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[Intervista] Fin dove si scorge il mare di Clemy Scognamiglio

Creato il 03 ottobre 2014 da Queenseptienna @queenseptienna

[Intervista] Fin dove si scorge il mare di Clemy ScognamiglioTitolo: Fin dove si scorge il mare
Autore: Clemy Scognamiglio
Editore: I sognatori
Anno: 
2014
ISBN: 
9788895068343
Numero pagine: 
158
Prezzo: 
€ 13,90
disponibile anche in eBook (
qui)

Contenuto: Romanzo mainstream che racconta e incrocia due storie d’amore “impossibili”, calate nel contesto storico dell’Unita d’Italia e ambientate nel Meridione. “Impossibili” perché andrebbero a unire persone in apparenza  mal assortite, di estrazione sociale differente o con un passato burrascoso alle spalle – troppo, per essere accettato dalla società dell’epoca. È qui che emerge con prepotenza la concettualizzazione (marquezianamente intesa) dell’amore come sentimento folle, dannoso e salvifico al contempo. Perché la salvezza c’è per tutti, anche per chi “porta addosso tutte le prove dell’inverno“; l’importante è che la ricerca non si esaurisca nell’accettazione passiva delle regole imposte (dal ruolo, dalla società, dalla tradizione, da quello che frettolosamente definiamo “destino”), poiché “solo quello che non si fa per paura resta eterno”. Consigliato ai lettori del mainstream e in particolare a quelli che apprezzano la narrativa facente capo al Verismo (scuola verghiana), ai romanzi corali della Morante o – per fare un altro esempio – di Grazia Deledda.

L’autrice è qui con noi e ha accettato di rispondere a qualche domanda:

1. Che ci troviamo in un altro tempo, lo capiamo dalle atmosfere, dai rumori, dalle voci. Da quella roca del fabbro al tono forte del bettoliere, dall’accento acuto della bizzoca al flebile tossire della stiratrice. Quali problemi linguistici ti sei posta nello scrivere questa storia?

Ho voluto che l’ambiente circostante introducesse la storia come una quinta, ricorrendo a una grammatica per immagini. La coralità è a supporto del linguaggio originario, lo semplifica. 

2. Come hai fatto a immaginarti gli uomini del 1860? Di sicuro il popolo di cui parli non si sarebbe riconosciuto nelle ricostruzioni a posteriori, nei trattati sociologici e soprattutto nello spirito del senno del poi.

L’immaginazione è parte essenziale dello scrivere, si è in grado di rappresentare quello che non si conosce, ma in un romanzo classico, di chiaro stile non contemporaneo, bisogna attingere alle descrizioni e alle riflessioni custodite nei sempre più rari racconti orali, nonché alle evocazioni di una geometria paesaggistica ancora ben presente nei borghi nel nostro Sud. Un popolo così fortemente identitario, non poteva evitare di lasciare tracce e mostrare radicamenti che vanno al di là delle semplici date storiche.

3. I modelli letterari non mancano. Un Dickens sarebbe fuori luogo, meglio un Capuana, un Verga, per poi distanziartene e seguire la tua strada. A proposito di strada, più che i libri di storia hai fatto parlare le case, coloro che le abitano, le mura di cinta, il lido del mare, gli antri di una fabbrica. Rimane qualcosa, nell’aria, delle storie che hai raccontato?

Sappiamo che niente resta inanimato se è stato vissuto, toccato, usato. Il romanzo è tutto un riverbero di questa testimonianza vitale delle cose, degli ambienti, dei paesaggi: quegli antri, quelle fabbriche, quei tetti, non hanno preso vita solo nel mio immaginario. Sono esistite, e, dunque, pur frammentate e disseminate in quel Sud, restano immediatamente riconoscibili.

4. C’è in questo romanzo più di un punto di contatto tra padroni e servi, contadini e baroni. In fondo vivono nello stesso paese, a bordo della stessa barca, con molto mare intorno. Un contadino può avere come fratello di latte un barone, se sua madre ha fatto da balia a un baroncino. Direi che si attenuano molto, nel tuo romanzo, le distinzioni in classi sociali. 

Le distinzioni sociali sono state a fondamento di innumerevoli tragedie e di questo, il romanzo, tiene conto. Quella concessa al giovane barone è da considerarsi più una sorta di gratitudine nei confronti della balia che gli ha salvato la vita. Riguarda solo i suoi primi anni. Intorno a questa eccezione si raccoglie e si sviluppa la breve parte sentimentale del romanzo. Basta guardare alla ricca e capricciosa Leonora, alla sua famiglia, alla tragica condizione che ottiene Immacolata da parte del padrone per capire che, no, non sono concessi salti di casta, né vicinanze di sorta.

5. Si nota sia una rassegnazione al proprio destino sia una diffidenza congenita a proclami, alle facili utopie. Si obbedisce a ciò che si veste di autorità, basta che sia radicata, riconosciuta e riconoscibile dalle chiare insegne. Si obbedisce al padrone come si obbedisce alla madre, al padre, alla maestra. Senza chiedere spiegazioni. Si ha l’impressione che, nel romanzo, l’obbedienza sia soprattutto virtù femminile, la ribellione, quando c’è, nient’altro che un colpo di testa maschile. 

In alcuni protagonisti del romanzo, senza dubbio, è così. In altri casi ci si aspetta una contropartita. Immacolata per esempio obbedisce in virtù di una promessa ricevuta, Francesco risponde a un suo dissidio sentimentale. Poi c’è Giacinta, che contraddice ogni regola, scegliendo di seguire la rivoluzione armata dei Briganti; c’è Teresa che, pur non giungendo a una scelta così radicale, la supporta, ribelle alle angherie quotidiane della fabbrica della seta, ne sfida le conseguenze; infine c’è Filomena che, pur conservando il suo crudele abito da sposa, non si piega al “ destino”, anzi lo affronta con un piglio decisamente coraggioso. Nessuna acquiescente obbedienza femminile dunque, e neanche colpi di testa maschili. La partenza di Jacomo per l’America rappresenta più la determinazione della propria libertà che la disperazione di un emigrante, anche se gli effetti, nella storia, restano identici.

6. Io riepilogherei il tuo romanzo con questa tua frase: “Come si sapeva, fin dall’inizio, che la vita non sa compilare liste, né scegliere chi resterà dentro e fuori, e quando accade non lesina neppure il consolare di sogni e di illusioni”. 

Si ricordi cos’erano i “ Fuorbando”: liste che, per effetto di una legge speciale, servirono a contrastare il brigantaggio. Esse costituivano, a tutti gli effetti, dei proclami di morte. Nei nomi che ne hanno, tragicamente, riempito le righe, non si può fare a meno di provare empatia. Leggendoli, corredati solo di date e luoghi di nascita, non si può ignorare che fossero volti, voci, pensieri e ideali. Più che a individuare colpevoli e innocenti, lasciano scorgere l’importanza della vita. A ignorarlo non ci riesce neppure un decreto.

7. Ultima domanda: perché leggere, oggi, Fin dove si scorge il mare?

Pensa a un luogo in cui un tempo vi era una casa, ora distrutta, cancellata, priva della memoria di chi vi ha vissuto. Non sempre ci è dato modo di conoscere chi l’ha edificata e perché. Ebbene, anche se di questa rimanesse una sola pietra, essa servirebbe a ricordare che in quel luogo c’era una costruzione. Ecco. Fin dove si scorge il mare vorrebbe essere quella piccola pietra.

 


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