Talvolta facendo questo lavoro capitano delle occasioni di confronto davvero uniche. Perché, sapete, in questi tre anni sono stata ad una quantità tale di press day che ormai ho perso il conto, ed è bellissimo vedere le collezioni da vicino e toccarle con mano, captare le nuove tendenze, lasciarsi ispirare, ma tutt’altra cosa è sentirsi raccontare la collezione (e non solo) da chi l’ha creata con la propria mente e le proprie mani. Questo mi è successo incontrando Luca Berti, amministratore unico e direttore creativo di Lerock, il brand di luxury denim nato proprio dalla sua esperienza e dalla sua passione per questo tessuto che, come potrete leggere nell’intervista, sta riscuotendo un ottimo successo di pubblico e ha in progetto di diventare un realtà sempre più concreta nel fashion system italiano e non solo.
Buongiorno Luca, grazie per aver accettato di rispondere a qualche domanda. Iniziamo subito: ho letto sue svariate interviste e mi sono informata grazie a vari articoli apparsi sui giornali in merito alla sua carriera. Sembra che il denim sia il fil rouge del suo percorso lavorativo…
Beh è un fil blu, un fil indaco più che rouge, però si, assolutamente si, 33 anni di denim mi hanno lasciato un bel bagaglio d’esperienza. Da specialista di denim non l’ho mai interpretato come lo interpretano normalmente gli altri specialisti, cioè non mi sono mai concentrato unicamente e spudoratamente, basta guardare la collezione per capirlo, sul denim. I primi 12 anni li ho impiegati per diventare uno specialista del denim, quando lo sono diventato e ho raggiunto il mio punto di arrivo ho iniziato ad interpretare il denim come se fosse un altro tipo di prodotto, altrimenti dopo 33 anni sarei rimasto fisso allo stesso punto e mi sarei stancato, non sarei arrivato ad oggi. Invece oggi lo reinterpreto con elementi come la pelliccia e molti altri materiali: tutto può sembrare fuorché una collezione di denim, e non voglio che lo sembri.
Quello che salta all’occhio in ogni collezione Lerock è sicuramente l’aspetto luxury.
Questo è necessario al giorno d’oggi: con quello che sta succedendo fuori, che non è una crisi ma un cambio sociale e generazionale, un cambio di epoca. O facciamo qualcosa che abbia un senso e il senso deve essere che la donna lo compra perché viene attratta da qualcosa di nuovo, altrimenti non abbiamo nessuna chance di attrarre una donna con un prodotto basico che potrebbe trovare in qualsiasi negozio, non sto a fare nomi, con la Z o con l’H o altri, che vendono di tutto a prezzi di tutti i tipi, copiati da una sfilata piuttosto che da un’altra. Io non faccio più quel lavoro, faccio un’altra cosa, creo sogni. Se non creo sogni oggi non avrei nessuna chance di emergere con un prodotto carino, bellino, semplice, per tutti i giorni per andare a fare la spesa o in banca. No, lo lascio fare agli altri.
Quindi quello di differenziarsi è anche un modo per uscire dalla crisi secondo lei?
Non è crisi, attenzione. Stiamo dando tanto spazio a chi gioca con questo termine, non è crisi, è un cambio. Non usciremo mai da quella che voi determinate come una “crisi” è un cambio che rimarrà questo, non ci sarà mai più un ritorno agli anni ’80, ai ’70 o ai fantastici ’60 che purtroppo io non ho vissuto essendo nato in quel momento. Non è una crisi, è un cambio e noi ci dobbiamo vivere e convivere con questo cambio, per cui l’unico modo che io per riuscire ad avere l’attenzione di una donna è quello di fare un prodotto che sia, non come qualcuno può pensare, eccessivo, bensì unico. Se non lo faccio non ho nessuna chance di emergere rispetto ai grandi marchi, perché sulla fascia bassa mi devo confrontare con grandi industrie, su quella alta mi devo confrontare con delle finanziarie travestite da brand di lusso, io non ho i miliardi da spendere che hanno loro e se non facessi qualcosa di unico non potrei mai emergere.
Quali novità vuole raccontarci della collezione autunno inverno 2013-2014 di Lerock per cui siamo qui oggi allo showroom Pia Bianchi per la presentazione?
Le novità di Lerock sono non avere novità sostanziali su Lerock… no è un balla (ride n.d.a.). Le novità sono tante: per prima cosa questa è la prima vera collezione total look, abbiamo già cominciato con l’estivo 2013, abbiamo proseguito in modo più imperioso con questo invernale e nell’estivo prossimo (2014 n.d.a.), ci sarà la definizione globale di un prodotto che non ha più solo il pantalone e le t-shirt, ma ha un total look che a noi serve per aprire anche i negozi. Questo è il nuovo obiettivo, aprire negozi monomarca, e per farlo noi dobbiamo offrire un mondo, non possiamo più dare solo un pantalone, un giubbotto o una t-shirt, dobbiamo dare tutto, dagli accessori a tutto quello che ruota attorno ai desideri di una donna che vuole essere assolutamente, la definirei, brillante. Brillante in un doppio senso: perché tutto ciò che luccica si vende, non si sa perché ma è comunque un dato di fatto, il “pulito” non si vende e questo a volte può essere anche non un buon dato, ma brillante anche perché la collezione è per una donna di questo tipo, non per una donna media che facilmente va a vestirsi nei grandi negozi a cui accennavo prima. Noi non vogliamo fare mass market.
Ci vuole anche una buona dose di personalità indossare i vostri capi?
Mah, non è così vero. Prima di tutto io non voglio vestire solo quella che la gente pensa sia la nostra cliente ideale, ovvero “la ragazza”, io voglio vestire la donna, che può andare dai 25 agli 80 anni. Una delle cose che mi da più soddisfazione è quella di vestire delle signore che mi dicono: “Io il jeans non lo porto”. Io rispondo sempre: “L’hai provato?” e loro “mah no, non mi piace…”, sai quelle signore raffinate che si vestono con gonne, tailleur. Quando do loro un mio jeans e le vedo dopo un mese mi dicono: “Mio marito mi ha chiesto che cosa mi è successo perché ormai porto solo il tuo jeans” – e magari ce l’ha addosso in quel momento senza sapere che ci saremmo incontrati, ecco quello vuol dire che ho fatto centro perché devi vestire una donna che si sente bene, che interpreta bene il tuo prodotto. Il nostro jeans non è costrittivo, è molto più morbido e leggero degli altri, frutto di un lungo studio durato 30 anni, cercando di capire dove sbagliavo e perché una donna dovesse essere costretta dentro un pantacollant dal peso eccessivo di 14 once, mentre noi oggi vestiamo un pantacollant, perché è comunque stretch, con un peso leggerissimo, per cui quando la donna lo infila dice: “Dopo che ho messo questo non riesco a mettere altro”.
Quali sono gli obiettivi di Lerock per il futuro, oltre all’apertura dei monomarca a cui mi accennava?
Oltre ai monomarca, ampliare molto la linea accessori. Vuol dire che dal prossimo inverno ancora (2014-2015 n.d.a.) vedremo scarpe di sicuro e in generale tutti gli accessori.
Ma sempre con un design studiato all’interno dell’azienda o con collaborazioni?
No sempre interamente, anche perché il designer sono io fondamentalmente, quindi con i miei designer interni che sono io! (Ride n.d.a.)
Tutto da solo…