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Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963

Creato il 16 giugno 2011 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="200" width="600" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-30538" />

Come ti è saltato in testa di fare i fumetti?
Be’, sono nato il 7 maggio 1951 a Bellows Falls, una morente cittadina nel Vermont. Mio padre, Robert Veitch Jr., dirigeva il deposito di carta locale, il Robertson Paper Co. e portava a casa chili di fogli sui quali i suoi sei figli potevano disegnare. Io e Tom, mio fratello maggiore, classe 1941, eravamo appassionati di fumetti sin da ragazzini e passavamo gran parte del nostro tempo libero a scrivere e disegnare i nostri comic-book fatti in casa, imitando le storie Marvel e DC pubblicate all’epoca. Mentre ancora frequentavo il liceo ho letto il primo Zap (il più famoso fumetto underground della fine degli anni Sessanta, pubblicato da Robert Crumb ndr) e ho immediatamente iniziato a cercare di creare fumetti che avessero maggiori presupposti personali e artistici.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="262" width="193" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30523" />Il tuo esordio quasi ufficiale è avvenuto su alcune pubblicazioni tipicamente underground, agli inizi degli anni Settanta. Puoi entrare nei dettagli?
Mi sono diplomato nel 1969 e, ovviamente, il movimento hippy era estremamente popolare fra i ragazzi americani. Mio fratello Tom, dopo aver fatto per qualche anno il monaco benedettino, mollò tutto andandosene a San Francisco dove divenne amico di Greg Irons, popolare disegnatore di fumetti underground e di poster psichedelici.
Assieme pubblicarono un albo chiamato Legions of Charlies sotto il marchio Print Mint, mi sembra di ricordare. Non ci ho pensato due volte a seguire le orme di Tom. Cosi, con un paio di amici e circa trenta dollari in tasca, me ne sono andato dal Vermont su di una Pontiac Tempest, attraversando il paese fino a Stinson Beach, California. Eravamo intorno al 1970. Mi stabilii nel garage di Greg Irons e iniziai a disegnare (indovinate cosa?) comics, o meglio comix, come li chiamavamo a quei tempi. La scena fumettistica all’epoca era in fermento, così come la maggior parte delle nuove espressioni culturali americane. I comic-book della Marvel e della DC, con i quali ero cresciuto, erano profondamente censurati e soggetti alle imposizioni dell’odiato Comics Code. Per noi, veri spiriti ribelli, rivoluzionari e liberi, fu naturale cercare di spezzare ogni legaccio e ogni tabù che potessimo percepire e provare sulla nostra pelle. E grazie al movimento hippy che sconvolgeva il paese, potevamo contare su di un’audience enorme, ricettiva e in grado di rispondere positivamente a questo tipo di arte di matrice anarchica.
Personalmente ero abbastanza emarginato rispetto al movimento dei comix.
Ero giovane, i miei disegni erano rozzi e dato che erano influenzati da un tono kirbiano, autore che avevo saccheggiato da giovane, non trovavano una loro collocazione all’interno di quanto gli underground affermati stavano realizzando. Molti di loro avevano uno stile raffinato influenzato sia dai disegni di più celebri autori di strisce giornaliere degli anni Trenta, sia dai comics dell’orrore della E.C. Comics degli anni cinquanta. Con l’aiuto di mio fratello, tuttavia, riuscii ad assicurarmi una pubblicazione su A11 New Underground Artists, una serie che stava per essere distribuita da Ron Turner, editore della Last Gasp. Avrei dovuto realizzare il numero cinque, con una storia intitolata Two-Fisted Zombies. Avevo impiegato un anno a disegnarla, su sceneggiatura di Tom, e uscì agli inizi del 1972, anno in cui (come si seppe in seguito) l’intero sistema distributivo underground collassò!

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="235" width="540" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-30536" />

Potresti descrivere la scena underground americana per come l’hai vissuta?
Era una situazione molto hippy, ricca di quell’atteggiamento di spudorata controcultura rampante in quegli anni. C’erano pressioni esercitate dalle strutture commerciali per cooptare il look underground (se non la sua natura erotica e rivoluzionaria) e artisti come Crumb e Shelton diedero l’esempio a molti rifiutando la tentazione di grossi guadagni nel campo della pubblicità. La parola “esaurito” rappresentava il peggior insulto che si potesse pronunciare, sentivamo di essere in grado di creare un nostro sistema di produzione e vendita di questi nuovi comix, sistema più giusto e libero di qualsiasi altra soluzione che la conservatrice Amerika poteva offrire. La storia ha poi provato che si trattava dell’ennesimo sogno e le forze sociali e culturali espresse agli inizi degli anni Settanta fratturarono e smembrarono l’idealismo giovanile di molti brillanti autori. Peccato. Credo che se fossero esistiti dei geni del marketing, capaci di costruire un vero mercato da quanto è stato creato nei fumetti underground, la situazione artistica americana sarebbe molto diversa, oggi!
Ricordo una festa, organizzata dalla Straight Arrow Books (l’editore di Rolling Stone) che rappresentò il vero e proprio punto di svolta del movimento. La Straight Arrow voleva pubblicare The History of Underground Comix di Mark Estren, ma si rifiutava di pagare gli autori per lo sfruttamento del loro materiale. Diedero un grande party a San Francisco per blandirli. Nel corso della serata si sparse la voce che invece alcuni dei grossi calibri, come Crumb e Shelton, avevano ricevuto denaro per il materiale pubblicato dalla Straight Arrow e gli animi si scaldarono. Ted Richards picchiò Mark Estren e la situazione scappò completamente di mano. In quella riunione tutti i problemi, nascosti sotto la superficie del nostro “movimento” vennero alla luce. Da allora le cose non furono più come prima!

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="217" width="250" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30521" />Com’è nato i1 tuo interesse per il disegno? Hai ricevuto una formazione artistica specifica o sei autodidatta?
Tutto è iniziato guardando mio fratello disegnare, anche se la mia abilità al tavolo da disegno ha presto superato la sua e lui ha deciso di scrivere! Non ho frequentato lezioni d’arte al liceo: a dir la verità mi hanno spesso detto che fare il disegnatore era una gran perdita di tempo! Per fortuna ero troppo ostinato per dare ascolto ai miei insegnanti. Vedo il mio lavoro nei fumetti come un processo organico, un’estensione di ciò che ero da bambino. Anche se le cose che scrivo hanno come protagonisti supereroi e criminali, sono tutte storie vagamente incentrate su di me, sui miei miti personali. Sono sicuro che se dovessi mai andare in analisi sarebbero di grande aiuto allo psicologo! Comunque credo che sia una cosa comune a tutti gli autori.

Quali sono stati gli autori e le storie che ti hanno influenzato?

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="354" width="260" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30531" />
L’atmosfera culturale era differente a quei tempi. Non eravamo costantemente bombardati da suggestioni pop come oggi, così ciò che facevamo sembrava lievemente anarchico ed eravamo costretti a inventarcelo e a studiarlo con attenzione. La mia passione per i fumetti è iniziata, appena ho imparato a leggere, con Little Lulu e Donald Duck. Quando iniziò il periodo conosciuto come Silver Age compravo, leggevo e ricopiavo i disegni di Flash, The Atom, Green Lantern, Sgt. Rock e molti altri titoli che la DC Comics offriva in quel periodo. La Marvel, all’epoca conosciuta come Timely, aveva una linea di fumetti con protagonisti dei mostri, che compravo di tanto in tanto. Improvvisamente nelle edicole apparvero i Fantastici Quattro, Hulk, Thor, Spider-Man e un sacco di altri eccitanti e interessanti supereroi, tutti usciti dalle menti di Jack Kirby, Stan Lee e Steve Ditko. L’evoluzione di Kirby come disegnatore nel corso degli anni Sessanta ha influenzato profondamente un’intera generazione di ragazzini americani e io ero in prima fila!
Un altro dei miei eroi era un inventore di automobili californiano completamente pazzo che si chiamava Big Daddy Roth. Quando avevo otto anni ho anche messo su un piccolo business copiando le strane immagini delle sue magliette su quelle dei miei amici.
All’epoca la Ace Books stava ristampando le avventure di Tarzan in volumi con la copertina di Frank Frazetta. Anche queste illustrazioni m’influenzarono profondamente. In egual misura i volumi di Kurtzman e i Mad Comics di Elder negli anni Cinquanta. In seguito arrivarono Creepie, Eerie e Blazing Combat che, sotto l’attenta supervisione di Archie Goodwin, cercavano di ricreare  l’atmosfera della linea E.C., avvalendosi degli stessi talenti come Al Williamson, Angelo Torres, Reed Crandall e Frank Frazetta. Questi fumetti mi fecero capire che i comics potevano essere disegnati in modo più ricco rispetto alla mia dieta quotidiana di Marvel. In seguito, ovviamente, quando esplose il movimento underground divorai i lavori di Crumb, Griffin, Spain, S. Clay Wilson, Bode e tutti gli altri!

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="314" width="207" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30509" />Personalmente sono convinto che, ancora oggi, ci sia un notevole fermento all’interno del panorama fumettistica americano. Editori non specializzati in fumetti supereroistici o prettamente commerciali pubblicano i lavori di autori che potremmo definire post-underground. Il riferimento è chiaramente alla Drawn&Quarterly, Fantagraphics, Slave Labor che ospitano nel loro catalogo pubblicazioni certamente legate a filo doppio alle esperienze linguistiche, iconografiche e tematiche di quel periodo. Qual è la tua sensazione quando prendi in mano un fumetto di Chester Brown, per esempio?
Sono certo che il lasso di tempo intercorso fra la fine dell’underground (1973) e l’inizio del sistema di vendita diretta (1981) abbia molto a che fare con questo fatto. Non sarebbe stato possibile pubblicare Yummy Fur prima del 1985 e, anche oggi, è davvero difficile trovare un pubblico per questo tipo di materiale. Sono stato colpito anche dal Toz Tox Manifesto un libro pubblicato da alcuni cartoonist statunitensi che sfidavano gli autori, di qualsiasi genere, a entrare nel mainstream non per “esaurire le copie”, ma per sovvertire le  strutture di potere esistenti. In qualche misura credo che si sia trattato di un buon progetto anche se la sovversione sembra essere stata un’arma a doppio taglio per alcuni. Per chiarire il mio pensiero vorrei ribadire che anche la mia produzione definibile underground era per certi versi influenzata dalla fiction, dalla fantasy e dai supereroi! Sembra che sia un linguaggio che mi è congeniale!

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="448" width="215" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30510" />Dopo la tua esperienza a San Francisco è seguita quella come allievo alla Kubert School, la scuola per disegnatori diretta dal grande autore di dozzine di storie per case editrici commerciali. Puoi raccontarci come si svolsero le cose?
In seguito al collasso dell‘underground sono tornato nel Vermont, ho messo su famiglia e ho iniziato a condurre un tipo di vita del genere “ritorno a casa”, come molti di quelli che erano gravitati nel movimento hippy. Ovviamente continuavo a disegnare i miei fumetti, ma senza speranza di pubblicazione. L’underground era morto e le mie tavole erano decisamente troppo rozze per la Marvel o la DC. Lavoravo in una fonderia e mi resi conto che se non mi fossi dedicato seriamente al disegno avrei lavorato lì per tutta la vita. Avevo 25 anni ed ero senza un quattrino, ma decisi che mi sarei iscritto a una scuola d’arte. Dopo aver cercato una scuola nell’East Coast, sperando di  trovarne una con alcuni corsi sul fumetto, un giorno lessi un’inserzione della “Joe Kubert School” e mi si accese la proverbiale lampadina sulla testa. Andai nel New Jersey e mostrai a Joe le mie tavole. Lui mi disse che aveva fondato la scuola proprio per gente come me. Mi mostrò anche i lavori di Drulliet e Moebius che sembravano influenzati dagli underground americani, ma creavano una nuova, stupefacente estetica per conto proprio. Mi caricai a tal punto che tornato a casa bussai a tutte le porte in cui pensavo di trovare il denaro necessario e sembrò che gli dei mi sorridessero, perché proprio in quel momento era stato creato un nuovo programma federale per educare le persone bisognose alle arti. Così ottenni tutto ciò che mi serviva. Nel settembre 1976 ero uno degli allievi della prima classe nella storia della “Joe Kubert School of Cartoon and Graphic Art”! Quelli furono i momenti più belli della mia vita. Anche se il mio curriculum era ancora a zero, imparavo nuove cose ogni giorno, con le mie capacità sotto la tutela di Kubert. Ho diviso speranze. sogni, idee e teorie sballatissime con persone come me! Studenti come Steve Bissette. John Totleben e Tom Yeates possedevano tutti un background comune e un tale amore per la forma artistica del fumetto che non sembrava poi tanto importante che l‘intera industria dei comics statunitensi stesse andando a rotoli. Sapevamo che in qualche modo l’avremmo fatta funzionare!

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="398" width="259" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30537" />Da qui la tua prima esperienza con una casa editrice mainstream. Parliamo della DC Comics che ti affidò qualche storiella di Sgt. Rock.
Kubert aveva saggiamente mantenuto i collegamenti con la DC Comics,  supervisionando qualche albo per continuare ad avere un controllo e per aiutare i suoi studenti. Manteneva uno spazio in appendice alla sua serie Sgt. Rock dedicato a brevi storie realizzate dai suoi allievi. Questo fatto consentiva loro di fare un po’ di soldi e di iniziare a farsi un nome nel mondo del fumetto. Devo aver realizzato dieci o dodici storie sia da solo che in collaborazione con Steve Bissette. La maggior parte sono state scritte da Robert Kanigher, anche se credo di averne sceneggiate due o tre anch’io. Erano una sorta di prolungamento del lavoro che svolgevamo a scuola, con la supervisione di Joe in ogni fase del processo, con la differenza che, comportandosi da supervisore e non da maestro, era molto più difficile accontentarlo. Anche se talvolta si trattava di un lavoro difficile è stata un’esperienza formativa. Le lezioni che ho ricevuto da queste brevi storie d’appendice le porto con me, ancora oggi.

Per uno strano motivo dopo aver iniziato a collaborare con la DC le tracce del tuo lavoro si rivolgono alla sua più diretta concorrente: la Marvel Comics. Come hai iniziato a lavorare alla “Casa delle idee”?

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="377" width="257" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30518" />
Quando mi sono diplomato alla Kubert School, assieme a Bissette e Yeates, ho pensato di essere pronto a presentarmi alla DC e ricevere qualche incarico, ma le cose andarono diversamente. La casa editrice passava attraverso una fase di riorganizzazione e la sua politica non appariva affatto soddisfacente. Anche se tutti e tre avevamo ottime prove nei nostri portfolio, tutti i nostri colloqui si rivelarono dei disastri. Così, ovviamente, ci rivolgemmo alla Marvel e venimmo accolti a braccia aperte da Rick Marschall, supervisore di alcune riviste in bianco e nero. All’epoca Rick stava lavorando a un progetto che prevedeva la pubblicazione di una magazine a colori in stile Heavy Metal, che alla fine venne chiamato Epic. Ovviamente ho visto la rivista come un ottimo posto in cui appendere il cappello, non solo per sperimentare col colore come avevo studiato a scuola, ma per raccontare storie che mi piacevano, invece di limitarmi a disegnare una triste sceneggiatura supereroistica scritta da qualcun altro. In questo periodo, inoltre, lavoravo come assistente di Al Williamson.
Quando Archie Goodwin, vecchio amico di Al, prese il posto di Marshall come supervisore di Epic, mi trovai di fronte a una grande opportunità. Archie è il miglior editor con cui mi sia mai capitato di lavorare. Possiede l’incredibile capacità di suggerire il perfetto taglio del dialogo in modo da compattare l’intera storia, inoltre ha un senso dell’humour che potrebbe far crollare la Statua della Libertà. Sembrava intenzionato a darmi tutto lo spazio che mi serviva per fare qualsiasi pazzia mi venisse in mente e ho speso tre anni meravigliosi a mettere insieme un corpus di cui non solo sono molto fiero, ma di cui detengo completamente i diritti di pubblicazione (cosa piuttosto insolita nel mondo dei fumetti americani, oggi).

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="400" width="280" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30524" />Nel corso degli anni in cui hai collaborato a Epic Illustrated hai prodotto una mole di lavoro estremamente sperimentale per l’epoca. Non solo a livello di storie, ma anche con l’uso di una particolare impostazione della pagina che è, oggi, una dei lati più interessanti dei tuoi lavori. Era una cosa calcolata?
Questo tipo d’impostazione è il prodotto della mia collaborazione con Steve Bissette quando ancora eravamo studenti di Kubert. Joe, ovviamente, era famoso per il suo uso potente di vignette “a incastro” inserite nella solita, noiosa pagina di un fumetto statunitense. Steve e io, invece, eravamo cresciuti con in testa il design psichedelico del fumetto underground che, malgrado sia visualmente stimolante, spesso non funziona e lascia il lettore interdetto riguardo a quale parte guardare. Kubert ci rese consapevoli riguardo determinate “regole” atte a guidare l’occhio del lettore attraverso la pagina e noi le applicammo con entusiasmo a tavole più astratte ed evocative per fare in modo di dare un taglio più moderno alle strip, creando, in alcuni casi, una nuova grammatica nel linguaggio dei comics. Tale approccio pare adattabile ai fumetti dei supereroi come al genere horror e mi pare ovvio che un certo numero di autori hanno avuto le stesse idee considerato il fatto che un uso libero della pagina è quasi la norma nel fumetto americano odierno.
Riguardo al colore, poi, abbiamo cercato di fare qualcosa di nuovo, grazie alle moderne tecnologie di riproduzione della pagina. Scoprimmo che potevamo lavorare in modo soddisfacente con i collage nelle illustrazioni, soltanto tagliando foto a colori da riviste e lavorandole con luci opache. Uno dei nostri primi grandi progetti era una graphic novel tratta da 1941, un film di Steven Spielberg, che realizzammo con un uso massiccio di ritagli tratti da Life e riferiti alla seconda guerra mondiale. Spielberg ci scrisse per dirci che eravamo “dotati di un talento sfrenato, ma totalmente dementi“.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="358" width="230" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30522" />Per la Epic hai realizzato anche Heatburst una graphic novel edita in Italia a suo tempo sulla rivista Bhang della Max Bunker Press. Ci puoi descrivere i tuoi intenti?
Heatburst era essenzialmente un fumetto sentimentale con un’ambientazione fantascientifica. Non sono, però, molto felice del risultato finale. Leggendo la storia oggi non mi sembra così ben strutturata: penso di aver cercato di fare qualcosa che sfortunatamente mi è sfuggita. Devo dire che a quel tempo ho avuto una fantastica esperienza in Italia come ospite della fiera di Lucca. Le convention americane sono un avvenimento sordido e triste essendo concepite per spillare denaro ai lettori. Nella città toscana, per la prima volta, ho visto analizzare e celebrare l’impatto culturale dei fumetti, mentre il momento puramente economico veniva relegato in secondo piano. Sono rimasto estremamente colpito dalla quantità di comics e formati europei e dalla meravigliosa sensazione di crescita ed energia che circondava la comunità degli autori, editori e appassionati. Ho avuto anche la possibilità di conoscere alcuni dei miei creatori preferiti come Moebius, Pratt, Breccia, De La Fuentes e molti altri. Per dirla tutta quel bel tipo di Hugo mi ha anche chiuso in un magazzino, ma questa storia la conservo per un’altra intervista!

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="363" width="162" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30529" />In quel periodo nel mondo fumettistico statunitense erano in corso grandi cambiamenti. La DC si trovava in una posizione d’attesa dopo l’implosione del 1979, molti nuovi editori (come Eclipse, Pacific, Capital) esordivano sulla scena. Ognuno di loro, inoltre, offriva contratti migliori ai creatori e alcuni di essi (come Dave Sim o i coniugi Pini) inaugurarono la pratica dell’autopubblicazione. Qualche anno fa anche tu hai iniziato a produrre il tuo lavoro autonomamente. Perché non iniziasti allora? Quale situazione esisteva fra le major, gli indipendenti e i cartoonist?
Magari avessi iniziato ad autopubblicarmi agli inizi degli anni Ottanta, era il momento giusto. L’incremento del mercato di vendita diretta aveva creato uno spazio per quei fumetti che si presentavano come diversi dalla solita minestra targata Marvel o DC. Autori come Sim o i Pini, che hanno iniziato al momento giusto, sono stati fortunati e intelligenti. Oggigiorno vengono pubblicati troppi fumetti, così è estremamente difficoltoso crearsi uno spazio negli affollati scaffali dei negozi specializzati. È grazie a Sim se ho iniziato ad autopubblicarmi alla fine degli anni Ottanta e oggi rimpiango di non averlo conosciuto sette o otto anni prima. La mia situazione potrebbe essere sostanzialmente diversa se le nostre strade si fossero incrociate precedentemente.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="170" width="470" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-30516" />

Dopo la pubblicazione del Marvelman di Alan Moore hai realizzato per la Epic The One. È stata, di fatto, la tua prima esperienza nel campo dei “supereroi revisionisti” in cui hai inserito molte di quelle tematiche presenti nel tuo lavoro attuale (la corruzione portata dal potere, la degenerazione fisica dei possessori di qualità fuori dalla norma, una misteriosa e apparentemente perfetta entità, continui riferimenti iconografici alla pop-art e cosi via). Potresti descriverci la genesi del progetto?

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="373" width="240" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30527" />
Anche ai tempi in cui frequentavo la Kubert School avvenivano spesso discussioni riguardanti il potenziale del genere supereroistico, quel lato affascinante che si nasconde dietro gli stupidi costumi tanto amati dagli adolescenti americani. Avvertivo che c’erano variabili irrealizzate e desideravo davvero cercare di seguire quella strada. Da un lato, però, gli editori di supereroi come Marvel e DC erano restii a permettere agli scrittori di incasinare le loro vacche grasse, dall’altro stavo ancora sviluppando le mie capacità di sceneggiatore. In quel momento non sarei stato in grado di prendere il moribondo genere supereroistico e ricostruirlo. Alan Moore è stato il primo a farlo, nelle pagine di Warrior, con l’esordio della saga di Marvelman. Appena l’ho letta mi si è accesa la proverbiale lampadina sopra la testa. Essendo stato il primo scrittore a prendere seriamente il contenuto di un fumetto di questo tipo, ha abbattuto un grande tabù radicato, inconsciamente, nelle menti dei lettori americani. Ero ansioso di seguire la sua strada. 
Dato che non avevo alcuna possibilità di mettere le mani su qualsiasi personaggio famoso come Superman, Spider-Man o Batman, me ne sono creato uno mio cercando di realizzare un simbolo letterario e visuale aderente all‘idea di supereroe che ognuno di noi possiede. Ho messo in campo l’influenza corruttiva del potere e del commercio per cercare di attirare l’attenzione sullo stato dell’arte (o del genere) nei fumetti statunitensi. Allo stesso momento ero preoccupato dal fatto che la terza guerra mondiale fosse imminente. Tenete a mente che erano gli anni in cui Reagan parlava dell’URSS come “l’impero del male” e c’era molta tensione sulla scena internazionale. Questo fatto divenne parte del conflitto in The One e in molta della produzione artistica di quel periodo. 
Una scelta che può apparire naturale è stata quella di lavorare con Alan Moore che, nella metà degli anni Ottanta, scriveva le sceneggiature dello Swamp Thing pubblicato dalla DC Comics.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="446" width="182" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30532" />Per quale motivo hai interrotto la tua collaborazione con la Marvel e la tua carriera di scrittore e cosa hai realizzato in particolare con l’autore inglese?
Il mio primo lavoro con Alan è stata una breve storia apparsa su Epic  Illustrated. Inoltre ho anche lavorato come “ghost” di Steve Bissette in alcuni vecchi numeri di Swamp Thing per aiutarlo a rispettare le consegne. Fino a quel momento avevo scelto di non sobbarcarmi un albo mensile per qualsiasi major, spaventato dallo sforzo che questo avrebbe richiesto. L’opportunità di lavorare con Alan era, però, irresistibile. Avevo anche raggiunto un momento della mia vita in cui dovevo farmi carico di maggiori responsabilità nei confronti della mia famiglia. Un assegno regolare è stato un ulteriore incentivo. Il supervisore della collana era, inoltre, Karen Berger, una persona splendida con cui lavorare. Mi riesce difficile pensare che qualcun altro, eccetto Karen, potesse dare vita alla nuova vena del fumetto americano, stabilita da Swamp Thing prima e Watchmen poi. Era una persona talmente dotata del giusto amalgama di saggezza, intelligenza e disponibilità da riuscire a organizzare e far produrre un gruppo di pazzi come noi!

Alan Moore ha rappresentato una grossa influenza per il tuo lavoro successivo?
Certo, e lo è ancora oggi. Dopo aver lavorato su una sua sceneggiatura sono stato costretto a scrivere le mie cose con maggior raziocinio e a continuare a cercare di apprendere, piuttosto che impantanarmi in quanto già conoscevo. Alan ha rimodellato l’immaginario supereroistico americano scrivendo le storie in modo serio, qualcosa che nessuno aveva fatto ai suoi livelli in precedenza. Oserei dire che, con il suo lavoro su A Small Killing, From Hell e Big Numbers, potrebbe avere lo stesso effetto sulle graphic novel europee!

Hai lavorato anche su Nexus, Miracleman e per la TV. Puoi darci ulteriori particolari?
A quei tempi ero un vulcano! Con il mio stipendio fisso proveniente da Swamp Thing e la conseguente stabilità economica mi parve logico comprare una casa per me e la mia famiglia. Questo ovviamente significava rinunciare, quando  possibile, al mio tempo libero per sobbarcarmi di lavoro extra! Non sono molto fiero di quello che ho fatto per la televisione: ho realizzato quella che si chiama in gergo cinetelevisivo “la bibbia”, immagini di riferimento e documentazione visiva per una serie destinata ai bambini, chiamata Thundercats che, come ho saputo in seguito, era stata concepita per approfittarsi del potere di acquisto dei ragazzini in modo veramente bieco. Non farò mai più quel genere di cose.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="197" width="464" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-30533" />

Dopo l’abbandono di Moore hai assunto le redini creative della serie di Swamp Thing. Erano gli anni di Dark Knight Returns e di Watchmen e la linea adulta della DC concedeva sicuramente più libertà che in passato. Hai realizzato numerosi tipi di storytelling sperimentale e hai cercato di fondare una certa ossatura dell’iconografia mitologica dell’Universo DC, forse aiutato da Karen Berger. Puoi spiegare quali erano i tuoi intenti?

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="314" width="211" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30535" />
Prima di tutto volevo riuscire a rispettare le scadenze pazzesche dovute al fatto che scrivevo e disegnavo un mensile! Alan e Karen sentivano che sapevo manipolare bene i personaggi del cast di Swamp Thing e dato che quando ero ragazzino avevo letteralmente divorato tutti gli albi della casa editrice, è stato quasi naturale che fossi io la vittima predestinata a proseguire il lavoro di Alan. Credo di aver stupito anche me stesso per il fatto di aver mantenuto contenti i fan e per aver ampliato le basi che Moore aveva gettato. Mi piacevano Abby, Alec e John Costantine e mi sono accorto che sono entrati a far parte del mio mondo fantastico interiore. Il costante flusso di scadenze mi ha creato dei problemi, ma mi ha anche costretto a liberarmi in fretta di ogni blocco creativo e a fidarmi del mio istinto per costruire qualcosa dal più pallido germe d’idea.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="358" width="214" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30534" />Parlando di libertà espressiva potresti raccontarci cosa ti ha spinto a lasciare la serie (con riferimento alla “storia di Cristo” ovviamente!) ?
L’ho raccontato tante di quelle volte che mi sembra di recitare un pezzo già scritto! È successo che stavo sviluppando una lunga saga temporale sulle pagine di Swamp Thing. In ogni numero il personaggio veniva spedito sempre più indietro nel tempo e incontrava personaggi storici e vecchi eroi o criminali della DC. Avevo programmato anche una storia in cui Swampy era testimone della passione di Cristo nell’orto di Getsemani. Resasi conto che questa scena avrebbe potuto causare dei problemi, Karen Berger mi chiese di scrivere un breve soggetto da sottoporre ai suoi superiori. Cosa che feci e per cui ricevetti l’approvazione. Così realizzai la storia, Michael Zulli la disegno ma all’ultimo minuto Jeanette Kahn, il capo assoluto della DC, rifiutò di pubblicare l’albo per ragioni sue. Mi sono dimesso immediatamente. Questo fatto avrebbe dovuto chiudere la vicenda quando i media ne hanno dato risalto e, d’un tratto, mi sono ritrovato sulle prime pagine del Wall Street Journal e del  Time! Andy Warhol ha detto che tutti hanno i loro quindici minuti di celebrità. Credo che questo sia stato il mio caso!

Dopo aver lasciato la DC hai deciso di smettere di lavorare per le grandi imprese e di autopubblicare il tuo lavoro. potresti spiegare il motivo che ti ha spinto a prendere questa decisione e i quali sono stati i problemi principali che hai avuto nel costituire una nuova, piccola casa editrice (dalla storia della King Hell, all’accordo fatto con la Tundra…)?

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="360" width="233" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30508" />
Ancor prima di lasciare la DC avevo partecipato al cosiddetto “summit degli autori” che ha partorito la “Carta dei diritti degli autori”, trampolino di lancio per tutti colori che erano interessati alle forme di autoproduzione. Così, dopo il pessimo trattamento ricevuto alla casa editrice di Superman, la fondazione della King Hell fu un fatto naturale, come tentativo di imitare ciò che avevano già fatto Sim con Cerebus e Eastman/Laird con le Tartarughe Ninja. Sfortunatamente non avevo capitali sufficienti, così gli inizi furono molto difficili. Grazie a un piccolo prestito ricevuto da Eastman e Laird raccolsi e ristampai The One in un volumetto che mi fruttò un piccolo profitto e m’insegnò come operava la macchina. Tuttavia, continuava a mancarmi il denaro per pubblicare Bratpack. A questo punto Kevin Eastman decise d’investire parte della sua fortuna in una nuova impresa, la Tundra, e si offrì di coprodurre questo fumetto sotto il marchio King Hell, con una divisione dei profitti. Era un buon affare per me, benché la redazione della Tundra fosse perennemente  disorganizzata e vennero fatti molti errori. Spero di sobbarcare su di me, prima possibile, la responsabilità di pubblicazione quando la situazione di mercato e dei contratti lo consentiranno.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="360" width="233" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30507" />Hai anche realizzato una storia in sei parti, The River, con protagonisti le Tartarughe Ninja, per la Mirage. E stata una mossa spinta dalla necessità di ottenere della liquidità per la creazione della tua casa editrice, oppure sei un appassionato dei personaggi?
Sì, c’erano velate ragioni economiche che mi hanno spinto a realizzare quel lavoro sulle Turtles. Avevo appena interrotto 1a mia collaborazione con la DC e l’affare propostomi dalla Mirage era il migliore che avessi mai ricevuto dai tempi di Epic Illustrated. Chiesi a mio figlio, che allora aveva dodici anni, cosa fossero secondo lui le tartarughe ninja e lui mi rispose «È uno scherzo papà, non l’hai capito?».  Mi sono divertito a realizzare le loro avventure. Tutto questo, ovviamente, prima dell’uscita del primo film e dell’incredibile successo nel mercato dei giocattoli americani. All’epoca le acque erano ancora molto tranquille alla Mirage. Oggi gli avvocati e i contabili hanno assunto il controllo ed è davvero una triste situazione per quelli che ci sono rimasti intrappolati dentro.

La tua prima pubblicazione sotto la tua etichetta è stata la raccolta, in volume, di The One, seguita dalla miniserie Bratpack dove descrivi il perverso mondo di un gruppo di sidekicks e delle loro corrotte controparti. Raccontaci qualcosa su questa storia.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="349" width="231" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30515" />
Da un lato Bratpack si inserisce ne1l’idea di “supereroi revisionisti”, dall’altro è stato un urlo di dolore. Mi sentivo ancora male per la mia esperienza con la DC e volevo creare dei personaggi che avrebbero costretto i lettori a guardare tutto ciò che in precedenza avevano dato per scontato sotto una nuova, corrotta prospettiva. Ho voluto distruggere l’il1usione che gli eroi dei fumetti possano essere solo seri e tutti d’un pezzo. Ero anche incuriosito dal modo in cui l’archetipo del vigilante era cresciuto nella cultura cinematografica americana. Penso che i comics abbiano delle precise responsabilità nel loro modo di far apparire “normale” chiunque esca di notte a combattere il crimine con indosso una maschera e un costume aderente. Credo sia venuto il momento di scoprire nuove strade per la figura del supereroe, bisogna iniziare a mostrarlo sotto una luce demenziale, creare una satira orrorifica della cultura dei comic book. 
Inoltre è chiaro quanto l’argomento sessuale, in questo genere, sia stato sia ignorato, sia sfruttato come un richiamo per i ragazzini da editori senza scrupoli. Spero solo che, dopo aver letto le avventure di Midnight Mink e Chippy, non sarete più in grado di vedere Batman e Robin sotto la stessa luce. Sono certo che esistano strade ben più eleganti e colte per esplorare questi soggetti, piuttosto che l’approccio brutale che ho scelto per Bratpack, ma, come ho già detto, ero incazzatissimo con tutto il mondo del fumetto e, in qualche modo, questa è stata la mia vendetta!

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="269" width="155" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30512" />L’idea centrale che sta dietro a Bratpack è il desiderio di potere che porta alla corruzione, ma c’è sempre una redenzione finale. Pensi che il genere supereroistico sia un “vicolo cieco”?
Assolutamente no! Credo che i supereroi, dal loro punto di vista infantile, rappresentino un insieme di approcci culturali incredibilmente complesso.
Sono storie che parlano di potere, sesso, idealismo, evoluzione e anche d’arte! Come potrebbero rappresentare un vicolo cieco? Il fatto che rappresentino, per la maggior parte, un fenomeno tutto americano sembra sostenere il fatto che il nostro paese sia ancora in uno stato d’immaturità che [speriamo] evolverà in qualcosa di superiore. Viviamo in tempi in cui la società potrà regalarci, se non a noi almeno ai nostri figli, “superpoteri” o abilità superiori a quelle di un uomo normale. Che lo sappiate o meno, i comics stanno esplorando queste tematiche attualmente, in particolare nel fumetto supereroistico.
Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="342" width="225" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30506" />

Potresti descrivere il personaggio di Dottor Bestemmia e il motivo per cui hai deciso di celarlo sotto l’identità di Fredo Era la soluzione più logica o l’hai fatto perché il maggiordomo è sempre l’assassino?
Il Dottor Bestemmia rappresenta la verità, o almeno quella che i moderni appassionati, gli scrittori e gli editori rifiutano di accettare riguardo questo piccolo mondo a quattro colori. Bestemmia vede tutti gli eroi del suo mondo come bugie viventi. Per questo motivo ha assunto su di sé il compito di provargli che le loro certezze si basano su principi vuoti e marci. In questo senso il Dottor Bestemmia è l’eroe della King Hell Eroica e appare in un ruolo centrale negli ultimi numeri di Maximortal. Il fatto di nasconderlo dietro la figura del maggiordomo era un vera e propria parodia.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="385" width="253" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30528" />L’idea che sta dietro a Maximortal è: «Cosa succederebbe davvero se un uomo possedesse immensi poteri?» Puoi parlarci delle tue idee in proposito?
Maximortal è un progetto più ambizioso di Bratpack. Nella sua realizzazione ho cercato di sezionare i vari fenomeni culturali che stanno dietro a un archetipo supereroistico, di grande successo. Inoltre alcuni elementi centrali della prima storia sono proprio i creatori di True-Man, Jerry Spiegal e Joe Schumacher, con le loro tribolazioni all’interno della corrotta e malsana scena fumettistica americana durante gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta. Nella creazione di queste figure mi sono documentato sulla vita di diversi autori del passato [specialmente nel caso di Siegel e Schuster che crearono Superman e lo vendettero alla DC per poche centinaia di dollari].
La loro vicenda è stata una delle più grandi tragedie della cultura popolare del ventesimo secolo e racchiude alcune strane circostanze che si inserivano bene nella mia storicizzazione degli eventi. L’idea centrale della serie è che la figura di True-Man sia così perfetta per il suo tempo che, essenzialmente, arriva a crearsi da solo. In altre parole: un personaggio talmente radicato nella coscienza popolare che arriva a manifestarsi fisicamente. Il primo volume esplora la sua infanzia, i problemi che crea ai suoi genitori adottivi e la sua caduta in mano al governo. Il secondo racconta la sua adolescenza e la pubertà; il terzo narra della carriera supereroistica di TrueMan e della sua conclusione quando è costretto ad affrontare la verità per mano del Dottor Bestemmia. Il quarto capitolo inizia dove finisce Bratpack, con il suo ritorno sulla Terra e la sua nuova consapevolezza di chi o cosa è in realtà.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="289" width="257" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30525" />Dalle tue dichiarazioni pare che tu voglia creare un’unica, grande storia, composta di tre capitoli (Bratpack, The Maximortal e The Ironic Man). Quali sono le tue vere intenzioni?
Riguardano molto quanto ho già affermato nelle precedenti domande con unica eccezione per The Ironic Man che, a causa di un procedimento legale con la Marvel Comics, è stato cambiato in Hellhead. Si tratta di una graphic novel, scritta da me e dipinta splendidamente da John Totleben, che però non s’interseca, molto con Bratpack/The Maximortal. Racconta di un’apocalittica battaglia fra The Scourge e il suo ex-partner, diventato un essere mostruoso, di nome Runamok. Nel corso dello scontro Scourge si trova sull’orlo della morte in numerose occasioni, solo per essere salvato dalla sua ipertecnologica armatura.
Mentre si trova fra la vita e la morte ha dei flash back su vecchi episodi della sua vita ed è costretto a incontrare nuovamente gente che aveva ucciso nella sua forsennata guerra per liberare Sodom City dal crimine. John non solo ha realizzato graficamente l’albo, ma è stato coinvolto nella stesura della sceneggiatura. Siamo quasi a metà del lavoro che dovrebbe essere pubblicato verso il 1995.

Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="314" width="205" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-30504" />Di recente sei stato coinvolto in una dei più divertenti progetti dell’anno: 1963 per la Image. Cosa avete cercato di creare e perché avete deciso di pubblicare questo lavoro proprio per quell’editore che riflette, nei suoi, albi l’immagine del classico supereroe?
1963 è stato concepito come una risposta diretta ai comic book seriosi.
Alan Moore, Steve Bissette e io crediamo che questo atteggiamento abbia raggiunto l’eccesso e abbiamo voluto fare qualcosa di completamente differente. Il lato peggiore delle storie che vengono oggi pubblicate in America è che non hanno un loro senso, eccetto per le scene di battaglia e per una miriade di pose muscolari altamente spettacolari. L’Image è una nuova casa editrice sulla scena, fondata da un gruppo di disegnatori insoddisfatti dall’ingordigia della Marvel. Per questo motivo proviamo un certo feeling con quello che hanno cercato di fare e un grande rispetto per il loro successo economico. Per dirla tutta, ci fa impazzire il fatto che rubino una gran fetta di mercato alla Marvel ogni mese, cosa che non può che portare benefici al fumetto di questo paese. 1963 è una serie di sei numeri che vuole essere letta come una fittizia linea di fumetti pubblicata da un editore immaginario, in quell’anno.  Le sei collane sono: Mystery Incorporoted, No One Escape…the Fury, Tales from Beyond, Tales of the Uncanny, Horus Lord of Light e The Tomorrow Syndicate. Ogni fumetto può essere letto e gustato singolarmente, ma c’è un mistero che corre attraverso tutti gli albi che porterà i nostri eroi trent’anni nel futuro, in una storia narrata nell’annual di 80 pagine, Double Image, nel quale i nostri semplici e dolci personaggi affronteranno quelli moderni dell’Image. Il contrasto fra il periodo in cui tutto ha avuto inizio e ciò che è diventato rappresenta il nodo di tutta la serie, anche se i sei albi, con il loro valore nostalgico, rappresentano un’ottima lettura. Abbiamo anche ritrovato il tipo di carta che veniva usata all’epoca e ci abbiamo lavorato con Murphy Anderson, un tempo famoso disegnatore della Silver Age, oggi colorista di professione, per riottenere le esatte percentuali di colore dei giorni andati, considerando l’intero progetto come una sorta di arte concettuale. I comics sono zeppi di finti materiali d’epoca, per la maggior parte nella forma di vecchie pubblicità e pagine di posta, ma le storie in sé sono state realizzate come un omaggio, non come parodia. Le risate vengono suscitate quando il lettore si accorge che è cambiato e che non è in grado di leggere queste storie nello stesso, semplice modo di quando era bambino.
Intervista a Rick Veitch: dai “comix” degli esordi a 1963> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="413" width="269" alt="Intervista a Rick Veitch: dai comix degli esordi a 1963 >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-30505" />
Io, Steve e Alan ci siamo divertiti tantissimo a realizzare questi fumetti, anche se il lato economico, situato dietro le quinte, è stato spesso da incubo. Mentre disegnavamo e scrivevamo le storie ci è sembrato di tornare bambini, si è trattato più di un gioco che di un lavoro, e non abbiamo cercato di raggiungere i livelli di Watchmen e Swamp Thing. Il nostro unico desiderio è stato quello di realizzare un lavoro interessante e giocoso (tanto per cambiare). La nostra speranza è che il nostro progetto dia vita a un “movimento”, qui negli States, e malgrado sia già stato bollato dai critici come “rètro”, si sono già viste un numero di nuove proposte da parte di creatori che aspettavano solo di fare questo tipo di lavoro. Per quel che mi riguarda, so solo che voglio farne ancora.

Quali sono i tuoi piani per il futuro?
Il futuro dipende da molte cose, ovviamente. Non mi dispiacerebbe realizzare qualcosa di nuovo per 1963, ma vorrei continuare a sviluppare Rare Bit Fiends, il mio fumetto/diario onirico che autopubblico sotto l’etichetta King Hell in albi in bianco e nero. Anche se Bare Bit Fiends è tratto dal mio sketchbook, gli amici mi hanno detto che è la cosa più interessante che abbia mai fatto! E le vendite vanno sufficientemente bene. Per il resto vedremo.

 

Originariamente pubblicato su Bratpack 3 di Ottobre del 2004, edito della defunta Phoenix Edizioni, casa editrice creata da Daniele Brolli.
Per gentile concessione di Francesco Meo.

Riferimenti:
Il sito ufficiale di Rick Veitch: www.rickveitch.com


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