagliata, ma addirittura una totale assenza di senso. Ecco perché questo tipo di fantasmi prima o poi ricompare, se non altro per chiederci una spiegazione plausibile. La nostra vita, nella sua diramazione temporale, funziona esattamente come un ingranaggio e, quando un pezzo salta, non serve a niente ed è stupido far finta di non vedere, bisogna tornare indietro per ripararlo o sostituirlo.
Una nota che non dovrebbe trovarsi a margine: sono andato a vedere questo film con mio figlio. Non si tratta di una storia molto adatta ai bambini, perché in alcune parti è tutt'altro che divertente. Però a Dodokko è piaciuta, soprattutto perché all'ingresso del cinema ci hanno dato gli occhiali per vedere lo spettacolo in tre dimensioni e lui, immobile e serissimo sulla poltrona, con quelle lenti sul viso, sembrava un critico cinematografico più che un semplice spettatore. Gli effetti speciali che procurano quegli occhialetti sono fenomenali e sembrava che la neve del film ci piovesse addosso, proprio come ci è successo qualche giorno fa a Roma.
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