Ci sono tre modi di intendere il “diritto al lavoro”. Il modo burocratico: “se vai all’ufficio di collocamento, hai diritto a essere avviato a un lavoro, sulla base di una graduatoria”. Il modo sindacale: “Se hai un posto di lavoro, non puoi essere licenziato”. Il modo costituzionale: “lo Stato ha il dovere di creare le condizioni affinché tutti abbiano una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta”.Individuati questi tre modi, Ichino - in maniera sintetica - dà la sua versione su come essi siano stati intesi nella storia dell'Italia repubblicana.Riguardo al modo burocratico,
«lo abbiamo sperimentato per mezzo secolo, dal 1949 al 1997, con il nostro monopolio statale del collocamento: l’esperienza mostra che in quel modo, di fatto, abbiamo garantito soltanto il diritto dei collocatori alla bustarella»Può essere, anzi, senz'altro è stato così. In molti uffici di collocamento ci saranno stati degli abusi e degli illeciti. Ora, fatto salvo che, finché l'economia tirava, questa procedura illegale non dava fastidio a nessuno, cosa significa questo? Che gli uffici di collocamento collocavano, ovvero funzionavano nonostante le bustarelle. Cazzo, hanno funzionato e continuano (bene o male) a funzionare tutte le istituzioni (dal Parlamento ai comuni) nonostante le tangenti. Ché ne è stata chiusa qualcuna? Bastava “arrestare”... no, allontanare dal loro lavoro* i collocatori disonesti. E poi, esimio Ichino, lo so che il suo è un editoriale telegrafico, però occorre specificare per cosa i collocatori disonesti prendevano bustarelle, non certo, cioè, per far lavorare i disoccupati in fonderia, ma per occupare i raccomandati negli enti locali o cose simili, vero? E chi ha amplificato l'offerta lavorativa negli enti pubblici se non la politica del voto di scambio? E con cosa si pagavano senza scrupoli tali sperperi? Con l'aumento del debito a iosa, porca miseria, che ora ci si ritrova tutto sul groppone - e i nomi si conoscono benissimo di chi ha provocato tali cose, alcuni sono morti in esilio, ma altri sono ancora senatori a vita.Io mi ricordo benissimo la situazione Ufficio di collocamento, dato che dai diciotto ai trent'anni, grazie a tali uffici, e grazie alle pubbliche amministrazioni che avevano quattrini (a debito, ok, ma li avevano), io ho potuto lavorare d'estate per campare d'inverno (a fare ora non sto a dire cosa, dall'aiuto necroforo al vigile urbano). Bene, io ero iscritto a una graduatoria, semplicemente. E non ho mai avuto spinte. È che il lavoro c'era e ora non c'è.Dalla fine degli anni '70 ai primi del '90 in Italia c'è stata una corsa spettacolare al posto fisso negli enti pubblici. Persino artigiani bene avviati nel lavoro, baristi, muratori, financo imprenditori mollarono le loro partite iva per il posto al caldo dei Comuni e delle Province, delle Regioni e delle Comunità Montane. E mi limito a questi pochi Enti. Ma lasciamo perdere perché mi viene da bestemmiare.
Riguardo al modo sindacale, scrive Ichino
lo abbiamo sperimentato per quarant’anni, dal 1970 a oggi, con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: è il diritto a tenersi il proprio posto stabile quando lo si è trovato, ma non è affatto il diritto al lavoro stabile per chi ancora non lo ha trovato.Ecco, qui è inutile commentare opposte visioni del mondo sulla vexata quæstio dell'articolo 18. Per far star bene chi sta male, bisogna far stare un po' male chi sta benino e non chi è veramente un parassita della società. Io ho un'idea chiara su chi siano i parassiti, molto diversa da quella di Ichino. È per questo che io fatico enormemente a votare lo stesso partito che gli ha consentito di diventare parlamentare.
Riguardo al modo costituzionale, che, per Ichino, è «il modo più serio e più impegnativo di intendere il diritto al lavoro», occorre notare che
l’esperienza degli ultimi due secoli mostra che non vi è modo migliore per garantire a tutti una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta, che quello di un mercato del lavoro ben funzionante, fluido e innervato di servizi efficienti, in un sistema economico aperto.Aperto a che? a) Allo strapotere del capitale sul lavoro - e non ci sono cazzi di smentita in proposito. Tale apertura, di conseguenza, determinab) Che il lavoratore ci rimetta sempre. Che apra le terga, insomma, che arriva il direttissimo dello sfruttamento.
Per questo, alla domanda finale che Ichino pone a coloro che hanno criticato le parole della ministro Fornero, e cioè
Chi per questo la ha duramente attaccata ci dica, per favore, qual è il suo modo di intendere il diritto al lavoro.Io rispondo: leggere Marx e tenere duro.
*Il carcere non serve a niente per certi reati, se non alla plebe assetata di manette che poi vota sempre gli ammanettati.
Update
La cara Olympe conforta la mia risposta con una migliore (che è una domanda, in realtà). La ringrazio sentitamente.