Se ci penso, mi accorgo di essere una persona fondamentalmente insicura.
Di esserlo sempre stata, o di esserlo diventata, mi chiedo, però?
Di mio ho un carattere che ho sempre pensato molto forte: non ho paura di fare le cose da sola, perchè da sola ci sto sempre, e “da sola” non mi fa star male anzi, meglio soli che accompagnati male, etc.
E tuttavia ultimamente mi trovo addosso un’insicurezza di fondo, che trovo così non mia da essere francamente stancante, e che mi spinge a cercare esternamente e costantemente conferme. Conferme del mio avere ragione, del mio essere giusta e non fuori posto, conferme di essere all’altezza, conferme di essere brava (una brava figlia una brava professionista una brava amica… etc etc metteteci davanti il sostantivo che più vi piace), conferme che faccio bene, conferme che le mie idee sono innovative e coinvolgenti… conferme.
Divento ossessiva, davvero. E se non arriva cenno alcuno su quello che sto facendo comincio a farmi dei gran dubbi: andrà bene, non andrà bene, piacerà, non piacerà… me lo diranno prima che mi arrivi un altro calcio nel sedere?
Si, tutto ciò fondamentalmente prescinde dalla mia convinzione di essere una valida professionista/figlia/amica/etc.
Prescinde dalla realtà così come dalla mia percezione.
E si radica maledettamente di nuovo in quel piccolo, insignificante (o così vorremmo) evento che risiede nel passato: quando dall’oggi al domani la mia azienda ha deciso che non servivo più, che ero inutile, addirittura sgradita presenza. E perciò, mi ha lasciata a casa (più meno, insomma il risultato è stato questo). Ed ora, per quanto le cose possano andar bene, essersi sistemate o in via di sistemazione, io non sono ancora in grado di vedere davvero l’orizzonte davanti a me. O anche se lo vedo, c’è sempre qualcosa che mi trattiene, come del piombo nelle mie scarpe, un pugno nel petto che mi soffoca, una vocina insistente nella mia mente che versa fiele nelle mie orecchie.
E ragion non vale, laddove ci sono ferite così profonde.
La ragione di tutto ciò, non è che non lo capisco, è il fatto che, dopo tanti anni, tanti sforzi, l’andare avanti, il mettersi tutto alle spalle, il masticare digerire metabolizzare, ancora… nessuno mi ha spiegato il vero PERCHE’ di tutto questo.
Razionalmente: perchè l’azienda era in crisi (ma continua tuttora a trascinarsi, licenziare gente, assumerne di nuova, insomma, va avanti..e quindi dov’è la crisi?). Perchè stavo sulle balle al mio capo. Perchè non serviva più una che rispondesse al telefono e facesse l’assistente di un’altra che poteva rispondersi al telefono da sola. Perchè ero troppo brava. Perchè ero poco brava. Troppo creativa, poco creativa. Troppo scomoda, poco accomodante.
Perchè.
Di perchè ne ho avuti e me ne sono dati tanti, ma ancora non ho capito. Non davvero, forse.
Sarò tarda.
Me la sono messa via, razionalmente, con una crollata di spalle. Ma poi all’evidenza dei fatti forse no, se continuo ossessivamente a chiedermi se va bene tutto quello che faccio, penso, e dico. Non dico da non dormirci la notte ma… beh diciamo che a volte mi infastidisco da sola.
Eppure il tarlo, con cui ho imparato a convivere, c’è sempre. Quando le cose vanno male, mi chiedo perchè. Quando le cose vanno male, mi chiedo quando arriverà l’ennesima bastonata. Quando dall’oggi al domani, senza un preciso perchè, le cose cambieranno di nuovo.
La situazione è quella tipica, psicologicamente parlando, delle vittime di abusi, se non sbaglio.
La strategia che la mia azienda ha applicato con me, è esattamente quella dell’abuso: viscido, sotterraneo, fulmineo e deprivante. Mobbing nemmeno troppo celato. Fino a sfociare nella definitiva rottamazione con tanto di tirata di catena del cesso, e bon. Adieu.
Questa strategia sapientemente applicata, è quella più vecchia del mondo del resto: quella di cui ogni padre-padre padrone ha fatto una scienza, quella che ogni compagno psicopatico, a sua volta insicuro e pertanto pericoloso ha adottato per sfogare sulla propria donna le proprie ansie.
Quella appunto che viene adottata dalle aziende per ridurre i propri dipendenti ad automi consenzienti e senza volontà, piccoli scarafaggi insignificanti e senza voce, da schiacciare come e quando gli pare. Quando fa comodo.
E a noi poveri scarafaggi? A noi non resta che rimanere qua a chiederci perchè, a risponderci in vario modo, a buttarci tutto alle spalle senza avere la possibilità di guarire davvero (per quanto mi sia sforzata, evidentemente non ci sono riuscita del tutto se mi porto ancora dietro queste piccole psicosi, e credetemi: il mio carattere è forte, non mi ci farò abbattere, mi ci sono sforzata tanto.. ma devo guardare anche in faccia alla realtà. Al risultato.)
A noi non resta che riconoscere che anche se non c’è un perchè, ed è questa la nostra risposta alla fin fine, non ci basta.
Non ci basta che le cose vadano bene.
Non ci basta sapere questa cosa, avere piccoli e costanti riscontri. Dobbiamo continuare a chiedere.
Ci rode, ci rode il tarlo che ci fa chiedere: “ma allora perchè mi è capitato? senza un motivo, senza una colpa, perchè proprio a me?”
Perchè adesso non riesco a credere di meritarmi cose belle, visto che ho visto solo cose brutte.
Perchè gli ho permesso di schiacciarmi così tanto, che adesso non mi fido più, e (come dice il Vasco) una parte di me non crede più a niente?