"Socialmente emarginati. Gli attori ufficiali, giovani, avevano una certa mentalità. L'avevo già sperimentato, avevo alle spalle circa dieci anni d'esperienza teatrale abbastanza ricca[...]. Volevo ripartire da una cultura teatrale, e le persone che cercavo dovevano essere emarginati[...]. L'unica zona vergine era proprio quella, gente non ancora immessa nel mercato culturale, ma con una cultura teatrale: allora li chiamavo "attori geopolitici". Era un fatto culturale, geografico, politico che li portava a porsi in un modo molto particolare nei confronti della sonorità della voce, della gestica. Il mio lavoro consisteva solo nell'aggregare, nell'organizzare queste sonorità, questa gestica. Non si trattava certo di pigliare il povero disgraziato e recuperarlo. Né cadere nell'equivoco, portando in scena un emarginato, di fare teatro proprio con la sua emarginazione, quasi in senso neorealistico[...]. Lì invece si trattava proprio di agire sul piano dell'attore, facendolo nascere da condizioni completamente diverse. L'esperienza di Marigliano proseguì con una contaminazione. Allora ero molto interessato - come sempre - a Shakespeare" (da Per un teatro jazz (1983), intervista a Leo de Berardinis a cura di Oliviero Ponte di Pino)
"Ho iniziato venticinque anni fa. Non mi interessava lavorare con il teatro dei professionisti, né tantomeno con quello d'avanguardia. Avevo bisogno di un luogo per "rifondare", di un posto per sperimentare. Non sono andato a salvare nessuno. Volevo fare teatro. Ed eccomi, eccoci qui". Così si è introdotto il regista Armando Punzo, classe 1959, eclettico drammaturgo d'origine campana, impegnato ormai sin dal 1988 in un progetto davvero speciale con i detenuti della "fortezza" di Volterra.
Direttore artistico del Teatro di San Pietro, nonché del Festival VolterraTeatro, Punzo ha alle proprie spalle una lunga carriera teatrale, segnata da prestigiosi premi ed eccellenti incontri con le opere di Stratford-upon-Avon, con il "The Brig" di Kennett Brown (grande successo del Living Theatre negli anni '60), con il "Marat-Sade" di brookiana memoria - solo per citarne alcuni.
Parlando del suo laboratorio teatrale con la Compagnia della Fortezza, Punzo afferma: "Il lavoro con gli attori, di per sé, è sempre il medesimo. Ovvio che, nell'arco di più di un ventennio, cambi l'esperienza e la ricezione: oggi infatti riusciamo ad allestire opere più complesse rispetto a quelle dei primissimi anni. Per gli attori della Compagnia, che sono circa una cinquantina, è una vera e propria professione". "Il mio impegno lavorativo - aggiunge - dura tutto il giorno e continua per l'intera settimana. È un atelier, uno spazio aperto in cui leggiamo, proviamo, discutiamo, facciamo scuola".
Uno degli ultimi eventi performativi, ideato dal geniale regista della Fortezza e organizzato dall'Associazione Carte Blanche è stato il "Mercuzio non vuole morire". Emblematico il sottotitolo: "La vera tragedia in Romeo e Giulietta". "Il lavoro per il "Mercuzio" è durato due anni è mezzo. È stata la riscrittura di un'opera, una riscrittura che ha spesso contraddetto Shakespeare. Non volevamo che Mercuzio (amico di Romeo, ucciso da Tebaldo nell'Atto III - Scena I del "Romeo e Giulietta" n.d.r.) fosse sacrificato. Ne abbiamo discusso: era importante dialogare e capire se gli attori condividessero la mia stessa visione. Il primo anno si è incentrato sullo studio dell'opera; l'anno seguente ci ha visti impegnati insieme con migliaia di persone nella realizzazione di uno "spettacolo di massa". Infine la terza fase, a Roma, con il coronamento del nostro lavoro presso il Teatro Palladium, il 5 e 6 marzo scorsi". "È stato un progetto controcorrente - conclude Punzo - qualcosa che di solito non si fa. Sono molto soddisfatto: non ci aspettavamo un tale riscontro".
A molti cinefili sarà ben noto il volto di Aniello Arena, protagonista nel settembre scorso dell'ultima produzione di Garrone, il distopico e terribilmente sincero "Reality". Arena, che ha dimostrato di essere un eccellente performer, fa parte ormai da dodici anni della Compagnia della Fortezza: "Aniello - dice Punzo - ha avuto una grande fortuna a lavorare a fianco di un grande autore come Matteo Garrone. "Sono davvero contento: è stata per lui una forte esperienza artistica e indirettamente è stato anche un importante riconoscimento per l'intera compagnia, per ciò che abbiamo realizzato con fatica nel corso degli anni".
Un progetto, quello di Punzo e dei suoi, che finora ha saputo essere energico, propulsivo e pioneristico; un progetto che si è saputo adattare ad una cella 3×12 m e ad un cortile come palcoscenico (calcato anche in situazioni climatiche non propriamente favorevoli); un progetto che non si è mai stancato di chiedere un Teatro Stabile in carcere e più corsi di formazione sui diversi mestieri della scena (fonica, luci, scenografia). E i progetti futuri? "Ora siamo impegnati su due fronti - confessa Punzo - da una parte uno studio dei "personaggi mancanti" di Shakespeare, i marginali insomma; dall'altra la composizione di un musical che si ispiri al carcere, e che dialoghi con autori che abbiano vissuto in prima persona il mondo della prigione, come il grande Jean Genet".
Articolo di Matteo Tamborrino.
Foto sailko, licenza CC BY-SA